M.D. numero 16, 9 maggio 2007

Editoriale
Le promesse mancate e la protesta dei medici


Era nell’aria, ma alla fine il disagio dei medici del territorio è un po’ esploso in tutta Italia. Scioperi, stati di agitazione, proteste, dal Nord a Sud, investono tutte le Regioni con problemi di bilancio, ma anche tutte quelle realtà istituzionali che sembrano sorde al malessere dei propri professionisti della salute. Non avremmo più voluto leggerli negli studi, né essere costretti ad appenderli, quei cartellini che recano con grafia imbarazzata la scritta “questo ambulatorio nel giorno X rimarrà chiuso”, ma molti Mmg in giro per lo stivale sono stati costretti a ristamparli e/o rispolverarli, non avendo nemmeno la soddisfazione di leggere la sorpresa negli occhi dei propri pazienti.
Al momento dell’approvazione della convenzione nazionale si disse: “facciamola leggera, così si potrà arrivare in scioltezza a definire, a livello territoriale con gli accordi decentrati, le specificità di ciascuna realtà locale, le loro esigenze, le sfide che pongono, le risorse necessarie”.
Alcuni ostacoli, tuttavia, si sono opposti a questo percorso che, ai più, sembrava segnato da un positivo viatico.
Innanzitutto incapacità, impossibilità e scarsa volontà - a seconda dei punti di vista - da parte del Governo centrale e delle Regioni, di raggiungere un livello di finanziamento compatibile con i gradi di innovazione richiesti da una domanda di salute che cambia e si complessifica velocemente. In secondo luogo, molti degli obblighi contrattuali definiti dal ‘centro’, che dovevano trovare idee e ‘benzina’ nelle tasche dei Governatori, sono rimasti assolutamente sulla carta, colpendo tutti: medici di famiglia, di emergenza, guardie mediche, specialisti ambulatoriali e pediatri.
Il danno non è soltanto economico, dunque non incide solamente sui diritti di questi professionisti, ma indebolendo o lasciando incompiuta una nuova organizzazione del lavoro rimasta in gran misura
sulla carta, compromette i livelli essenziali di assistenza dei servizi disponibili concretamente sul territorio per i cittadini.
È così che la Toscana, per esempio, vorrebbe ridefinire i livelli ottimali per la continuità assistenziale, e la Sicilia in cui la continuità fa il mestiere del 118, con buona pace della omogeneità e del federalismo solidale.
In questo quadro brilla per la sua assenza la Sisac, lo strumento che le Regioni si erano date per contrattare insieme, ma anche per garantire alla controparte in camice che nessuna avrebbe fatto per sé.
La convenzione prevedeva che essa avrebbe potuto avocare poteri sostitutivi, costringere gli ambiti territoriali a partorire gli accordi decentrati, insomma tutti i Governatori ad allinearsi. Fino ad oggi sembra dormiente: è, forse, la metafora in disarmo di un regionalismo maturo ancora tutto da immaginare?