M.D.
numero 19, 30 maggio 2007
Riflessioni
A quando lo sforzo di riconoscersi tra colleghi?
di Michelangelo Pucci, Medico di medicina
generale, Quarto dAltino (VE), AIMEF
La paura di contenziosi giudiziari spinge
sempre più medici e operatori sanitari a uniperprescrizione
o, al contrario, a prescrizioni ridotte allosso con conseguenze
negative sia in rapporto ai costi dellassistenza sanitaria
sia alla qualità
C'era
una volta un medico che dopo aver lasciato le aule della Facoltà
e le corsie dei vecchi nosocomi, si avviava verso la professione
scegliendo di esercitare in una condotta al fianco di un collega
anziano o di continuare nelle aule di Università e corsie
dospedale indifferentemente. Spesso questa scelta non
valeva per tutta una vita, ma certamente ne costituiva una preziosa
esperienza e un tesoro per gli anni a venire. Capitava infatti
e non tanto raramente che il medico inizialmente dedito alla
condotta provasse un impulso a cambiare e tornare tra i letti
delle sale di degenza, mentre laltro, assuefatto agli
odori e ai ritmi dellospedale, volesse apprezzare la libertà
di una professione esercitata fuori dalle mura,
tra la gente, in città come in periferia o in montagna.
Questa interscambialità dei ruoli, questa flessibilità
nel mondo della nostra professione era una ricchezza che permetteva
a ciascun medico di conoscere e di comprendere lintera
medicina, di intendere mentalità e difficoltà
degli altri colleghi. Rendeva possibile parlarsi tra medici
senza enormi distanze e con un reale reciproco rispetto.
La società è mutata prima gradualmente e poi rapidamente,
la medicina, la scienza e la professione sono cambiate anchesse
con lo stesso ritmo, la specializzazione e la tecnologia hanno
preso la scena di questa realtà, rendendo infine impossibile
un interscambio dei ruoli. Con il blocco dei professionisti
ciascuno nella propria dimensione, nel proprio compartimento
stagno, è diventato difficile capirsi e parlarsi, anzi
sembra quasi di usare due lingue diverse.
Di questo male soffre molto la professione medica nella sua
interezza: la componente ospedaliera imprigionata da ritmi simili
a quelli della produzione industriale, dal controllo burocratico
esasperato, da una sudditanza alla tecnologia, da incomprensione
e insoddisfazione del paziente; la medicina di famiglia avvilita
dalla non considerazione da parte dellaltra metà
del mondo professionale, isolata dallincomunicabilità
con i colleghi, alle corde di una medicina scienza
così parcellizzata e specialistica in cui fatica a riconoscere
la propria identità.
Incomprensioni e soluzioni
Tuttavia chi sta peggio è il paziente, del tutto frastornato
dal gran parlare che si fa di lui sui giornali, dei suoi diritti
reali e presunti, di quelli accolti e di quelli violati, delle
speranze spesso esagerate che gli si offrono, delle paure che
gli si incutono, dellaria di precarietà e incertezza
assoluta in cui lo si lascia.
Lincomprensione tra i medici, tra quello personale e lo
specialista di riferimento o ospedaliero, la contraddizione
dei messaggi, la quasi evidente ostilità reciproca, o
almeno la poco dissimulata sfiducia, hanno sui nostri pazienti
un effetto devastante e di un drammatico disorientamento. Questo
processo vecchio di alcuni decenni, non molto di più,
per quanto appaia oggi inevitabile e difficile da contrastare,
non è ineluttabile.
Alcune soluzioni sono nellesperienza di ciascuno di noi:
cedere per primi allisolamento e allorgoglio cercando
il contatto, provando a trovare nellinteresse del paziente
il tempo e le parole giuste per comunicare.
Altre sono nel bagaglio della professione come esperienza acquisita
in quasi tutto il mondo, salvo che in Italia: lingresso
dellinsegnamento della medicina generale nel corso di
studio universitario, come materia necessaria e obbligatoria,
con la costituzione di dipartimenti di medicina di famiglia
e linsegnamento della disciplina da parte di chi la esercita
realmente. Anche in questo ambito qualcosa di molto importante
sta accadendo: alcune università accolgono brevi corsi
di lezioni sulla medicina di famiglia e soprattutto lingresso
della stessa come tirocinio obbligatorio per lesame di
stato allabilitazione professionale.
Ma al riguardo sorge inevitabile una domanda: come è
possibile che per essere un medico abilitato alla professione
si debba conoscere la medicina di famiglia, mentre lUniversità
è abilitata al suo compito formativo pur venendo meno
a quello di insegnare la medicina di famiglia?
Finalmente molti medici di medicina generale sono tornati ad
aggiornarsi e a continuare la propria formazione negli ospedali,
a contatto con laltra metà del mondo, come ora
accade sempre più frequentemente, sulla scia di una brillante
e proficua intuizione iniziata dal collega, nonché vice-presidente
Aimef Gianpaolo Mantovani pochi anni or sono a Mantova. Forse
è ora di completare questa lunga e faticosa marcia di
avvicinamento e di reciproco riconoscimento, portando gli specialisti
ad aggiornarsi e continuare la propria formazione negli ambulatori
qualificati di medici di famiglia esperti nella didattica, come
dimostrato con i corsi di formazione specifica post laurea e
il tirocinio per lesame di stato.
Siamo sicuri che se è proficuo ritornare nelle corsie
dospedale per noi Mmg, sarebbe altrettanto proficuo per
i colleghi ospedalieri venire nei nostri studi e accompagnarci
nelle visite domiciliari.
Un bagno di umiltà e reciproca conoscenza gioverebbe
al paziente e alla professione medica.