Editoriale
Le promesse mancate e la protesta dei
medici
Era
nellaria, ma alla fine il disagio dei medici del territorio
è un po esploso in tutta Italia. Scioperi, stati
di agitazione, proteste, dal Nord a Sud, investono tutte le
Regioni con problemi di bilancio, ma anche tutte quelle realtà
istituzionali che sembrano sorde al malessere dei propri
professionisti della salute. Non avremmo più voluto leggerli
negli studi, né essere costretti ad appenderli, quei
cartellini che recano con grafia imbarazzata la scritta questo
ambulatorio nel giorno X rimarrà chiuso, ma molti
Mmg in giro per lo stivale sono stati costretti a ristamparli
e/o rispolverarli, non avendo nemmeno la soddisfazione di leggere
la sorpresa negli occhi dei propri pazienti.
Al momento dellapprovazione della convenzione nazionale
si disse: facciamola leggera, così si potrà
arrivare in scioltezza a definire, a livello territoriale con
gli accordi decentrati, le specificità di ciascuna realtà
locale, le loro esigenze, le sfide che pongono, le risorse necessarie.
Alcuni ostacoli, tuttavia, si sono opposti a questo percorso
che, ai più, sembrava segnato da un positivo viatico.
Innanzitutto incapacità, impossibilità e scarsa
volontà - a seconda dei punti di vista - da parte del
Governo centrale e delle Regioni, di raggiungere un livello
di finanziamento compatibile con i gradi di innovazione richiesti
da una domanda di salute che cambia e si complessifica velocemente.
In secondo luogo, molti degli obblighi contrattuali definiti
dal centro, che dovevano trovare idee e benzina
nelle tasche dei Governatori, sono rimasti assolutamente sulla
carta, colpendo tutti: medici di famiglia, di emergenza, guardie
mediche, specialisti ambulatoriali e pediatri.
Il danno non è soltanto economico, dunque non incide
solamente sui diritti di questi professionisti, ma indebolendo
o lasciando incompiuta una nuova organizzazione del lavoro rimasta
in gran misura
sulla carta, compromette i livelli essenziali di assistenza
dei servizi disponibili concretamente sul territorio per i cittadini.
È così che la Toscana, per esempio, vorrebbe ridefinire
i livelli ottimali per la continuità assistenziale, e
la Sicilia in cui la continuità fa il mestiere del 118,
con buona pace della omogeneità e del federalismo solidale.
In questo quadro brilla per la sua assenza la Sisac, lo strumento
che le Regioni si erano date per contrattare insieme, ma anche
per garantire alla controparte in camice che nessuna avrebbe
fatto per sé.
La convenzione prevedeva che essa avrebbe potuto avocare poteri
sostitutivi, costringere gli ambiti territoriali a partorire
gli accordi decentrati, insomma tutti i Governatori ad allinearsi.
Fino ad oggi sembra dormiente: è, forse, la metafora
in disarmo di un regionalismo maturo ancora tutto da immaginare?