M.D.
numero 8, 14 marzo 2007
Riflessioni
Una visita domiciliare allinsegna della
frustrazione
Ci
sono aspetti della nostra professione che forse sfuggono a quei
colleghi che, ligi al dovere, a ogni richiesta di visita domiciliare
si precipitano fuori dallo studio. Questo zelante atteggiamento
costa loro la perdita dellopportunità di vedere
guardia medica e 118 allopera. A me, che faccio le visite
domiciliari a fine giornata, questa opportunità invece
si presenta spesso. Lultima volta, in piena epidemia influenzale,
sono capitato in casa di un paziente alle nove di sera. Suono
il citofono e, anzicché attendere i soliti due o tre
minuti, il portoncino si apre allistante. Possibile che
stiano aspettandomi? No, non stavano aspettando me, lavrei
capito poco dopo. Ah, il dottore, ci scusi, ma abbiamo
già chiamato la guardia medica. Ecco chi stavano
aspettando, ma mi sbagliavo ancora. Entro e per poco non mi
viene un colpo. Nel disimpegno mi si parano di fronte due figure
mascherate. Dopo il primo attimo di sgomento, riconosco la collega
della guardia medica con una mascherina chirurgica sul viso.
Laltra persona, vestita di arancione e con una mascherina
fuori ordinanza, appuntita come quella dei cerusici seicenteschi,
dovrebbe essere lautista-infermiere. Dunque non aspettavano
la guardia medica, dato che è già arrivata. La
collega mi saluta e mi descrive sommariamente quello che ha
saputo e quello che ha fatto. Il paziente si lamenta perché
linfluenza non gli passa e da qualche ora ha iniziato
a girargli la testa. Se vuoi provare a visitarlo,
mi dice la collega, ma non si riesce a farlo muovere.
Mentre mi avvio verso la camera da letto mi viene da fare un
confronto fra me e la collega di guardia medica. Una differenza
è di certo la mascherina: la collega ce lha e io
no. Però, se volessi, potrei procurarmene una anchio.
Se sono troppo taccagno per comprarne una scorta e troppo timido
per andare in giro con quella bardatura, sono cavoli miei.
Però cè una seconda differenza rilevante.
La collega non deve guidare né cercare un parcheggio:
cè un autista-infermiere che la scarrozza per il
circondario, tiene i collegamenti con la centrale, parcheggia
dove capita e, con la sua tenuta arancione fosforescente, non
tiene lontani solo gli automobilisti ubriachi, ma anche i vigili
multa-facile. E, last but not least, in questi tempi di denunce
a go-go, diventa alloccasione un ottimo testimone. Perché
lei ha tutto questo e io no? La convenzione non mi chiede in
fondo le stesse cose che chiede a lei? Giro la domanda ai nostri
solerti sindacati.
Mi rendo subito conto che la collega ha ragione. Il paziente
non ha la minima intenzione di muovere altri muscoli che non
siano quelli respiratori. Se solo apro gli occhi, vomito.
Mi sento in colpa per non essere arrivato prima, anche se in
fondo non avrei cambiato di molto la situazione. Mentre sto
tentando di fare qualche domanda, entra la solita vicina di
casa che mi dice: La dottoressa gli ha appena fatto uniniezione
e tra un po arriverà il 118. Il 118? Ecco
chi stavano aspettando! Sento raddoppiare il mio senso di colpa.
Se fossi arrivato prima, avrei potuto impedirlo. Batt i strasc
e cumpar la stria o, come recita lequivalente detto italiano,
parli del diavolo e spuntano le corna: si sente
il rimbombo degli anfibi sulle scale, poi le porte si spalancano
ed entra quella che sembra una troupe di attori di ER Medici
in prima linea. Anche loro, tutti bardati di arancione, comandante
compreso. Il comandante è una giovane dottoressa che
probabilmente aveva il morbillo il giorno in cui allUniversità
hanno parlato dei rapporti fra colleghi. Scansa senza nemmeno
guardarla la collega della guardia medica, gira intorno al letto
agitando un assortimento di strumenti vari, mentre a ruota la
seguono linfermiere con lossigeno, quello con i
mega zaini del pronto soccorso e quello con il defibrillatore.
Apostrofa direttamente il paziente senza chiedere nulla a nessuno:
mai fidarsi, lei va dritta alla fonte. Probabilmente ha imparato
a misurare la pressione dagli articoli originali di Riva-Rocci.
Di me, che sono in mezzo alla stanza con la mia ridicola borsa
da Mmg, non si è nemmeno accorta. Per forza, non sono
vestito di arancione. Avrei potuto essere lassassino
che ha appena ridotto in fin di vita il paziente con una
mannaia ancora sporca di sangue, ma lei niente, lei nemmeno
mi saluta. Ho capito: non servo. Tanto vale che me ne vada.
Quando un paziente sta veramente male, ci vuole unéquipe,
non un vecchio singolo medico. Ma allora, perché la convenzione
si ostina a dirmi che devo andare di casa in casa solo come
un cane, con un fonendoscopio e quattro scartoffie, con la macchina
che ostruisce il traffico e che forse non troverò dopo
la visita perché me lha portata via il carro-attrezzi?
Mentre varco la porta do unocchiata indietro e intravvedo
gli infermieri che brancano il paziente e lo girano. Forse
vogliono mettergli gli elettrodi dellECG, o forse lo denudano
per leventualità che serva defibrillarlo. Mi viene
una botta di nausea. Che il paziente me labbia già
attaccata? O forse è solo la frustrazione di sapere che
il pane vien dato a chi non ha i denti e i mezzi a chi non
ha il... Lasciamo perdere.
Antonio Attanasio,
Medico di medicina generale
Mandello del Lario (LC)