M.D.
numero 6, 28 febbraio 2007
Documenti
Ipertransaminasemie croniche asintomatiche
non correlate a virus o alcol
Nellambito del Programma nazionale linee guida dell'Istituto
Superiore di Sanità è stata pubblicata la Consensus
conference sul management delle ipertransaminasemie croniche
asintomatiche non correlate a virus o ad abuso di alcol. Il
documento, destinato principalmente ai Mmg, contiene suggerimenti
sull'iter diagnostico da seguire e sul monitoraggio della malattia
Recentemente
un panel di esperti riuniti nella Consensus conference dell'Istituto
Superiore di Sanità ha emanato un documento sulla gestione
delle ipertransaminasemie croniche asintomatiche non correlate
a virus o ad abuso di alcol (www.pnlg.it), rivolto principalmente
ai medici di medicina generale e ai medici dei centri trasfusionali,
primi ad affrontare il problema di un adulto asintomatico con
innalzamento dei livelli di transaminasi non provocato da virus
o alcol. Lobiettivo principale del documento è
quello di suggerire una linea generale di comportamento e un
percorso diagnostico per identificare alcune cause di tale condizione
clinica.
Lipertransaminasemia è un indicatore biochimico
di danno epatocellulare discretamente sensibile ma del tutto
aspecifico, caratteristico di diverse condizioni cliniche. Dato
che il dosaggio delle transaminasi è un esame di routine,
il rilievo di un loro aumento è un dato di laboratorio
molto frequente, che innesca di solito un iter diagnostico finalizzato
a stabilire diagnosi e trattamento.
Nei Paesi occidentali unipertransaminasemia persistente
negli adulti è nella maggior parte dei casi correlata
a malattia da virus C, in misura minore da virus B e ad abuso
alcolico. Esiste tuttavia una percentuale di soggetti con ipertransaminasemia
persistente non associata a questi fattori eziologici, che potrebbe
essere indicativa di una patologia potenzialmente rilevante.
Sebbene dai dati della letteratura disponibili non sia possibile
dedurre una stima diretta, nella popolazione generale italiana
sembra verosimile una prevalenza della ipertransaminasemia non
virus, non alcol correlata tra il 3% e il 6%.
Definizione
Secondo gli esperti la definizione di ipertransaminasemia non
virus, non alcol correlata deve rappresentare il migliore compromesso
tra lesigenza di non trascurare un possibile segno di
patologia potenzialmente rilevante e lesigenza contrapposta
di non medicalizzare un soggetto sano.
Per raggiungere questo obiettivo la definizione si è
basata anzitutto sul criterio della persistenza di valori superiori
a quelli di norma di una o delle due transaminasi, lasciando
in secondo piano lentità dellipertransaminasemia.
Nel documento la definizione include soggetti adulti senza segni
fisici, sintomi o storia di malattia epatica manifesta, con
valori di una o delle due transaminasi, che si mantengano superiori
ai limiti di riferimento per almeno quattro settimane, nei quali
i marker virali più comuni (HBsAg, anti-HCV) sono negativi
ed è ragionevole lesclusione dellabuso alcolico
(nelluomo più di due unità alcoliche o drink/die,
pari a circa 24 g di alcol, e più di una unità
alcolica o drink/die pari a circa 12 g di alcol nella donna).
Il tempo minimo di ripetizione del dosaggio delle transaminasi
è stato fissato in 4 settimane, mentre lintervallo
tra i controlli può essere minore se si sospetta un errore
di laboratorio o in soggetti con valori particolarmente elevati,
per esempio oltre cinque volte i limiti superiori di riferimento.
Cause
Le principali cause di danno epatico non virus, non alcol correlato
che possono determinare un aumento cronico dei livelli delle
transaminasi sono:
-
steatosi e steatoepatite non alcolica (NAFLD, non alcoholic
fatty liver disease): prevalenza tra il 45% e il 90%;
-
celiachia:
prevalenza tra il 2% e l11%;
-
emocromatosi:
prevalenza 1-3%;
-
malattia
di Wilson (malattia genetica caratterizzata da accumulo di
rame in diversi tessuti, in particolare nel fegato, nel cervello
e nella cornea). Anche se è una condizione rara, dovrebbe
essere inclusa nella diagnosi differenziale, in quanto è
caratterizzata dallefficacia di un provvedimento terapeutico
tempestivo.
Nel
documento sono inoltre indagate una serie di condizioni patologiche
(epatite autoimmune, cirrosi biliare primitiva, colangite sclerosante
primitiva e deficit di alfa-1 antitripsina) che per la bassa frequenza
sono da prendere in considerazione nelliter diagnostico
solo in un secondo momento e in un contesto specialistico, dato
che richiedono risorse di laboratorio superiori a quelle del setting
della medicina generale.
Non sono disponibili invece dati per valutare la prevalenza di
ipertransaminasemia legata alla tossicità da farmaci o
da altri xenocomposti, compresi i prodotti di erboristeria. La
loro individuazione è tuttavia necessaria ed è basata
sulla storia e sulla risposta alla sospensione dello xenocomposto
sospettato. Va tenuto presente inoltre che le ipertransaminasemie
persistenti possono essere associate a patologia muscolare eredo-familiare
o acquisita, a malattie della tiroide, a insufficienza corticosurrenale
e ad altre condizioni più rare.
Percorso diagnostico
Nel percorso diagnostico più appropriato per risalire da
una ipertransaminasemia persistente non virus, non alcol correlata
alla patologia causale gli elementi da considerare sono:
-
necessità
preliminare di definire lipertransaminasemia come persistente
(e non transitoria) e di escluderne lorigine virale
o da abuso alcolico;
-
probabilità
epidemiologica, basata sulla prevalenza relativa di ciascuna
delle cause ipotizzabili, tenuto conto di età, sesso,
fattori di rischio (per esempio familiarità);
-
probabilità
clinica (per esempio obesità o diabete per la NAFLD,
anemia ferropriva inspiegata per la celiachia, sintomi e segni
neurologici per la malattia di Wilson);
-
accuratezza
e costo dei test prospettabili;
-
interpretazione
dei risultati, che tenga conto del basso valore predittivo
dei test in patologie a bassa prevalenza e del conseguente
rischio di falsi positivi.5
Tenendo
presente queste considerazioni, il percorso diagnostico più
appropriato prevede:
-
una
parte generale, riguardante lo stato anatomo-funzionale del
fegato (gGT, proteinemia con elettroforesi, esame emocromocitometrico
inclusa la conta delle piastrine; ecografia delladdome
superiore);
-
una
parte orientata sulla causa più probabile, dedotta
dalla prevalenza relativa nello specifico contesto clinico
(età, storia, esame fisico ed esami già disponibili,
come morbo di Wilson in giovani adulti, celiachia in giovani
donne con storia di anemia ferropriva cronica non spiegata
da perdite mestruali o epatite autoimmune in donne con spiccata
ipergammaglobulinemia).
Sul
piano operativo viene proposto un approccio che prende in considerazione
le tre condizioni eziologiche più frequenti e la malattia
di Wilson:
-
glicemia, C-HDL, trigliceridi: NAFLD;
- sideremia,
transferrinemia, ferritinemia: emocromatosi;
- anti
transglutaminasi (TgA): celiachia;
- dosaggio
della ceruloplasmina: malattia di Wilson (solo in soggetti <35-40
anni di età).
Steatosi
e steatoepatite non alcolica
Gli indicatori clinici che possono fare sospettare la NAFLD sono
un elevato Body Mass Index (BMI), aumento della circonferenza
addominale, diabete, insulino resistenza, ipertrigliceridemia.
Si stima che la prevalenza di NAFLD sia pari al 70% nei soggetti
obesi e al 35% nei soggetti non obesi. La prevalenza delle forme
di NAFLD con potenziale evolutivo verso la cirrosi, caratterizzate
istologicamente come steatoepatite non alcolica (NASH), è
stata stimata intorno al 18.5% negli obesi e al 2.7% nei non obesi.
Predittori di NASH sono letà >40-50 anni, un grado
severo di obesità, il diabete e lipertrigliceridemia.
- Test:
non esistono test di laboratorio diagnostici di NAFLD. La diagnosi
di steatosi è basata sugli esami di imaging (ecografia,
TAC e RMN), anche se di sensibilità insufficiente a rivelare
un grado di steatosi inferiore al 25-30%. Di questi esami, il
più diffuso e meno costoso è lecografia,
le cui caratteristiche operative sono correlate allentità
della steatosi. Né i test di laboratorio né limaging
hanno valore diagnostico per distinguere la NASH dalla semplice
NAFLD, dato che la distinzione tra le due è istologica.
Pertanto i soggetti con ragionevole sospetto di NASH andrebbero
sottoposti a biopsia epatica.
Celiachia
La celiachia è soprattutto un disturbo giovanile, essendo
generalmente riconosciuta prima dei 30-40 anni di età.
Caratteristiche cliniche che possono aumentare la probabilità
sono: una struttura corporea minuta, disturbi dispeptici
o simil colon irritabile in entrambi i sessi e, nelle donne, problemi
di fertilità o incapacità di portare a termine la
gravidanza, anemia ferropriva non spiegata, precoce osteoporosi.
-
Test:
quelli utili per la diagnosi sono:
anticorpi anti endomisio (EMA) di tipo IgA (IgG nei
pazienti con deficit di IgA);
anticorpi anti transglutaminasi tessutale (a-tTG IgA)
con test ELISA;
anticorpi antigliadina (AGA): test non più raccomandato
nella diagnostica per scarsa sensibilità, tuttavia
è utile nei bambini di età inferiore ai due
anni.
Emocromatosi
Il sovraccarico di ferro e le manifestazioni cliniche dellemocromatosi
sono molto più frequenti nella popolazione maschile.
I primi indizi clinici si hanno in genere tra i 40 e i 50 anni.
Nellemocromatosi lipertransaminasemia è più
frequente nei pazienti con danno epatico avanzato e in questi
casi può essere il primo indizio di laboratorio della
malattia. Diabete, ipogonadismo, artralgie e iniziale pigmentazione
elevano la probabilità, che diventa maggiore se sono
presenti in famiglia altri soggetti affetti da emocromatosi
ereditaria.
Malattia
di Wilson
I fattori che aumentano la probabilità sono: età
giovanile, storia familiare di morti in età giovanile per
malattie del fegato, presenza in famiglia di altri soggetti (omo
o eterozigoti) affetti dalla malattia di Wilson, associazione
di segni o sintomi neuropsichiatrici, presenza di anello di Kaiser
Fleischer. Nelladulto la prevalenza è decrescente
dal secondo al quarto decennio di vita, con rari casi fino a 60
anni e oltre.
n Test: nel sospetto di malattia il test iniziale è la
ceruloplasmina del siero, considerando normali valori >20 mg/dl.
In realtà, valori <10 mg/dl, presenti in circa l80%
dei casi, sono virtualmente diagnostici e possono essere considerati
conclusivi se associati ad anello di Kaiser-Fleischer. Data la
necessità di non mancare la diagnosi, è opportuno
inviare a un centro specialistico per ulteriori indagini i soggetti
anche con valori normali o poco ridotti di ceruloplasmina. Anche
una cupruria di base >100 mcg/die o una cupruria post penicillamina
>1.600 mcg/24 ore suggeriscono le diagnosi. Data la severità
della malattia, il trattamento impegnativo a vita, la frequenza
di cirrosi già alla diagnosi e la prospettiva del trapianto,
in tutti i casi con sospetto o con diagnosi certa dovrebbe essere
eseguita una biopsia epatica.
Diagnosi e interventi terapeutici
Per le malattie causali di ipertransaminasemia persistente non
virus, non alcol correlata esistono sufficienti prove di efficacia
riguardo il trattamento, in particolare:
-
la
diagnosi di celiachia consente, con la prescrizione di una
dieta senza glutine, il completo recupero istologico dellalterazione
dei villi, la scomparsa dei segni clinici di malassorbimento,
la normalizzazione delle transaminasi e la prevenzione almeno
parziale dello sviluppo di patologia neoplastica;
-
la
diagnosi di emocromatosi e la conseguente pratica del salasso
periodico consentono, particolarmente se precedono lo sviluppo
della cirrosi, una significativa riduzione di mortalità
e morbilità;
-
la
diagnosi di malattia di Wilson e la terapia con chelanti del
rame e con zinco solfato sono provvedimenti salvavita, probabilmente
in grado di fornire il massimo vantaggio nel confronto tra
la storia naturale e quella post-terapeutica delle malattie
che causano ipertransaminasemia persistente non virus, non
alcol correlata;
-
la
diagnosi di epatite autoimmune consente un trattamento immunodepressivo
di efficacia dimostrata nel ridurre la mortalità;
-
non
sono disponibili al momento prove di efficacia clinica dei
trattamenti per le NAFLD, che sono le figure nosografiche
di più recente riconoscimento. Esistono tuttavia indizi
suggestivi sullefficacia di adeguate norme di vita (esercizio
fisico e riduzione del peso corporeo), che, determinando una
normalizzazione della condizione di resistenza allinsulina,
modificano favorevolmente numerosi end point surrogati, biochimici
e, in minor misura, istologici.
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