
M.D.
numero 22, 20 giugno 2007
Dibattito
Medicina generale: specialità senza
oggetto?
di Giuseppe Belleri - Medico di medicina
generale, Flero (BS)
Il paradosso illustrato dal collega Attanasio su M.D. (2007;
17: 14) in merito al riconoscimento di disciplina specialistica
alla medicina generale, una specialità in generalità,
ovvero priva di un proprio specifico oggetto, non è
solo un rompicapo logico sullincerta identità professionale
e il futuro delle cure primarie, ma anche
la matrice del disagio vissuto dai Mmg nella loro quotidiana
attività ambulatoriale
Da
un decennio a questa parte il generalista - per definizione
non-specialista - è il vaso di coccio rispetto agli altri
attori specialisti del Ssn. Un ruolo arduo in unepoca
in cui passato e futuro si legano in una spirale evolutiva che
conduce verso una progressiva differenziazione tecno-specialistica,
tendenzialmente emarginante per i non-specialisti. Difficile
trovare una via duscita alla contraddizione anche perché
alla sua genesi concorrono quattro tendenze non di poco conto,
che stanno alla base dellevoluzione scientifica e organizzativa
dei sistemi sanitari:
1. La divisione del lavoro tipica della società occidentale,
che conduce a una sempre maggiore parcellizzazione delle attività
pratiche.
2. Lesponenziale incremento delle conoscenze scientifiche
e tecniche e la conseguente difficoltà, per il singolo
operatore, di mantenersi al passo delle nuove acquisizioni teorico-pratiche.
3. La differenziazione delle organizzazioni in sistemi e sotto-sistemi
sempre più articolati nel tentativo di affrontare e ridurre
la complessità ambientale, in particolare quella biologica.
4. Il metodo scientifico della semplificazione, di matrice cartesiana,
che si articola in due principi:
-
la
disgiunzione: per conoscere un oggetto occorre innanzi tutto
separarlo rispetto allambiente poiché la conoscenza
è tanto più solida quanto più è
decontestualizzata e finalizzata alla definizione di principi
generali e astratti.
-
la
riduzione: per conoscere un aggregato di parti è sufficiente
la conoscenza approfondita dei suoi costituenti elementari,
dai quali si può dedurre il comportamento del tutto.
La
risultante della sinergia tra questi quattro filoni è la
moltiplicazione delle sotto-specialità allinterno
di ogni branca medica; la tecnicizzazione del sapere fa sì
che la professionalità si polarizzi su settori patologici
sempre più ristretti e/o attorno a specifiche tecnologie
diagnostico-terapeutiche allinterno di organizzazioni vieppiù
articolate e frammentate. Sapere e potere (nel caso dei medici,
anche il fare) si saldano e fanno in modo che chi
meno sa meno può e resti quindi ai margini del processo
di specializzazione tecnologica. Il guaio è che la competenza
professionale e la pertinenza degli interventi è definita
da chi detiene la maggiore differenziazione funzionale.
Come si può intuire, si tratta di tendenze tanto profonde
quanto pervasive a livello sociale che minano, per la loro natura,
la credibilità di chi non vi si adatta.
Le componenti culturali
La risposta delle diverse componenti culturali della medicina
generale (MG) italiana si colloca lungo un continuum di posizioni,
difficilmente ricomponibili in una sintesi organica e così
articolate:
I fondamentalisti. Costoro rivendicano il carattere
autenticamente alternativo della MG rispetto a ogni
impostazione specialistica e si rifanno direttamente o indirettamente
alla galassia delle medical humanities (bioetica, psicologia e
counselling, antropologia e sociologia della salute/malattia,
storia e filosofia della medicina, diritto ed economia sanitaria,
scienze organizzative e della formazione, epistemologia e metodologia
clinica, ecc.) antidoto alle tendenze disumanizzanti che affliggono
le grandi organizzazioni ospedaliere. Non a caso su queste abilità
trasversali e di integrazione fanno leva quanti si
propongono di insegnare la professione di medico di medicina generale
alle nuove leve, a partire dal sapere pratico messo in atto dai
singoli professionisti sul campo.
Lo specialista in generalità. In una posizione intermedia
si collocano coloro che sposano lidea di attribuire anche
alla MG unaura specialistica attraverso lattivazione
di veri e propri corsi o cattedre universitarie di medicina di
famiglia. È tuttavia discutibile che una mera etichetta
come quella di cui potrebbero fregiarsi i futuri specialisti
in generalità - quantunque accreditata a livello
accademico - possa contrastare le tendenze evolutive che trovano
una formidabile spinta propulsiva nellapparato tecnico-scientifico-industriale.
Gli special interest. Sul versante opposto rispetto ai
fondamentalisti si ritrovano quanti propendono per una soluzione
radicale, come il collega Attanasio: i generalisti
si dovrebbero semplicemente convertire allo specialismo,
abbandonando le velleità di tuttologi per abbracciare invece
una specifica branca del sapere medico. Da qui nasce il filone
dei GP che coltivano il proprio special interest.
Nato allinizio del nuovo millennio nelle isole britanniche
questo modello professionale si è via via esteso al resto
del continente arrivando anche in Italia (M.D. 2006; 13: 4-7;
30: 4-6). È la risposta più naturale e a portata
di mano: visto che a tutti i livelli prevale la differenziazione
funzionale, perché la medicina generale non dovrebbe adeguarsi,
assecondando una tendenza tanto radicata nel sapere e nellorganizzazione
sanitaria?
Questa posizione è stata adottata delle Società
scientifiche della medicina generale, organizzate nelle tradizionali
aree specialistiche, mentre il recente documento di rifondazione
della medicina generale proposto dalla Fimmg sembra più
affine alla proposta intermedia. In esso infatti si prospetta
una differenziazione organizzativa allinterno delle Unità
di Medicina Generale in senso tecnico-specialistico (ambulatorio
di ecografia, elettrocardiogramma, ecc.) ma anche trasversale,
metodologico e organizzativo (la figura del manager/coordinatore,
insegnamento, audit, ricerca, ecc.).
Naturalmente il metodo della riduzione/semplificazione/specializzazione,
pur essendo vincente su molti fronti pratici, non ha un valore
assoluto e incontrovertibile né è esente da limiti
teorici ed effetti collaterali pratici.
Il variegato mondo delle medicine non convenzionali contesta alla
radice limpostazione riduzionistica, tendenzialmente disumanizzante,
in nome di un olismo un po scontato, ma che non può
trovare indifferenti i medici delle cure primarie che dalla relazione
medico-paziente traggono la loro forza e il gradimento sociale.
Il tallone dAchille
Tutto chiaro, quindi. La soluzione del rompicapo è a portata
di mano: basta che ognuno trovi la propria nicchia
e il mercato della salute, cavallo di battaglia della tecnomedicina
e severo giudice dei non-specialisti, farà il resto dopo
aver selezionato i veri specialisti dagli pseudo!
Questo è lamaro esito dellanalisi del collega
Attanasio, che suona come una campana a morte per il generalista
non-specialista. Tuttavia questa sbrigativa conclusione non tiene
conto di alcune fattori di disturbo e di un tallone dAchille.
Prima di tutto le salvifiche virtù del libero mercato sono
una chimera per la nota letteratura economica che ha analizzato
nei dettagli proprio il fallimento del mercato in
sanità.
La mano invisibile del mercato (sanitario) non esiste per il semplice
fatto che buona parte del sistema è da sempre socializzato
e separato in un quasi mercato parallelo, perlomeno
in Europa. Senza il contesto e le regole del sistema pubblico
di tutela (solidaristico e universalistico) infatti la medicina
generale ha poco senso e ha ben poche chance di sopravvivere e
svilupparsi, come dimostra lesempio americano.
Il problema attuale è come sopravvivere senza essere stritolati
dalla divaricazione tra il supermarket (tecno-specialistico) della
salute e ciò che passa il convento, ovvero il quasi
mercato pubblico.
Vi è poi il tallone dAchille che affligge le organizzazioni
complesse e i sistemi sanitari orientati da finalità sociali
e non dalla semplice compravendita di prestazioni sul mercato.
Infatti quanto più prevale la differenziazione funzionale,
tanto più cresce la necessità di robuste iniezioni
di integrazione e, soprattutto, di selezione per preservarne lequilibrio.
Qualsiasi sistema complesso, in specie quello sanitario, non è
in grado di funzionare in maniera efficace ed efficiente senza
un altrettanto complesso apparato di filtri selettivi, che protegga
il nucleo tecnico dalle perturbazioni dellambiente,
pena il rischio di uno squilibrio per i settori a più alto
contenuto tecnologico e super-specialistico. Lesempio del
Pronto soccorso è sotto gli occhi di tutti: la sua principale
funzione è diventata ormai quella di selezionare drasticamente
laccesso al nosocomio per ottimizzare lappropriatezza
dellofferta rispetto a una domanda spesso eccedente e inappropriata.
Anzi negli ultimi anni si assiste a una proliferazione di strutture
deputate alla selezione dellaccesso, come per esempio le
organizzazioni ospedaliere strutturate secondo il modello hub
& spoke, che prevede la concentrazione della produzione di
maggiore complessità clinico-assistenziale per acuti in
centri di eccellenza ad alta tecnologia (hub) e la gestione del
sistema di selezione e invio dei pazienti verso lhub in
strutture periferiche (spoke) integrate con il centro di riferimento.
Insomma la fragilità e la delicatezza dei sistemi complessi
sono per certi versi la forza della medicina generale.
La via duscita
La medicina generale può quindi giocare ancora un ruolo
in questo scenario se saprà intercettare - grazie a una
maggiore differenziazione organizzativa e non puramente specialistica
- una parte della domanda che viene attualmente evasa da altri,
pur senza la velleità di trasformarsi in un mini Pronto
soccorso. Anche perché è riconosciuta la maggiore
efficienza ed economicità delle cure primarie nella gestione
delle patologie ad alta prevalenza e croniche rispetto a quelle
specialistiche, tendenzialmente più costose.
|