M.D. numero 17, 16 maggio 2007

Rassegna
Parkinson e parkinsonismo
di Salvatore Giaquinto - Capo Dipartimento Riabilitazione, IRCCS San Raffaele Pisana, Roma

Distinguere fra malattia di Parkinson e parkinsonismo non è solo questione di classificazioni accademiche. Sul piano pratico la differenza interessa il medico di famiglia, in quanto i fattori di rischio del parkinsonismo sono gli stessi delle malattie cerebrovascolari e quindi si può agire in termini di prevenzione

Tutti conosciamo la malattia di Parkinson, meno chiaro è invece il concetto di parkinsonismo e i termini non sono sinonimi.
La malattia di Parkinson è la sindrome pura, primaria, da cause ancora sconosciute. Gli esami neuroradiologici non danno reperti caratteristici, tanto meno specifici. È come se gli aggregati di neuroni che producono la dopamina si fossero prosciugati. Nella nostra vita questi neuroni tendono a fabbricare meno dopamina, ma i segni clinici appaiono solo quando si arriva “in riserva” con solo il 20% rimasto nel serbatoio.

Malattia di Parkinson


I segni classici di malattia di Parkinson sono ben formalizzabili. Colpisce innanzitutto l’amimia facciale, che non sembra più concordare con lo stato d’animo. L’aspetto globale è rallentato e la bradicinesia è sostenuta da tono muscolare aumentato di tipo plastico (flexibilitas cerea), che può essere anche unilaterale.
La valutazione del tono muscolare, tenendo fermo il gomito e mobilizzando l’avambraccio, può far sentire un movimento a scatti, la famosa troclea o ruota dentata.
Il medico di famiglia noterà certamente come una marcia su un percorso di pochi metri si compia a piccoli passi, con il tronco in flessione parziale, il capo rigido e senza i movimenti pendolari delle braccia. Questi mancano anche nella fase precoce della malattia, quando la mano affetta viene usata poco.
Altro segno classico di disturbo della marcia è la cosiddetta anteropulsione o inseguimento del proprio centro di gravità per difficoltosa capacità di fermarsi. Anche il girarsi a corto raggio è difficile.
Altro prezioso e semplice test di esecuzione motoria è la scrittura. Le lettere hanno piccolo calibro, sono irregolari e con disegno frastagliato da piccolo tremore. Nei lunghi periodi si può osservare il cosiddetto “spadiforme”, ossia il progressivo restringimento in ampiezza degli ultimi caratteri, come la punta di una spada, segno di affaticamento motorio progressivo. Il tremore può essere così evidente da apparire anche a riposo alla tipica frequenza di 4 cicli al secondo, il famoso atto di contare monete. A volte il tremore è addirittura squassante ed estremamente invalidante: in questi casi la diagnosi di malattia di Parkinson la fa anche il portiere di casa.
Altro segno caratteristico è l’ipofonia. La voce è flebile e l’emissione delle poche parole può essere accompagnata da abbondante salivazione. Possibili difficoltà deglutitorie rendono ancora più molesto il disturbo.
La malattia di Parkinson ha effetto negativo in molte attività della vita quotidiana (mangiare, vestirsi, lavarsi). A completare il quadro vi è spesso depressione, non facile da riconoscere in un contesto di rallentamento psicomotorio e da carenza di iniziativa. Non è escluso nemmeno il disturbo del pensiero (le allucinazioni e lo stato confusionale sono però spesso iatrogenetici) e il vero decadimento intellettivo.

Parkinsonismo


Parkinsonismo è un termine che invece indica:

  • sul piano anamnestico: una causa più o meno evidente, singola o multipla;
  • sul piano clinico: la presenza di segni parkinsoniani, ma anche di segni che non fanno parte del quadro classico;
  • sul piano neuroradiologico: la possibilità di evidenti reperti patologici.
Un chiaro esempio di parkinsonismo è quello iatrogeno. I neurolettici sono i farmaci antidopaminergici per eccellenza. Una persona, giovane o anziana, dopo un lungo trattamento presenta facilmente segni di tipo extrapiramidale, come sono i segni parkinsoniani.
Il medico di famigliano chiaramente riconosce il quadro e parla di parkinsonismo da neurolettici. Il rapporto causa ed effetto è chiaro quando la persona ha usato aloperidolo, ma è meno chiaro quando si usano per mesi farmaci come il disulfiram e la flunarizina, che non appartengono direttamente alla classe dei neurolettici.
Un altro chiaro esempio di parkinsonismo è quello dei pugili. Chi non ricorda il viso pietrificato di Tyson? I traumi cranici del pugile danneggiano seriamente nel corso della carriera i gangli della base nel cervello e la sindrome parkinson-simile può apparire precocemente.
Ancora molto discusso è il ruolo di elementi tossici dell’ambiente e del mondo del lavoro (diserbanti, monossido di carbonio, manganese). È facilmente intuibile il gran numero di controversie legali, che vedono coinvolti grandi gruppi industriali.
Maggiore incidenza ha il parkinsonismo vascolare (PV), causato da lesioni ischemiche a livello dei gangli della base. Per molti anni l’esistenza di questa forma è stata oggetto di controversie, ma oggi indagini di risonanza magnetica hanno confermato la genesi vascolare per un certo numero di casi.
Il quadro clinico è dominato da alterazioni della marcia e dell’equilibrio, con marcata prevalenza dei disturbi agli arti inferiori (lower body parkinsonism). Possono associarsi manifestazioni “pseudobulbari”, segni piramidali e note di deterioramento cognitivo.
In genere si tratta di soggetti con molteplici fattori di rischio cardiovascolare e lesioni della sostanza bianca periventricolare analoghe alla forma di compromissione sottocorticale denominata in passato encefalopatia di Binswanger e oggi leucoaraiosi. Questa sindrome, descritta per la prima volta da Critchley nel 1929, è caratterizzata da sintomi parkinsoniani, ma, a differenza del morbo di Parkinson idiopatico, è dovuta a disordini cerebrovascolari.
Differenziare queste due condizioni è molto importante dal punto di vista prognostico e terapeutico. La prevalenza della sindrome non è perfettamente conosciuta, oscillando in alcuni studi dal 3% al 12% di tutti i casi di parkinsonismo, e secondo altri è ancora più elevata, sempre che venga attentamente ricercata e riconosciuta.
È certo che la sua prevalenza e incidenza aumentano con l’età. I fattori di rischio del PV sono simili a quelli delle malattie cerebrovascolari (ipertensione arteriosa, diabete mellito, probabilmente ipercolesterolemia e fumo).
Tabella 1 - Aspetti tipici del parkinsonismo vascolare
• Interessamento prevalente degli arti inferiori
• Base di appoggio larga e movimenti lenti
• Marcata retropulsione (non in avanti o di lato)
• Andatura strascicata a piccoli passi
• Assenza o scarsità del tremore a riposo
• Aumento del tono muscolare di tipo misto (spasticità + rigidità) senza “ruota dentata”
• Micrografia
• Segni pseudobulbari (disartria, disfagia, labilità emotiva)
• Possibili segni piramidali
• Progressione a gradini, piuttosto rapida
• Presenza di fattori di rischio vascolare e di pregressi episodi cerebrovascolari
• Riscontro alla neuroradiologia di lesioni sottocorticali
Di recente sono stati riscontrati in questi pazienti livelli elevati di anticorpi anticardiolipina, che inducono a pensare a una vasculopatia autoimmune.
Le lesioni anatomo-patologiche che caratterizzano il PV sono rappresentate da fenomeni di rarefazione della sostanza bianca sottocorticale e periventricolare, da multiple lesioni lacunari sottocorticali e a carico dei gangli della base e da fenomeni di ialinosi a carico dei rami terminali delle arteriole perforanti. Dal punto di vista clinico, alcuni aspetti sembrano tipici del PV (tabella 1).
Il parkinsonismo da farmaci simula bene la forma primitiva di malattia di Parkinson, così come i meccanismi da intossicazione, tanto è vero che grazie a sostanze parkinsonizzanti come la neurotossina MPTP (1-metil 4-fenil 1,2,3,6-tetraidro-piridina) si creano modelli di malattia sperimentale.
Ma il PV è dovuto ad alterazioni del circolo cerebrale, causa a sua volta di sofferenza della sostanza bianca degli emisferi e di piccole lacune ischemiche. Il quadro clinico è quindi più eterogeneo e se condivide molti segni della forma pura, altri sono diversi.
Fra questi alcuni segni neurologici sono facilmente identificabili dal medico di famiglia:
  • palilalia (pronuncia ripetuta): la voce del parkinsoniano è flebile, ma le sillabe sono al posto giusto. Se il paziente ripete le sillabe pronunciate, magari l’ultima, non siamo di fronte a un caso primitivo di malattia di Parkinson e dobbiamo invece pensare a complicanze frontali;
  • segno del grugno: dando qualche colpetto sul labbro superiore il paziente protrude le labbra. È un segno frontale, cosiddetto “arcaico di liberazione”. Se è presente non possiamo fare diagnosi di Parkinson ma di parkinsonismo;
  • grasp: un segno assai prezioso e facile da evocare. Se nel palmo della mano del paziente si pongono due dita, la sua mano si serra in una morsa. Più l’osservatore cerca di liberarsi, più la mano del paziente si serra. Si può avere il dubbio che il paziente faccia questo di proposito, magari per manifestare affetto e simpatia, ma si osserva come l’ordine di non stringere o la distrazione mantengano ugualmente la pressione forzata. Nel parkinsonismo sono anche più frequenti i disturbi cognitivi e i disturbi pseudo-bulbari (pseudo, perché i nuclei del bulbo funzionerebbero bene, se arrivasse l’informazione giusta). Segni di questo tipo sono: grave disfonia, disfagia, e incontinenza urinaria.

Conclusioni

La differenza tra malattia di Parkinson e parkinsonismo interessa il medico di famiglia. I fattori di rischio del parkinsonismo sono gli stessi dell’ipertensione e quindi si può agire anche in termini preventivi. Inoltre, il decorso può essere “a scalino” con segni nuovi che appaiono all’improvviso, per esempio l’incontinenza urinaria. Altro elemento importante di distinzione è che il parkinsonismo vascolare risponde meno alla terapia con levodopa.
Ritengo però opportuno rivolgere un consiglio ai colleghi. Quando viene fatta per la prima volta la diagnosi di malattia di Parkinson, si dovrebbe evitare di nominare la parola Parkinson, utilizzando il termine “sindrome extrapiramidale”. In sostanza non cambia nulla, ma nell’accezione comune la dizione “malattia di Parkinson” si associa al concetto di precoce invalidità, con la prospettiva di una sedia a rotelle. Il paziente (e i suoi parenti) cadono in depressione e c’è sgomento in famiglia.
Al contrario, l’ambiente va tenuto calmo con la rassicurazione di un processo lungo e ben controllato dai progressi farmacologici. In questo modo la compliance è migliore e il paziente accetta meglio la sua malattia, innestando meccanismi di coping, ossia di contrasto attivo alle variazioni in termini di disabilità che la malattia di Parkinson comporta. C’è anche qualche buona notizia che può essere fornita ai pazienti: la riabilitazione offre dei vantaggi, sia sul piano motorio sia su quello cognitivo e relazionale.