M.D.
numero 6, 28 febbraio 2007
Rassegna
Nuovi progressi nel trattamento dellosteoporosi
con bisfosfonati
di Giada Mei
La più recente novità riguarda levoluzione
dei regimi di somministrazione orale di questi farmaci: la formulazione
mensile di ibandronato si è infatti dimostrata unefficace
alternativa ai bisfosfonati orali giornalieri e settimanali
Sviluppo dei regimi
di somministrazione dei bisfosfonati
La
scoperta dei bisfosfonati, avvenuta negli anni Sessanta, e il
loro successivo sviluppo hanno rappresentato un notevole progresso
nel trattamento dellosteoporosi: i farmaci di questa classe
ad oggi disponibili per la terapia dellosteoporosi hanno
dimostrato, infatti, una buona efficacia nel ridurre il rischio
di fratture, nellaumentare la densità minerale
ossea (BMD) e nel ridurre i marcatori biochimici del turnover
osseo. Levoluzione della terapia con i bisfosfonati orali
verso regimi con intervalli di somministrazione più prolungati
nel tempo è stata resa possibile grazie alle peculiarità
farmacodinamiche e farmacocinetiche di alcuni di questi farmaci.
In primo luogo, gli effetti a livello cellulare, fra cui la
capacità, caratteristica degli aminobisfosfonati, di
inibire lenzima farnesilpirofosfato sintetasi. Tale enzima
è essenziale non solo per la sintesi del colesterolo
(via del mevalonato), ma anche per quella di alcune proteine
cruciali per la fisiologia cellulare. A livello degli osteoclasti,
questa azione comporta una disorganizzazione del citoscheletro,
unalterazione morfologica delle vescicole intracellulari
e, in ultima analisi, la loro morte per apoptosi. Altre caratteristiche
che sembrano poter consentire una somministrazione meno frequente
di quella giornaliera sono unelevata potenza antiriassorbitiva,
che risulta fortemente correlata alla capacità di inibire
la farnesilpirofosfato sintetasi e la persistenza del loro effetto
anche dopo la sospensione della terapia. Questultimo aspetto
sembra associato ad una diversa affinità di questi farmaci
per la componente minerale dellosso e, in particolare,
alla loro capacità di legarsi allidrossiapatite.
Infine, anche un buon profilo di tollerabilità, specialmente
a livello gastrointestinale, è una delle caratteristiche
fondamentali per consentire una somministrazione intermittente
dei bisfosfonati orali.
Il ruolo delladerenza al trattamento
A fronte dei benefici terapeutici evidenziati dagli studi clinici
condotti con i bisfosfonati, è stata verificata la necessità
di migliorare laderenza delle pazienti alla terapia con
questi agenti, per poter trasferire nella pratica clinica quotidiana
le potenzialità dei trattamenti disponibili.
Un recente studio italiano (TOP: Treatment of Osteoporosis in
clinical Practice) condotto in 141 centri, che ha coinvolto
9851 donne in post-menopausa in trattamento per losteoporosi
con diversi approcci farmacologici (supplementi di calcio con
o senza vitamina D, terapia ormonale sostitutiva, raloxifene
60 mg/die, clodronato im 100 mg/7-14 giorni, risedronato 5 mg/die
e alendronato 10 mg/die o 70 mg una volta a settimana), ha infatti
mostrato che una paziente su 5 interrompe la terapia prima di
sottoporsi a una rivalutazione della massa ossea, più
della metà delle quali entro i primi 6 mesi di trattamento.
La terapia meno frequentemente interrotta è risultata
essere quella con alendronato settimanale, a supporto dellevidenza
che una riduzione della frequenza di somministrazione dei bisfosfonati
orali è in grado di migliorare laderenza alla terapia.
Le motivazioni principali di sospensione del trattamento sono
risultate gli effetti collaterali o il timore di una loro eventuale
comparsa, la scarsa motivazione, i costi e la scomodità
delle modalità di assunzione della terapia. Questa situazione
si ripercuote negativamente sul piano economico e clinico: vengono
infatti impiegate risorse sanitarie per trattamenti che, in
quanto non correttamente utilizzati, non possono apportare i
benefici clinici per cui vengono prescritti, vanificando linvestimento
operato per la prevenzione di nuove fratture e del loro impatto,
sia sulla vita della paziente che sulle spese per la sua assistenza.
Al fine di migliorare questa situazione, un ruolo fondamentale
deve essere giocato dal medico, a cui è affidato il compito
di illustrare i benefici e i possibili effetti collaterali della
terapia e di tenere in considerazione, per quanto possibile,
al momento della prescrizione, le preferenze e le abitudini
di vita del paziente.
Come già accennato, unaltra strategia che può
facilitare laderenza al trattamento è quella di
ridurre la frequenza delle somministrazioni. In questo contesto,
la somministrazione settimanale dei bisfosfonati ha rappresentato
un importante passo avanti in questa direzione, ma non ha risolto
completamente il problema: tuttora circa il 50% dei soggetti
in trattamento con i regimi settimanali abbandona la terapia
entro un anno. In tal senso, è ragionevole ritenere che
somministrazioni ancora meno frequenti possano risultare ulteriormente
più comode e gradite. Per questo motivo la ricerca degli
ultimi anni in questo campo si è indirizzata verso lo
sviluppo di nuove molecole, come libandronato, le cui
caratteristiche farmacologiche potessero consentire una somministrazione
ancora più dilazionata nel tempo senza influire negativamente
sullefficacia e soddisfacendo così le esigenze
del paziente in termini di compliance.
Efficacia e sicurezza del regime mensile
Lo studio BONE
Lo sviluppo clinico di ibandronato si è basato essenzialmente
su tre studi clinici: BONE, MOPS e MOBILE.
Lo studio BONE (oral iBandronate Osteoporosis vertebral fracture
trial in North America and Europe) multicentrico, randomizzato,
in doppio cieco, controllato con placebo, ha consentito la registrazione
del dosaggio giornaliero di ibandronato per lutilizzo
clinico nel trattamento dellosteoporosi postmenopausale.
Il trial è stato condotto su 2946 donne in post-menopausa
(età: 55-80 anni), che rispondevano ai seguenti criteri
di inclusione: stato menopausale da almeno 5 anni, T-score della
colonna lombare compreso fra -2 e -5 e da 1 a 4 fratture vertebrali
pregresse.
Le partecipanti sono state randomizzate a ricevere, in aggiunta
a 500 mg di calcio e 400 UI di vitamina D al giorno, ibandronato
giornaliero (2.5 mg), ibandronato intermittente (20 mg a giorni
alterni per un totale di 12 dosi ogni tre mesi) o placebo.
Dopo
tre anni di trattamento, la somministrazione orale giornaliera
e intermittente di ibandronato ha ridotto significativamente
e in modo sovrapponibile il rischio di nuove fratture vertebrali
morfometriche, rispettivamente del 62% (p=0.0001) e del 50%
(p=0.0006) rispetto al placebo. Sono stati inoltre registrati
progressivi e significativi incrementi della BMD lombare e una
significativa riduzione del turnover osseo rispetto al placebo.
Essendo la popolazione generale dello studio a basso rischio
di fratture osteoporotiche, lincidenza di fratture cliniche
non vertebrali a tre anni è risultata bassa e non sufficiente
a evidenziare differenze statisticamente significative tra i
gruppi in trattamento attivo o con placebo. Unanalisi
post hoc condotta in un sottogruppo di pazienti ad alto rischio
fratturativo (T-score del collo del femore <-3) ha tuttavia
mostrato che il regime giornaliero era in grado di ridurre significativamente
il rischio di fratture non vertebrali del 69% (figura 1).
La tollerabilità di entrambi i regimi di ibandronato
è risultata buona e simile a quella del placebo.
Lo studio BONE ha quindi dimostrato per la prima volta lefficacia
antifratturativa di uno schema posologico intermittente con
un bisfosfonato ed ha costituito di conseguenza il razionale
scientifico per lo sviluppo del regime mensile di ibandronato.
Tuttavia, il leggero vantaggio in termini di efficacia antifratturativa
e di incrementi della BMD registrato con la somministrazione
giornaliera rispetto a quella intermittente, osservato in precedenza
anche in studi di confronto (bridging) con altri bisfosfonati
orali giornalieri o settimanali, ha suggerito come lestensione
dellintervallo fra le somministrazioni possa richiedere
un incremento della dose cumulativa del farmaco.
Lo studio MOPS
La fattibilità di una somministrazione mensile di ibandronato
è stata valutata nello studio pilota MOPS (Monthly Oral
Pilot Study), che ha consentito di valutare la tollerabilità
e lefficacia sui parametri di riassorbimento osseo di
diversi dosaggi mensili di ibandronato (50, 100 e 150 mg), selezionati
sulla base di precedenti analisi di sensibilità.
Lendpoint primario era rappresentato dalla tollerabilità
del trattamento. Come parametri di efficacia sono state valutate
le concentrazioni sieriche e urinarie del C-telopeptide (CTX),
un marker di riassorbimento osseo.
La somministrazione mensile di ibandronato è risultata
ben tollerata a tutte le dosi studiate. Lefficacia è
risultata dose-dipendente, incoraggiando ulteriori approfondimenti
per i dosaggi da 100 e 150 mg.
Lo
studio MOBILE
Lo studio MOBILE (Monthly Oral iBandronate In LadiEs) è
stato condotto con lintento di valutare lefficacia
della somministrazione mensile di ibandronato. A tal fine, questo
studio è stato disegnato sulla base del concetto di bridging,
che, partendo dallosservazione che lefficacia antifratturativa
dei bisfosfonati è principalmente derivata dai loro effetti
sul turnover e sulla densità ossei, assume che posologie
o formulazioni diverse del medesimo principio attivo, che abbia
precedentemente dimostrato unefficacia antifratturativa
in grado di determinare effetti simili su questi parametri,
risulteranno efficaci in misura analoga anche sulla riduzione
del rischio di fratture.
Lo
studio MOBILE è uno studio di non-inferiorità,
della durata di 2 anni, che aveva come obiettivo di dimostrare
lequivalenza terapeutica, in termini di aumento della
BMD e di riduzione dei marcatori di turnover osseo, tra la formulazione
orale giornaliera da 2.5 mg e quella mensile da 100 o 150 mg
di ibandronato.
Sono state arruolate complessivamente 1609 donne con osteoporosi
postmenopausale, randomizzate a ricevere ibandronato 2.5 mg/dieno,
ibandronato 50+50 mg (dosi singole in due giorni consecutivi)
al mese, 100 o 150 mg al mese.
Ad 1 anno, tutti i regimi mensili sono risultati non inferiori
alla somministrazione giornaliera in termini di incrementi della
BMD della colonna lombare e, in particolare, il dosaggio da
150 mg si è dimostrato addirittura superiore rispetto
a questultima. Tali effetti sono stati confermati anche
a 2 anni (figura 2).
Tutti
i regimi mensili hanno anche prodotto aumenti della BMD femorale
più consistenti rispetto a quelli ottenuti con la somministrazione
giornaliera ed anche in questo caso il dosaggio da 150 mg si
è dimostrato superiore rispetto a questultima a
livello di tutti i siti indagati (figura 3).
Sono inoltre state osservate marcate riduzioni dei livelli sierici
del CTX in tutti i gruppi di trattamento, già dopo 3
mesi di terapia (figura 4).
Infine, la tollerabilità dei regimi mensili è
risultata analoga a quella del regime giornaliero.
La strategia di ridurre ulteriormente la frequenza di somministrazione
dei bisfosfonati sembra essere risultata gradita dalle pazienti,
che negli studi randomizzati, in aperto, crossover, della durata
di 6 mesi BALTO I e BALTO II hanno dichiarato in oltre il 70%
dei casi di preferire il trattamento mensile con ibandronato
rispetto a quello settimanale con alendronato.
Inoltre, un altro studio, denominato US Persistence, sta valutando
la persistenza delle pazienti trattate con ibandronato mensile
rispetto a quelle trattate con bisfosfonati settimanali (alendronato
e risedronato). Si tratta di unanalisi osservazionale
retrospettiva di una banca dati comprendente oltre 17.5 milioni
di pazienti statunitensi. Unanalisi preliminare a 6 mesi
condotta su 6127 donne ha evidenziato, nelle pazienti trattate
con ibandronato mensile, un incremento della persistenza al
trattamento del 27.2% (p<0.0002) rispetto a quelle trattate
con bisfosfonati a cadenza settimanale.
Nel loro insieme, queste evidenze suggeriscono come la somministrazione
mensile di ibandronato possa costituire unefficace, ben
tollerata e pratica alternativa ai bisfosfonati orali giornalieri
e settimanali nel trattamento dellosteoporosi postmenopausale.