M.D.
numero 3, 7 febbraio 2007
Riflessioni
Medico di famiglia in attesa del diluvio
di Alberto
Ganassi, Medico di medicina generale, La Salle (AO)
Scena 1
Entro
nel magazzino del mio ambulatorio e mi fermo un attimo. Pile
di carte, scaffali ingombri di circolari da tenere e consultare
in caso di dubbi (non diagnostici, burocratici, sintende),
moduli di tutte le fogge, cartoni pieni delle matrici dei nuovi
ricettari (sono uno di quei pochi idioti che li conserva, non
si sa mai), copie dei certificati e referti più svariati,
fascicoli da conservare in caso di accertamenti della Tributaria.
Come in un flash back rivedo lo stesso sgabuzzino 20-25 anni
fa. Invasato e forte della mia esperienza in un Ps traumatologico
e della mia passione per la cardiologia lavevo attrezzato
con un ortoclinoscopio (di seconda mano) due elettrocardiografi,
un defibrillatore, un registratore di ECG portatile (un proto-Holter),
materiali di medicazione, bende gessate, materiale di sutura,
bombole di ossigeno e tanti, tanti libri di medicina. Tutte
attrezzature che mi aiutavano nel lavoro e per un mio complesso
del buon samaritano non mi rendevano una vecchia lira.
Cercavo di far sentire curata la gente del mio Paese e di dimostrare
che ero bravino, pensando di riscattare con un quotidiano umile
impegno la categoria dallumiliante complesso del medico
della mutua: ignorante, arraffone e invidioso. Mi sentivo medico.
Ora la mia vecchia attrezzatura non serve più è
lho imballata in cantina; Al loro posto due computer,
una fotocopiatrice, un fax. Ora non vedo lora che arrivi
il sabato, come un naufrago.
Saltabecco fra ripetizione di ricette, visite frettolose (perché
troppe), lettura di circolari, redazione di un numero sterminato
di certificati per lo più stupidi e inutili, discuto
su cosa e perché alcuni farmaci ed esami non li posso
concedere in un clima che ricorda più il
Suk di Marrakech che un luogo di diagnosi e terapia. Abbiamo
tutti la sensazione di lavorare molto di più di anni
fa, ma di concludere un bel nulla.
Scena 2
Esco da una riunione serale strategica, convocata dal nostro
direttore di distretto (collega simpatico, stimato e capace,
ma ora, passato anima e corpo dallaltra parte della barricata),
con una sua frase che mi ronza ossessivamente in testa: dobbiamo
andare incontro a un cambiamento culturale e se non lo comprendiamo
è un problema delletà (e qui sorride
bonariamente per sdrammatizzare sulla nomina appena conferitaci
a paleomedici).
Mi rendo conto che è vero, ha ragione: anche se mi sento
un eterno adolescente, ho i capelli grigi, non accetto il ruolo
di griglia e smistatore di pazienti, di impiegato modello, di
frenatore della spesa, sento contronatura lamoreggiare
con le carte anzicché con lo stetoscopio. Sono inadeguato
ai tempi.
Romanticamente penso ancora che il fondamento del nostro lavoro
sia la relazione daiuto, la capacità di comunicare,
labilità diagnostica coi poveri mezzi di un Mmg,
il prenderci tante grane decisionali in condizioni di incertezza,
fin troppo facili da criticare fra le mura dellospedale
o di un ufficio amministrativo.
Quando piagnucoliamo con gli amministratori che le nostre giornate
sono strapiene di impegni frenetici che ci allontanano sempre
più dai pazienti che ci mettono in conflitto con loro,
che non riusciamo più trovare il tempo sufficiente per
visitarli, ci viene risposto: non penserete di visitarli
tutti come faceva il Dottor XY, storico medico condotto noto
in tutta la Valle per la dedizione e bravura. Siamo chiamati
a risolvere tutta unaltra tipologia di problemi. Quasi
tutti apparentemente medicali.
Vedo altri bravissimi colleghi flippati dal carico
crescente di lavoro, in stato confusionale e col timore sempre
di sbagliare nota, richieste di esami, incattiviti col computer
che fa le bizze, obbligati a fuggire dallambulatorio in
preda a un vero attacco di panico (e parlo di colleghi alpinisti,
non di pavide pulzelle!).
Epilogo
Qualcosa non va in tutto ciò. Non funziona che chi impone
mille incombenze non-mediche non si prenda la briga di passare
un giorno intero al nostro fianco.
Basta. Bisognerebbe incontrarci fra di noi e con loro (gli alieni
delle astronavi dirigenziali) per spiegarci e capire che questo
clima conduce alla catastrofe e cercare soluzioni.
I sindacati, anche loro, balbettano spesso impotenti. Certo
non è facile neanche per loro, ma ci vuole coraggio per
ottenere veramente qualcosa di innovativo.
Una proposta a M.D. che ha il coraggio di accoglierci da anni:
aprire un forum su internet non solo per raccogliere altri patetici
sfoghi, ma per costruire con fantasia e amore una nuova dignità
dei Mmg, un vero cambiamento culturale.
Ho ormai una sensazione di impotenza di fronte a una enorme
macchina in ottusa marcia. Mi sento (ci sentiamo tutti) come
quello studente di piazza Tienammen che marciava solo e disarmato
con un fiore in mano contro i carri armati pensando di fermarli
con la forza dellideale. Sappiamo che fine ha fatto.
Un po eccessiva limmagine nella sua retorica? Forse.
In attesa che un leader carismatico guidi la rinascita di una
medicina umana, ho chiesto il riscatto degli anni di laurea
e me ne vado appena posso a vivere un po di vita vera.