M.D. numero 15, 2 maggio 2007

Clinica
Prevenzione delle malattie cardiovascolari nella donna in menopausa
di Fausta Micheletta, Maria Cristina Ribaudo, Giuseppe Rosano
Dipartimento di Scienze Mediche, Centro di Ricerca Clinica e di Base, Unità di Ricerca Cardiovascolare, IRCCS San Raffaele, Roma

La menopausa si associa a una serie di effetti negativi sulle funzioni cardiovascolari e metaboliche che rappresentano il target di una strategia di prevenzione multifattoriale e multidisciplinare. Le nuove raccomandazioni dell’American Heart Association indicano che un approccio preventivo dovrebbe privilegiare un corretto stile di vita, ponendo l’accento sull’eliminazione del fumo e sul controllo del peso attraverso l’esercizio fisico, particolarmente utile nelle donne

L e malattie cardiovascolari rappresentano la patologia più frequente nella donna in menopausa. Contrariamente a quanto comunemente ritenuto, esse costituiscono, nei Paesi industrializzati, la principale causa di morte nelle donne, essendo responsabili del 53% di decessi di donne negli USA. In particolare viene stimato che una donna statunitense, all’età di 50 anni, abbia il 46% di probabilità di ammalarsi di malattie cardiovascolari e il 31% di morirne.
Durante la vita riproduttiva le donne sono protette dalle malattie cardiovascolari, mentre dopo la menopausa la protezione viene meno. Fino alla sesta decade di vita l’incidenza di malattie cardiovascolari nelle donne è ad ogni età simile a quella degli uomini di 10 anni più giovani ma, a partire dalla quinta decade di vita, si assiste, nelle donne, a un progressivo incremento di incidenza di malattie cardiovascolari, tanto che dalla settima decade di vita in poi la mortalità cardiovascolare è simile nei due sessi. Nonostante il riconosciuto ruolo delle malattie cardiovascolari nella popolazione femminile e a dispetto di un progressivo declino dell’incidenza di malattie cardiovascolari negli uomini, l’incidenza di cardiovasculopatie nelle donne è rimasta pressoché costante.
In ambito di prevenzione il fumo di sigaretta, l’ipertensione arteriosa, le alterazioni del profilo lipidico, il diabete mellito e l’obesità sono i principali fattori di rischio cardiovascolari sui quali è possibile intervenire. Va inoltre tenuto in considerazione che sebbene molti fattori di rischio abbiano lo stesso impatto nei due sessi, altri - per esempio il diabete e l’ipertensione arteriosa - hanno un impatto maggiore nel sesso femminile, conferendogli un alto profilo di rischio.



Effetti della menopausa sul profilo di rischio


L’elevata incidenza di malattie cardiovascolari nelle donne in menopausa è riconducibile a due fattori.
Da una parte la menopausa rappresenta di per sé un fattore di rischio cardiovascolare (secondo la Bethesda Conference insieme a diabete mellito, inattività fisica e bassi livelli di C-HDL) per la perdita dell’effetto cardioprotettivo svolto dagli ormoni ovarici.
Il rapporto tra deficit ormonale, nello specifico l’ipoestrogenismo, e malattie cardiovascolari è dimostrato sia dal fatto che donne giovani sottoposte a intervento di istero-annessiectomia - quindi in menopausa chirurgica - non sottoposte a terapia ormonale sostitutiva hanno un’incidenza di malattie cardiovascolari simile a quella degli uomini della stessa età, sia dal fatto che, a parità di età, le donne in menopausa hanno un’incidenza doppia di malattie cardiache rispetto alle donne in premenopausa.
Inoltre, il ruolo della deprivazione ormonale è supportato dai dati forniti da numerosi studi osservazionali condotti in donne immediatamente dopo la menopausa, nei quali la terapia ormonale sostitutiva si è dimostrata in grado di ridurre in maniera significativa la mortalità e la morbilità cardiovascolare nelle donne in menopausa rispetto a una popolazione di controllo non trattata.
Il secondo fattore è rappresentato dal fatto che la menopausa svolge un effetto aterogenico indiretto aumentando la penetranza degli altri tradizionali fattori di rischio, in particolare dislipidemia, ipertensione arteriosa e diabete mellito.
Complessivamente la menopausa si associa a una serie di effetti negativi sulle funzioni cardiovascolari e metaboliche che includono aumento del peso corporeo con modificazione della distribuzione del grasso corporeo, ridotta tolleranza glucidica, modificazioni del profilo lipidico, aumento della pressione arteriosa, aumento del tono simpatico, disfunzione endoteliale e infiammazione vascolare.
Tutti questi fattori contribuiscono al notevole aumento del rischio cardiovascolare nella donna in menopausa e rappresentano il target di una strategia di prevenzione multidisciplinare (tabella 1).

Menopausa e aumento ponderale


A partire dal primo anno di menopausa si assiste a un progressivo aumento del peso corporeo associato a una redistribuzione del grasso da un assetto di tipo ginoide a uno di tipo androide con prevalente deposizione a livello addominale e degli arti superiori.
Tale modificazione è conseguenza dell’insufficienza ovarica come dimostrato dagli studi clinici che con la terapia ormonale sostitutiva hanno dimostrato la riduzione dell’aumento ponderale.
L’aumento di peso corporeo con tendenza all’obesità centrale si associa a un aumento della resistenza all’insulina e ad un maggiore rischio di malattia coronarica.
Le linee guida dell’American Heart Association 2007 (tabella 1) sulla prevenzione della malattia cardiovascolare nella donna suggeriscono il mantenimento o la perdita di peso corporeo al fine di mantenere un BMI tra 18.5 e 24.9 e una circonferenza addominale £88 cm.
Tale obiettivo è ottenibile mediante un appropriato bilanciamento tra introito calorico e attività fisica (un minimo di 30 minuti di attività moderata-intensa preferibilmente tutti i giorni).

Menopausa e metabolismo glucidico


Con l’inizio della menopausa si assiste a un progressivo aumento della insulinemia e della insulino-resistenza con tendenza a un aumento dei valori di glicemia.
L’alterato metabolismo glucidico associato alle modificazioni dell’assetto lipidico e al progressivo incremento dei valori pressori tipiche della menopausa determinano un notevole aumento del rischio di malattie cardiovascolari. In menopausa si assiste a un aumento dell’incidenza di diabete mellito, che conferisce alle donne un profilo di rischio cardiovascolare totale più sfavorevole rispetto agli uomini.
Infatti, dati tratti dal Framingham Heart Study hanno dimostrato che l’incidenza totale di malattia cardiovascolare e quella di cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco e claudicatio intermittens è significativamente maggiore nelle donne affette da diabete mellito rispetto agli uomini, con un aumento del rischio rispettivamente di 3-7 volte e 2-3 volte. A ciò va aggiunto che circa la metà di tutte le morti nelle donne affette da diabete mellito è attribuibile a malattie cardiovascolari.
La riduzione del grado di insulino-resistenza da parte degli estrogeni costituisce uno degli aspetti peculiari dell’azione protettiva della terapia ormonale sostitutiva sul sistema cardiovascolare nella post-menopausa. È stato infatti dimostrato che gli estrogeni hanno sia un effetto diretto sulla secrezione pancreatica dell’insulina in associazione con i progestinici, sia un effetto periferico aumentando la captazione di glucosio da parte del tessuto adiposo e muscolare scheletrico.
Lo studio Women’s Health Iniziative (WHI) ha dimostrato che la terapia estrogenica sostitutiva diminuisce il rischio di diabete mellito nelle donne in post-menopausa.
Tuttavia bisogna tenere presente che gli unici interventi farmacologici che si sono dimostrati efficaci nel ridurre il rischio cardiovascolare in pazienti diabetici sono la metformina e l’acarbose.
Nelle donne con sindrome metabolica un intervento combinato di esercizio fisico e dieta si è dimostrato efficace nel ridurre il rischio di diabete di nuova insorgenza del 48%.

Menopausa e metabolismo lipidico


La menopausa modifica in senso aterogeno il metabolismo lipoproteico, si stima infatti che più di 1/3 delle donne in postmenopausa presentino alti livelli plasmatici di colesterolo. Numerosi studi osservazionali hanno dimostrato che la menopausa si associa a un significativo aumento dei livelli di colesterolo totale, dovuto soprattutto a un aumento della componente LDL, associato a un incremento dei trigliceridi e della liporpoteina(a), che appare essere un fattore di rischio cardiovascolare emergente e ad una diminuzione del colesterolo veicolato dalle lipoproteine a elevata densità.
Tutti gli studi di coorte concordano nel dimostrare una minore importanza nel sesso femminile rispetto a quello maschile dei livelli di colesterolo totale e LDL nel determinare il rischio cardiovascolare.
Per quanto riguarda i trigliceridi è stato dimostrato che, a parità di livelli plasmatici, il rischio di malattia coronarica è maggiore nelle donne rispetto agli uomini, e che tale rischio aumenta ulteriormente quando si associa a ridotte concentrazioni di HDL.
La differente importanza delle frazioni lipoproteiche nei due sessi è dimostrata dal fatto che le statine che riducendo il colesterolo totale e LDL riducono gli eventi cardiovascolari in prevenzione primaria negli uomini, ma non nelle donne con rischio lieve-moderato. Infatti, ad oggi non esiste alcuno studio in prevenzione primaria che abbia dimostrato dell’efficacia della terapia con statine nel prevenire gli eventi cardiovascolari nelle donne. Lo studio FIELD invece ha dimostrato che nelle donne il fenofibrato è efficace nel ridurre il rischio cardiovascolare.

Menopausa e ipertensione arteriosa


La pressione arteriosa aumenta progressivamente con l’età con importanti differenze tra i due sessi. Nelle donne infatti la pressione arteriosa parte da valori più bassi nelle prime decadi di vita, si approssima ai valori maschili nell’età di mezzo, quella che nella donna corrisponde all’epoca della menopausa, per poi sopravanzare per quel che riguarda soprattutto la pressione arteriosa sistolica i valori dei coetanei maschi.
Tale andamento suggerisce un ruolo degli ormoni sessuali femminili nella regolazione della pressione arteriosa, destinato a interrompersi con la menopausa. Sebbene sia difficile discernere l’impatto della menopausa da quello dell’invecchiamento sul progressivo incremento dei valori pressori che si osserva nel corso della vita nelle donne, va ricordato che la menopausa si associa a una serie di modificazioni vascolari e metaboliche che hanno un ruolo fisiopatologico nell’incremento dei valori pressori (per esempio aumento del peso corporeo, insulino-resistenza, ritenzione di sodio) e che sia la menopausa precoce che quella chirurgica si associano a un aumento accelerato dei valori pressori indipendentemente dall’età.
L’ipertensione arteriosa rappresenta uno dei maggiori fattori di rischio nel sesso femminile: le donne ipertese hanno un’incidenza di malattie cardiovascolari 4 volte maggiori rispetto alle coetanee normotese. Inoltre, l’ipertensione arteriosa conferisce alla donna un più alto livello di rischio cardiovascolare, in particolare per ictus, rispetto all’uomo (rischio relativo di 1.89 nelle donne e di 1.45 negli uomini).
Se alla presenza di ipertensione arteriosa si associa la presenza di diabete, come spesso accade durante la menopausa, il rischio di mortalità cardiovascolare nella donne aumenta ulteriormente rispetto all’uomo (RR 4.57 nella donna rispetto a RR 2.32 nell’uomo).
Alla luce di tali dati appare evidente come il trattamento dell’ipertensione arteriosa rappresenta una priorità nella prevenzione del rischio cardiovascolare nelle donne in menopausa, mediante modificazioni dello stile di vita, terapia antipertensiva ed eventualmente la terapia ormonale sostitutiva.
L’efficacia della terapia antipertensiva nel ridurre il rischio cardiovascolare è stata dimostrata da un grande numero di studi clinici randomizzati e controllati con placebo. Numerose metanalisi di trial clinici di intervento con diversi farmaci antipertensivi hanno dimostrato chiaramente una significativa riduzione della mortalità cardiovascolare, in modo particolare quella legata a ictus e infarto miocardico, e della mortalità totale sia nell’ipertensione sisto-diastolica sia nell’ipertensione sistolica isolata.
Poiché il rischio di eventi cardiovascolari differisce significativamente tra i due sessi, l’impatto della terapia antipertensiva nel ridurre il rischio è stato studiato in maniera specifica nella donna. Il gruppo di studio INDANA ha dimostrato, sulla base di una metanalisi effettuata su più di 40.000 pazienti coinvolti in trial clinici, che nelle donne la terapia antipertensiva riduce significativamente il rischio di ictus, ictus fatale e di eventi cardiovascolari totali.
Tali dati sono stati successivamente confermati dallo studio SHEP (Systolic Hypertension in the Elderly Program), il quale ha evidenziato che un ottimale controllo dei valori pressori sistolici nelle donne riduce la mortalità cardiaca del 25% e l’incidenza di stroke del 36%.
Analogamente, un adeguato controllo dei valori pressori riduce efficacemente la mortalità cardiovascolare e l’incidenza di stroke in tutti i tipi di ipertensione.
Nonostante le evidenze a supporto della necessità di un ottimale controllo dei valori pressori nella donna in menopausa al fine di prevenire la malattia cardiovascolare, i dati forniti dalla Women’s Health Initiative hanno dimostrato che nelle donne in menopausa affette da ipertensione arteriosa il 64% riceveva una terapia antipertensiva, e che solo un terzo delle donne in terapia aveva valori pressori ben controllati.

Terapia ormonale sostitutiva


Numerosi studi osservazionali e un recente report della WHI indicano che la terapia ormonale sostitutiva, se iniziata precocemente dopo la menopausa, può ridurre il rischio cardiovascolare.
Anche nelle donne che fanno terapia ormonale sostitutiva di particolare importanza sembra essere il controllo dell’ipertensione arteriosa. Infatti, l’aumentato rischio cardiovascolare associato alla terapia ormonale sostitutiva riportato inizialmente dallo studio WHI sembrava essere legato allo scarso controllo della pressione arteriosa nella popolazione in studio.
Lo studio PEPI ha valutato l’effetto della terapia estrogenica da sola o in associazione con progestinico rispetto al placebo sui valori di pressione arteriosa in una popolazione di donne in menopausa.
Dopo 3 anni di follow-up non sono state osservate differenze significative nei diversi gruppi di trattamento. In particolare, la pressione arteriosa sistolica si è leggermente ridotta nel primo anno di trattamento per poi aumentare in tutti i gruppi di studio, compreso quello trattato con placebo.
Sempre nell’ambito della terapia ormonale sostitutiva, recenti studi clinici hanno dimostrato il favorevole impatto della combinazione 17beta-estradiolo (E2) e drospirenone (DRSP) nel controllo dei valori pressori, nonché sul metabolismo lipidico.
Il drospirenone è un progestinico derivato dallo spironolattone che presenta una specifica attività anti-mineralcorticoide legata al blocco del recettore per l’aldosternone.
Trial clinici randomizzati hanno dimostrato che tale terapia è in grado di determinare, oltre a un rapido ed efficace sollievo dei sintomi vasomotori e dell’atrofia genito-urinaria, una significativa riduzione dei valori pressori nelle donne ipertese.
Recenti studi, che hanno specificatamente indagato l’effetto della combinazione DRSP/E2 sui valori pressori in donne ipertese in menopausa, hanno dimostrato che tale terapia è in grado di ridurre in maniera significativa i valori pressori sia clinici che nel corso di registrazione ambulatoriale delle 24 ore, e che tale riduzione della pressione arteriosa si associa a una riduzione dei livelli di colesterolo totale, C-LDL e dei trigliceridi.
Dai dati cumulativi del WHI sembra ormai chiaro che la terapia ormonale sostitutiva è sicura e può ridurre il rischio cardiovascolare in donne che la iniziano entro 10 anni dalla menopausa, mentre può aumentare gli eventi cardiovascolari se iniziata dopo i 60 anni di età.

Conclusioni


In conclusione, l’approccio preventivo delle malattia cardiovascolari nelle donne dovrebbe privilegiare il controllo pressorio e la normalizzazione del profilo glucidico.
Il controllo del peso corporeo tramite esercizio fisico regolare è uno strumento fondamentale per la prevenzione cardiovascolare in entrambi i sessi, anche se appare particolarmente utile nelle donne.
Altresì nelle donne con rischio cardiovascolare intermedio non sembra giustificabile un trattamento aggressivo dei livelli di colesterolo.



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