M.D.
numero 16, 9 maggio 2007
Rassegna
Le statine nel diabete mellito
di Giuseppe Derosa - Dipartimento di Medicina Interna e Terapia
Medica, Sezione di Medicina Interna, Malattie Vascolari e
Metaboliche, Università degli Studi di Pavia
In un panorama di conoscenze in costante ampliamento, le
evidenze emerse dai grandi trial clinici mostrano che la terapia
con statine in pazienti con diabete mellito produce unimportante
riduzione del rischio cardiovascolare, indipendentemente dai
valori basali delle alterazioni lipidiche
L'associazione
tra diabete mellito e rischio cardiovascolare (CV) è
nota da molti anni. Già lo studio di Framingham aveva
dimostrato che il rischio per determinate patologie cardiovascolari
è incrementato da 2 a 10 volte nella popolazione di soggetti
diabetici rispetto alla popolazione non diabetica.1
La mortalità per malattia cardiovascolare risulta progressivamente
aumentata nei soggetti diabetici durante la storia naturale
della malattia, in corrispondenza dellassociazione del
diabete a una serie di fattori di rischio come colesterolo totale
(CT) superiore a 200 mg/dL, pressione arteriosa sistolica (PAS)
superiore a 120 mmHg e abitudine al fumo di sigaretta. Inoltre,
in presenza dei fattori di rischio aggiuntivi sopra elencati,
anche soggetti non diabetici presentano un rischio di
morte per eventi cardiovascolari superiore alla popolazione
normale, ma inferiore a quello dei soggetti affetti da diabete
mellito.
I dati accumulati negli ultimi anni hanno dimostrato che altri
determinanti del rischio cardiovascolare, come la disfunzione
endoteliale e bassi livelli di colesterolo HDL (C-HDL), giocano
un ruolo chiave nel determinare lincremento di mortalità
e morbilità associato alla presenza di diabete mellito.2
Le malattie cardiovascolari nella loro globalità, in
particolare la cardiopatia ischemica (CHD), rappresentano un
problema sanitario di rilevanza enorme, in quanto sono le principali
responsabili di mortalità e morbilità nei
Paesi industrializzati.
Laterosclerosi è una patologia a genesi multifattoriale,
in cui non è possibile determinare un singolo elemento
che ne rappresenti la causa. I dati fino ad ora disponibili
consentono di riconoscere con sicurezza una serie di condizioni
che sottendono lo sviluppo dellaterosclerosi e che trovano
nelle alterazioni del profilo lipidico una delle componenti
principali.
Numerosi dati hanno dimostrato una stretta correlazione tra
aumentati livelli di colesterolo totale (>200 mg/dL) e malattia
coronarica. Elevate concentrazioni di C-HDL sono associate a
una riduzione del rischio per eventi cardiovascolari, svolgendo
un effetto protettivo nei confronti dellaterosclerosi.
I livelli di C-HDL correlano, in maniera direttamente proporzionale,
con un diminuito rischio di malattie cardiovascolari, indipendentemente
dalla presenza di altri fattori di rischio, come dimostrato
da numerosi studi epidemiologici.
La natura dellinterazione tra livelli di C-HDL e malattie
cardiovascolari è attualmente oggetto di studio. Laumento
del rapporto
C-LDC/C-HDL costituisce una delle più frequenti anomalie
riscontrabili nella popolazione europea condizionanti unincrementata
incidenza di malattie cardiovascolari.3 Lincremento della
concentrazione dei trigliceridi (Tg) appare costantemente associato
a una serie di alterazioni metaboliche, quali laumentato
stoccaggio di particelle remnants, lanomala composizione
delle LDL e le alterazioni della coagulazione e della fibrinolisi.
Inoltre, elevati livelli di Tg rientrano tra i criteri diagnostici
per sindrome metabolica secondo lATP III.4
Dislipidemia diabetica
Le alterazionino lipidiche che si associano al diabete mellito
costituiscono una componente importante dellincremento
del rischio cardiovascolare.
Nel paziente diabetico di tipo 2, la ridotta azione dellinsulina
a livello degli adipociti determina una maggiore idrolisi dei
Tg con incremento dei livelli circolanti di acidi grassi liberi
(NEFA). Laumento dei NEFA disponibili a livello epatico
produce una serie di anomalie che conducono allalterazione
del profilo lipidico. Lincremento delle concentrazioni
delle lipoproteine a bassissima densità (VLDL) è
responsabile delliperlipidemia post-prandiale, sostenuta
dalla ridotta attività della lipoproteinlipasi (LPL)
che è in grado di attaccare le VLDL. Liperlipidemia
post-prandiale è considerata attualmente un fattore indipendente
di rischio CV. In particolare, le alterazioni del profilo lipidico
successive al pasto appaiono maggiormente correlate al rischio
cardiovascolare rispetto alle anomalie dei lipidi riscontrabili
a digiuno. Lincremento della concentrazione di trigliceridi
plasmatici sembra responsabile della maggiore concentrazione
di particelle LDL aterogene, si associa a bassi livelli di C-HDL
e determina direttamente alterazioni del profilo della coagulazione,
attraverso aumentati livelli di inibitore dellattivatore
del plasminogeno (PAI-1) e di fattore VIIc nonché attraverso
lattivazione della conversione della protrombina in trombina.5
Nel paziente affetto da diabete mellito di tipo 2 la concentrazione
di C-HDL è ridotta e ciò si traduce in un minore
efflusso di colesterolo dai tessuti periferici al fegato, efflusso
che rappresenta la prima tappa del processo di trasporto inverso
del colesterolo. Le particelle di C-LDL circolanti nei soggetti
con diabete mellito di tipo 2 sono prevalentemente rappresentate
da particelle piccole e dense, maggiormente suscettibili ai
processi di ossidazione e dotate di maggiore capacità
di adesione alla parete vascolare. La maggiore aterogenicità
di queste molecole dipende in parte anche dai processi di glicazione
non enzimatica che esse subiscono in presenza di elevati livelli
di glicemia.6 Quindi, le alterazioni lipidiche
che differenziano il soggetto diabetico rispetto al soggetto
sano sono lipertrigliceridemia e i bassi livelli di C-HDL,
in particolare a carico delle particelle HDL-2.7
Lincremento dei Tg può essere moderato rispetto
alla popolazione sana, ma lo scompenso diabetico comporta frequentemente
unimportante aumento della trigliceridemia. In diabetici
in buon controllo metabolico, la concentrazione del C-LDL non
si discosta molto da quella dei soggetti non diabetici, ma esistono
alterazioni qualitative delle lipoproteine (particelle LDL più
piccole e dense) che rendono conto del maggiore profilo aterogeno
della dislipidemia nel soggetto diabetico, caratterizzato da
aumentati livelli di apolipoproteina B (apo B).8
Ipercolesterolemia nel paziente diabetico
Dopo un lungo periodo di controversie, la sindrome metabolica
rappresenta attualmente una ben riconosciuta condizione di rischio
cardiovascolare, caratterizzata da un insieme di alterazioni
metaboliche ed emodinamiche che sinergizzano accelerando il
processo aterosclerotico a vari livelli e in varie sedi, ma
soprattutto nel distretto coronarico.
La definizione di sindrome metabolica, secondo lATP III4
(presenza di tre o più dei seguenti sintomi: circonferenza
vita „102 cm nei maschi e 88 cm nelle femmine, Tg „150 mg/dL,
C-HDL £40 mg/dL nei maschi, <50 mg/dL nelle femmine,
ipertensione arteriosa, iperglicemia a digiuno) dimostra come
le alterazionino della glicemia in associazione ad alterazioni
del profilo lipidico siano in grado di incrementare il rischio
cardiovascolare. I soggetti affetti da diabete mellito di tipo
2 e sindrome metabolica hanno un rischio ulteriormente incrementato
per malattie CV, e in particolare per malattia coronarica, rispetto
ai soggetti diabetici che non soddisfano i criteri per la sindrome
metabolica. La revisione dei dati sino a ora disponibili, in
tempi recentissimi, ha dimostrato che il più frequente
elemento della sindrome metabolica è rappresentato dallobesità
addominale, a cui seguono bassi valori di C-HDL, elevati valori
di pressione arteriosa ed elevati valori di Tg.9
In soggetti con diabete di tipo 2 e ipercolesterolemia poligenica,
il rischio di ispessimento dellintima-media carotidea
risulta aumentato rispetto ai soggetti con ipercolesterolemia
poligenica in assenza di diabete mellito.10
I risultati di importanti studi dimostrano che i livelli di
colesterolo totale non sembrano aumentati nella popolazione
di soggetti diabetici rispetto a soggetti non diabetici, ma,
per pari livelli di colesterolemia, il rischio di mortalitàno
CV risulta incrementato nella popolazione diabetica di circa
4 volte.2
Le linee guida NCEP-ATP III4 hanno identificato i soggetti diabetici
come un gruppo di soggetti ad alto rischio aterotrombotico,
uguale a quello dei soggetti con pregresso infarto del miocardio,
ictus o con vasculopatia periferica, e che richiedono provvedimenti
terapeutici più aggressivi di quelli raccomandati per
pazienti insulino-resistenti non diabetici.4
Trattamento con statine nel paziente diabetico: studi clinici
Leffetto benefico delle statine nella popolazione diabetica,
ad elevato rischio cardiovascolare, è stato dimostrato
in numerosi studi clinici. Il trattamento con le statine è
efficace sulle concentrazioni di CT, C-LDL, C-HDL e Tg nel diabete
mellito di tipo 2. Molti dati di importanti trial clinici hanno
inoltre dimostrato che il trattamento con statine nel soggetto
diabetico è in grado di modificare altre condizioni di
rischio cardiovascolare, quali lo spessore dellintima-media
carotidea, lo stato infiammatorio e pro-coagulativo che caratterizza
la malattia diabetica.11
Le
attuali linee guida dellIDF (International Diabetes Federation)
raccomandano uno stretto monitoraggio dellassetto lipidico
del soggetto diabetico: il trattamento con statina a dosaggio
standard dovrebbe essere iniziato in tutti i soggetti maggiori
di 40 anni o con malattia cardiovascolare dimostrata e in soggetti
maggiori di 20 anni con alto rischio o microalbuminuria.12
Gli studi 4S, HPS e CARDS hanno prodotto i risultati più
significativi negli ultimi anni.
Studio 4S (Scandinavian Simvastatin
Survival Study)
Scopo dello studio è stato quello di verificare lefficacia
della simvastatina sulla mortalità e sulla morbilità
in pazienti con cardiopatia ischemica.13
Unanalisi successiva ha valutato anche un sottogruppo
di pazienti costituito dai soggetti diabetici con CHD.14 I soggetti
diabetici del 4S, trattati con simvastatina (10-40 mg/die)
o placebo, sono stati seguiti in media per 5.4 anni.
I risultati dello studio hanno dimostrato che, in questi soggetti,
il trattamento con simvastatina è in grado di migliorare
i livelli di C-LDL, C-HDL e di Tg.
Lo studio 4S è stato il primo studio a dimostrare che
il trattamento con una statina in soggetti diabetici con cardiopatia
ischemica riduce il numero degli eventi cardiovascolari. La
riduzione del rischio risultava maggiore nei soggetti con CHD
diabetici rispetto ai soggetti con CHD non diabetici; questi
risultati sono da attribuire al maggiore rischio assoluto per
eventi cardiovascolari che caratterizza la popolazione di soggetti
diabetici (tabella 1).
Studio
HPS (Heart Protection Study)
Scopi primari e secondari di questo studio sono stati quelli
di dimostrare che una riduzione significativa di C-LDL per diversi
anni in una popolazione di soggetti ad alto rischio cardiovascolare,
per pre-esistente malattia coronarica o altra arteriopatia occlusiva
o diabete mellito, determina una riduzione della mortalità
e della morbilità per accidenti vascolari.15
Lo studio ha risposto anche a un ulteriore quesito fondamentale
e cioè quale sia limpatto del trattamento ipolipemizzante
sul rischio di eventi cerebrovascolari.
I soggetti dello studio HPS sono stati trattati per 5 anni con
simvastatina al dosaggio di 40 mg/die. Sia nel gruppo di soggetti
diabetici che nel gruppo dei soggetti non diabetici, il trattamento
con simvastatina ha determinato una significativa riduzione
del numero di eventi cardiovascolari maggiori, di ictus e di
rivascolarizzazione coronarica.
Lo studio HPS ha dimostrato che il trattamento ipolipemizzante
con simvastatina è in grado di ridurre di circa il 20-25%
il numero di eventi cardio e cerebrovascolari maggiori in una
vasta popolazione di soggetti diabetici. Lo studio HPS ha arruolato
soggetti ad alto rischio cardiovascolare con colesterolemia
totale maggiore di 135 mg/dL: i risultati ottenuti dimostrano
che, indipendentemente dai livelli iniziali di colesterolo totale,
il trattamento con simvastatina determina una significativa
riduzione degli eventi vascolari (tabella 2).16
Studio
CARDS (Collaborative Atorvastatin Diabetes Study)
Scopo di questo studio è stato quello di valutare lefficacia
dellatorvastatina nella prevenzione primaria della cardiopatia
ischemica in soggetti con diabete mellito di tipo 2.
I risultati ottenuti hanno dimostrato che in una vasta popolazione
di soggetti diabetici il trattamento con atorvastatina al dosaggio
di 10 mg/die è efficace nel ridurre significativamente
gli eventi coronarici acuti, le rivascolarizzazioni coronariche,
gli ictus cerebrali. Anche questo studio ha evidenziato i benefici
del trattamento con statina in soggetti diabetici di tipo 2
al di là delle concentrazioni di colesterolo totale al
momento dellarruolamento (tabella 3). I risultati dello
studio sono stati pubblicati con due anni di anticipo rispetto
al follow-up previsto in seguito allevidente beneficio
del trattamento con atorvastatina.17
Conclusioni
Gli importanti trial clinici condotti fino a ora hanno dimostrato
che il trattamento con statine produce unimportante riduzione
del rischio cardiovascolare nei soggetti diabetici, indipendentemente
dai valori basali di colesterolo totale nei soggetti in studio.
Questi dati emergono nel contesto di un ampliamento costante
delle conoscenze sia della fisiopatologia del diabete mellito,
sia della farmacologia delle statine.
Le diverse statine hanno dimostrato effetti benefici che suggeriscono
unazione aggiuntiva a quella di semplice riduzione dei
lipidi plasmatici.
Attualmente gli studi clinici controllati con statine dominano
la scena della prevenzione cardiovascolare nel paziente diabetico.
I quesiti più significativi relativi alla prevenzione
cardiovascolare nel paziente diabetico trattato con statine
riguardano lentità della riduzione del rischio
cardiovascolare a mezzo della riduzione di C-LDL,18
limpiego di nuovi farmaci, anche in combinazione, nella
riduzione degli eventi cardiovascolari e i possibili effetti
avversi del trattamento, aspetto questultimo oggetto di
non poche controversie, nonché lo studio degli effetti
pleiotropici delle statine, che appare quanto mai opportuno
nel guidare le scelte terapeutiche ottimali nella gestione del
paziente diabetico.
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