M.D.
numero 9, 21 marzo 2007
Clinica
Carcinoma differenziato della tiroide: diagnosi,
terapia e follow-up
di Furio Pacini, Lucia Brilli, Maria Grazia Castagna -
Sezione di Endocrinologia e Malattie Metaboliche, Università
di Siena
Negli ultimi anni si è registrato un aumento dellincidenza
del carcinoma tiroideo, nella maggior parte dei casi papillare.
Tale incremento è dovuto anche allaffinamento delle
tecniche diagnostiche, anche se va escluso leffetto di
condizioni ambientali. Nonostante ciò la mortalità
appare in decremento, in conseguenza di diagnosi
sempre più precoci e di programmi terapeutici multidisciplinari.
Larticolo che segue fa il punto sulle più recenti
indicazioni diagnostiche e terapeutiche
Il
cancro della tiroide rappresenta l1-2% di tutte
le neoplasie maligne delladulto.
Il dato più rilevante emerso negli ultimi anni è
il progressivo aumento dei casi di tumore della tiroide,
in tutte le fasce detà, con una netta prevalenza
dellistotipo papillare (circa 80% dei casi di tumore
tiroideo).
Questi dati riguardano le casistiche americane dove è
stata infatti stimata nel 2002 unincidenza di tumore della
tiroide di 8.7 casi su 100.000 abitanti per anno contro i 3.6
casi su 100.000 abitanti per anno nel 19731.
Laumentata incidenza del carcinoma differenziato della
tiroide (CTD) è da correlarsi al miglioramento delle
tecniche diagnostiche e, in particolare, dal routinario
impiego dellecografia tiroidea.
Non è tuttavia possibile escludere leffetto di
condizioni ambientali quali lesposizione ad agenti cancerogeni,
maggiormente presenti in determinate aree geografiche (quali
quelle vulcaniche), o a radiazioni ionizzanti.
Nonostante laumentata incidenza, la mortalità
appare invece in netto decremento in conseguenza di diagnosi
sempre più precoci e di programmi terapeutici multidisciplinari.
Il tumore della tiroide si manifesta clinicamente come nodulo
tiroideo, nella maggior parte dei casi scoperto nel corso
di una ecografia del collo.
La patologia nodulare tiroidea rappresenta lendocrinopatia
più frequente e noduli tiroidei si riscontrano in circa
il 50% delle donne detà superiore ai 50 anni2.
Tuttavia soltanto meno del 5% è in realtà un
tumore maligno.
È quindi fondamentale la distinzione tra noduli benigni
e noduli maligni.
Diagnosi
La storia clinica del paziente rappresenta il primo approccio
al problema. La storia di una precedente irradiazione del collo
durante linfanzia, la familiarità per carcinoma
della tiroide, la rapida crescita del nodulo orientano
verso il sospetto di malignità.
Lesame obiettivo del collo riveste la massima importanza
nella valutazione diagnostica. Una corretta palpazione della
tiroide permette di accertare il carattere unico e multiplo,
le dimensioni e la consistenza del nodulo e leventuale
presenza di linfoadenopatie latero-cervicali, di frequente
riscontro nel caso di tumori maligni della tiroide.
Il passo successivo è lecografia del collo associata
alla misurazione dei livelli di TSH, di FT3 e FT4, per escludere
una sottostante tireopatia (ipo- o ipertiroidismo) e il dosaggio
della calcitonina (CT), marker essenziale nella diagnosi preoperatoria
del carcinoma midollare, una forma rara di carcinoma tiroideo,
con unaccuratezza diagnostica superiore allesame
citologico3.
Il dosaggio della tireoglobulina (Tg) non ha un ruolo nella
diagnostica dei noduli tiroidei dal momento che è
correlata alle dimensioni della tiroide piuttosto che alla natura
del nodulo stesso4.
Lecografia tiroidea con ecocolordoppler è fondamentale
nella diagnostica dei noduli tiroidei ed è sempre più
utilizzata come primo esame diagnostico. Aspetti ecografici
suggestivi di malignità sono rappresentati dallipoecogenicità
del nodulo, dalla presenza di calcificazioni, dallassenza
di alone periferico, dai margini irregolari e dalla vascolarizzazione
intranodulare. La combinazione di questi caratteri ultrasonografici
ha un elevato valore predittivo di malignità5.
Sebbene lecografia possa orientare verso una diagnosi
di natura, il gold standard per distinguere tra
nodulo tiroideo benigno e maligno è rappresentato
dallesame citologico mediante agoaspirazione con ago sottile
(FNAC)6.
Una recente consensus europea7 consiglia
di eseguire lagoaspirato tiroideo su tutti i noduli solitari
delle dimensioni superiori a un centimetro, mentre in caso
di noduli piccoli (<1 cm) va eseguito solo in presenza
di aspetti ecografici o anamnestici suggestivi di malignità.
In caso di gozzo multinodulare va eseguito sui noduli
di maggiori dimensioni che risultano freddi o ipocaptanti
alla scintigrafia tiroidea.
La figura 1 illustra lalgoritmo diagnostico-terapeutico
più comunemente accettato e recentemente adottato nella
consensus europea realizzata sotto legida dellEuropean
Thyroid Association7.
Trattamento iniziale
Il trattamento iniziale del carcinoma tiroideo differenziato
si basa sulla tiroidectomia totale seguita dallablazione
del residuo tiroideo post-chirurgico con 131I.
Terapia chirurgica
La tiroidectomia totale rappresenta il trattamento iniziale
minimo di tutti i carcinomi tiroidei, indipendentemente
dalle loro dimensioni, avendo come obiettivo la rimozione di
tutti i focolai tumorali. La dissezione linfonodale del
compartimento centrale va eseguita in tutti i pazienti con
diagnosi di carcinoma tiroideo differenziato, mentre la
linfoadenectomia latero-cervicale è indicata solo nei
casi con evidenza pre-chirurgica di coinvolgimento linfonodale.
Uno dei principali argomenti a favore di una tiroidectomia totale
è lalta frequenza di multifocalità e bilateralità,
soprattutto nei pazienti con carcinoma papillare della
tiroide. Studi istologici hanno infatti dimostrato la presenza
di foci microscopici di carcinoma tiroideo nel lobo controlaterale
in circa il 40-50% dei pazienti con carcinoma papillare
della tiroide8.
Una tiroidectomia radicale riduce significativamente il rischio
di recidiva di malattia, facilita il trattamento ablativo
con 131I del residuo tiroideo chirurgico e il successivo follow-up9.
Lintervento chirurgico di tiroidectomia espone al rischio
di lesione del nervo ricorrente e di ipoparatiroidismo. Il
rischio, per entrambe le complicanze, è poco frequente
(<2%) quando lintervento è eseguito da un chirurgo
esperto.
Terapia ablativa del residuo tiroideo post-chirurgico con
131I
La tiroidectomia totale è seguita dallablazione
del tessuto tiroideo residuo mediante 131I. Le cellule
follicolari hanno infatti la peculiarità di captare
e organificare lo iodio radioattivo. Questa proprietà,
che si esplica grazie a un meccanismo di trasporto attivo dipendente
dalla proteina di trasporto dello iodio e del sodio (NIS - Sodium
Iodine Symporter), è conservata anche in una significativa
proporzione di cellule tiroidee neoplastiche. È su
questa base che la terapia con iodio radioattivo è diventata
parte integrante del trattamento iniziale del carcinoma tiroideo
differenziato10.
Il razionale dellablazione del residuo tiroideo è
quello di ridurre il rischio di recidiva e di facilitare
il follow-up attraverso la distruzione del residuo tiroideo
post-chirurgico11.
Lattività di radioiodio utilizzata è, nella
maggior parte dei casi, unattività empirica compresa
tra 30 e 100 mCi con una efficacia ablativa compresa tra il
65% e il 90%. Sebbene molti autori consiglino limpiego
di alte attività per lablazione del residuo tiroideo
post-chirurgico (100 mCi), numerosi studi presenti in letteratura
dimostrano come basse attività (30-50 mCi) siano in grado
di garantire unefficacia terapeutica sovrapponibile a
quella ottenuta con le alte dosi di 131I senza condizionare
loutcome del paziente.12 Nella
pratica clinica generalmente si ricorre a dosi standard di 131I
comprese tra 30 e 100 mCi.
Essendo la captazione dello iodio da parte delle cellule follicolari
tiroidee dipendente dal TSH, per lablazione del tessuto
tiroideo residuo con 131I sono necessari elevati livelli circolanti
di questo ormone (>25 mU/l) che si possono ottenere tramite
sospensione della terapia con levo-tiroxina (4-5 settimane)
o mediante somministrazione esogena di TSH umano ricombinante
(rhTSH), una glicoproteina di sintesi in grado di stimolare
la captazione dello iodio e la produzione di tireoglobulina
da parte del tessuto tiroideo residuo e/o metastatico.13,14
Secondo
le indicazioni riportate nella consensus europea7
il trattamento radiometabolico è sicuramente indicato
in caso di persistenza di malattia dopo il trattamento chirurgico
o in pazienti ad alto rischio di recidiva (high risk group),
mentre non cè nessuna indicazione in caso di tumore
unifocale <1 cm, senza estensione extratiroidea (very
low risk group) (tabella 1).
Follow-up del carcinoma tiroideo differenziato
Le finalità del follow-up diagnostico nel CTD sono rappresentate
dalla correzione dellipotiroidismo post-chirurgico e dalla
precoce individuazione di persistenza o recidiva di malattia.
Circa il 5-10% dei pazienti presenta metastasi loco-regionali
o a distanza già alla diagnosi, mentre il 5-20% di essi
li sviluppa nel corso del follow-up. Le recidive sono più
frequenti durante i primi cinque anni di follow-up, ma possono
manifestarsi anche a distanza di alcune decadi dal trattamento
iniziale, pertanto il follow-up deve essere continuato per tutta
la vita.
Il primo controllo dopo lintervento e la terapia con 131I
si effettua dopo circa tre mesi. In questa occasione si effettua
unecografia del collo e il dosaggio di FT3, FT4, TSH,
Tg e AbTg allo scopo di verificare se il paziente assume una
dose corretta di levo-tiroxina e per valutare i livelli di Tg
(marcatore tumorale dotato di alta sensibilità e
specificità) durante il trattamento ormonale.
In presenza di valori indosabili di Tg e negatività degli
anticorpi anti-tiroide, a distanza di circa 6-12 mesi dal trattamento
radiometabolico con 131I verrà eseguito il dosaggio della
Tg dopo rhTSH associato allecografia del collo.
Luso combinato delle due metodiche è infatti in
grado di diagnosticare tutti i pazienti con persistenza
o recidiva di malattia loco-regionale o a distanza.15
In presenza di valori indosabili di Tg (<1.0 ng/ml) e negatività
dellecografia del collo, il paziente potrà essere
considerato in remissione di malattia e dovrà eseguire
annualmente lecografia del collo e il dosaggio della tireoglobulina
durante il trattamento con ormoni tiroidei.
In presenza di tireoglobulina dosabile (>2.0 ng/ml) il paziente
dovrà essere sottoposto a un nuovo trattamento terapeutico
che a seconda del caso potrà essere rappresentato dalla
chirurgia (in presenza di metastasi linfonodali o metastasi
a distanza aggredibili chirurgicamente) o della terapia radiometabolica
con 131I.
Nei pazienti con livelli di Tg dopo rhTSH compresi tra 1-2 ng/ml
è consigliabile ripetere il dosaggio della Tg dopo rhTSH
a distanza di un anno: in presenza di Tg indosabile il paziente
potrà essere considerato in remissione di malattia; nel
caso in cui la Tg permane dosabile, ma a livelli ridotti rispetto
al controllo precedente potrà essere indicata la prosecuzione
del follow-up, mentre in caso di un ulteriore incremento dei
valori di Tg sarà necessario un completamento diagnostico
mediante TAC collo-torace e la somministrazione
di unulteriore dose terapeutica di 131I7 (figura 2).
La scintigrafia totale corporea con dose diagnostica di 131I
è riservata ai pazienti con positività degli anticorpi
anti-tireoglobulina dal momento che, in questi casi, il dosaggio
della Tg non rappresenta un indicatore affidabile.
I controlli seriati degli AbTg possono essere utilizzati come
marcatore alternativo. Infatti nei pazienti con AbTg positivi
che sono stati curati si assisterà ad una progressiva
negativizzazione degli anticorpi entro 1-4 anni. Al contrario,
pazienti che presenta una persistenza di malattia dopo il trattamento
hanno sempre valori dosabili degli AbTg.16
Terapia delle metastasi
La cura delle metastasi si può ottenere nei due terzi
dei pazienti con malattia loco-regionale e in un terzo di
quelli con metastasi a distanza.
La terapia della recidiva loco-regionale si basa sulla combinazione
della chirurgia e radiometabolica con 131I, nei pazienti che
presentano captazione del radioiodio. Nei casi in cui non è
possibile una completa escissione chirurgica e in caso di metastasi
che non concentrano il radioidio è indicato il trattamento
radioterapico.17
Nel caso di metastasi polmonari captanti 131I, il trattamento
consiste nella somministrazione di 131I previa sospensione della
terapia con l-tiroxina. La maggior parte delle remissioni si
ottengono con dose cumulativa uguale o inferiore a 600 mCi.17,18
Il trattamento delle metastasi ossee si basa sulla combinazione
della chirurgia ove possibile, sulla terapia con 131I se le
metastasi si presentano iodiocaptanti e sulla terapia radiante
esterna.17,19
Le metastasi encefaliche sono rare. Se presenti, il trattamento
di scelta è chirurgico. Se non resecabili chirurgicamente
e non iodocaptanti, il trattamento palliativo è rappresentato
dalla terapia radiante esterna.20
Terapia ormonale
Dopo la tiroidectomia tutti i pazienti con CTD devono intraprendere
la terapia con ormoni tiroidei. Le finalità di questo
trattamento sono principalmente due: correggere lipotiroidismo
post-chirurgico e sopprimere i livelli circolanti di TSH.
Una terapia soppressiva ottimale è quella che utilizza
le dosi più basse di levo-tiroxina (LT4) sufficienti
a sopprimere i valori di TSH al di sotto di 0.1 µU/ml
in presenza di normali concentrazioni di T3 e T4 libere.
Il trattamento soppressivo andrà continuato sino alla
remissione clinica, momento in cui, nei pazienti a basso rischio,
si potrà passare dal dosaggio soppressivo a quello sostitutivo,
mantenendo però livelli di TSH nel range basso della
norma.
Nel caso di pazienti ad alto rischio la terapia soppressiva
va mantenuta per circa 3-5 anni, epoca in cui si potrà
passare ad un dosaggio sostitutivo.7
Nei pazienti con ipoparatiroidismo post-chirurgico permanente
è necessario intraprendere terapia con sali di calcio
(dose giornaliera 1-2 g) e derivati della vitamina D (dose giornaliera
di calcitriolo: 0.5-1.5 µg).
Lo scopo della terapia è quello di mantenere una concentrazione
di calcio sierico nel range basso della norma al fine di evitare
lipercalciuria. Allinizio della terapia il calcio
e il fosforo sierico devono essere dosati a intervalli settimanali.
Successivamente dovranno essere fatte determinazioni a intervalli
mensili, fino a quando non vengono ottenuti valori stabilmente
nella norma, e poi ad intervalli di 3-6 mesi.
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