M.D.
numero 21, 13 giugno 2007
Contrappunto
Case della Salute: i perché di una
motivata sfiducia
di Michelangelo Pucci, Medico di medicina
generale - Quarto dAltino (VE), AIMEF
E' un argomento, quello delle Case della
Salute, che tiene banco su tutte le riviste e i siti che si
rivolgono ai medici di famiglia, soprattutto in vista del rinnovo
contrattuale nazionale e degli accordi locali.
In noi medici di famiglia suscita sentimenti differenti, forse
anche al variare delle situazioni individuali: età, massimale,
attività in zona urbana o rurale, medicina individuale
o di gruppo, coinvolgimento in attività di formazione
o meno.
Pur al variare delle situazioni e con sfumature di sensibilità
diverse, pare di percepire in prevalenza una chiara sfiducia
e notevoli perplessità. Assolutamente condivisibili per
una nutrita serie di motivi
L'idea
delle Case della Salute, proposta come assolutamente innovativa
e come perno di unennesima riforma sanitaria o per qualcuno
come elemento di una supposta rifondazione della medicina del
territorio, in realtà tale non è, piuttosto sembra
una riedizione e una ri-contestualizzazione delle cosiddette
UTAP. Strutture territoriali già proposte e caldeggiate
da un precedente ministro della Salute. Ma è sempre più
palese che cambiare nome a un oggetto di investimento politico
è uno degli esercizi più rivoluzionari nella realtà
politica e sociale italiana.
Come suscitava molti dubbi e poche adesioni quella proposta,
così accade con questa, e modificarne il nome o inventarne
di nuovi non basta.
La prima obiezione alle Case della Salute sta nella constatazione
che con questa formula più che valorizzare la medicina
del territorio, rendendola più efficiente, si intenda
perseguire un obiettivo di risparmio a tutti i costi, consapevoli
dellonerosità della medicina basata sulla centralità
delle grandi strutture ospedaliere. Una reale sana riforma non
può partire con lobiettivo prevalente o esclusivo
del risparmio economico, semmai dovrebbe essere concepita come
un investimento culturale, sociale ed ahimé economico.
I risultati virtuosi di risparmio, peraltro assolutamente legittimi
e auspicabili, potrebbero essere solo il frutto indiretto e
lento a realizzarsi, di un nuovo meccanismo che va a regime.
Si deve considerare che buona parte dei costi del sistema sanitario
attuale sono in parte inevitabili perché aumentano:
-
i
bisogni (età della popolazione, persone fragili, bisogni
di salute reali e voluttuari),
-
le
offerte della scienza medica per risolvere problemi sempre
più complessi con tecnologie e competenze più
ardite e costose.
In
realtà si segnalano alla nostra evidenza di cittadini,
prima che di medici, anche sprechi e disfunzioni gestionali di
cui tutti siamo parzialmente responsabili, ma obiettivamente e
tradizionalmente concentrati in alcune Regioni.
Una seconda obiezione riguarda il cercare la soluzione ai problemi
di efficienza della medicina del territorio nellimportazione
di modelli di medicina ospedaliera che già hanno mostrato
limiti e creano insoddisfazione sia tra gli operatori, sia tra
i fruitori.
Vorremmo valorizzare il territorio ospedalizzandolo
in maniera estensiva, concentrando ambulatori forzatamente, associando
coartatamente medici di diversa estrazione, storia, situazioni
e prospettive? Vorremmo creare magari tanti piccoli ospedali non
specializzati e non qualificati, perché quelli più
autorevoli e qualificati presentano problemi di gestione? Naturalmente
tutto dovrebbe avvenire con il massimo entusiasmo di medici e
infermieri, di comune accordo e senza cospicui investimenti, anzi
proprio per un maggiore risparmio.
Non si riesce proprio a comprendere perché malgrado sondaggi
che propongono la figura del medico di famiglia come quella che
raggiunge il massimo gradimento del pubblico, che risponde al
bisogno dascolto delle persone, al bisogno di essere considerati
nella globalità dei problemi e non come portatori di malattie,
come vicina fisicamente e psicologicamente, si dovrebbe riprodurre
un modello che implicitamente ne è la negazione.
Con questa proposta siamo alla distruzione della medicina della
persona e alla negazione della scelta fiduciaria del medico che
secondo la legge istitutiva del Ssn e quelle successive di riforma
doveva essere il perno e il grande valore ispiratore democratico
che metteva tutti, senza distinzione di sorta, in condizione di
avere un medico personale fiduciario.
Questioni di coordinamento
Altro aspetto critico che constatiamo facilmente come medici di
famiglia, quotidianamente immersi nella professione, è
il poter coordinare e armonizzare individui e figure tanto diverse,
abituate a lavorare con un tasso di autonomia importante. È
già molto, ma molto difficile e non scontato far lavorare
con sufficiente accordo le medicine di gruppo già esistenti
e fronte avanzato dellattuale quadro normativo-operativo
dellassistenza di primo livello.
Un contesto della medicina del territorio così riorganizzato:
centralità di una medicina comunitaria, graduale o brutale
superamento del medico di famiglia come medico della persona,
costituzione di grandi gruppi multi-disciplinari non abituati
a condividere spazi tempi e decisioni, spazi comuni da gestire
in maniera sostenibile (per le aziende sanitarie o per i gruppi
di medici?), turni operativi spalmati su 24 ore e su sette giorni,
per funzionare veramente, per dare dei risultati concreti, a fronte
dellalto prezzo di quello che si mette in crisi (soddisfazione
degli utenti e degli operatori), ha certamente bisogno di una
riforma delle normative.
La dipendenza che non vogliamo
Come quindi dar torto a Flavio Tosi, assessore alla sanità
della Regione Veneto, quando asserisce che per rendere sostenibile
al medico di famiglia, e direi gestibile per lorganizzazione,
questo nuovo assetto dovrebbe essere garantito un contratto di
lavoro di tipo dipendente. Tale contratto, che non amiamo e non
auspichiamo, fuori da ipocrisie, è lunico che permetterebbe
a una riforma della medicina del territorio così strutturata
di poter funzionare e di essere controllata nei risultati.
È evidente infatti che unaltra certa pulsione alla
costituzione delle Case della Salute sta in una riorganizzazione
della medicina del territorio, dove autonomia, flessibilità,
iniziativa e libertà siano ridotte e dove programmazione,
prevedibilità, controllabilità e concentrazione
siano le parole dordine. Che comincino a piacere i kolkoz
della Medicina? I kolkoz, ideati da Stalin, erano aziende agricole
dove i contadini costretti a inurbarsi lavoravano collettivamente
la terra di proprietà statale.
Una nuova via
Chiedere di più e di meglio alla medicina delle cure primarie
e del territorio è legittimo e condivisibile, non crediamo
però che sia questa la strada giusta e crediamo che non
sia neppure una strada obbligata.
Il metodo corretto dovrebbe basarsi sul riconoscere:
-
loriginalità
della medicina di famiglia;
-
il
reale valore che sta in quello che già dà e
per il quale risulta essere la disciplina medica più
vicina ai cittadini;
-
lautonomia
dai grandi concentratori di potere e di servizi;
-
la
possibilità di aiutarla a dare di più e giudicarla
più puntualmente su precisi obiettivi condivisibili.
Per
centrare questultimo obiettivo bisognerebbe renderla più
autorevole e di maggior qualità insistendo sul progetto
finalizzato a far entrare la medicina di famiglia nelle aule universitarie
per essere insegnata e nelle scuole di specialità per formare
i futuri professionisti. Senza dimenticare di scaricare i professionisti
che la esercitano dai numerosi oneri burocratici, potenziale causa
di conflitto e di sicura distrazione dai compiti clinici e di
assistenza.
Riformare la medicina del territorio e la medicina di famiglia
rendendola più efficiente e più competitiva è
possibile, ma non negandola e demotivando i suoi operatori.
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