M.D.
numero 35, 22 novembre 2006
Dibattito
La medicina di famiglia non è defunta...
E'
triste dover leggere considerazioni come quelle del collega
Antonio Attanasio (M.D. 2006; 31: 12-13), perché attraverso
esse dimostra di non avere compreso appieno il ruolo e il lavoro
del medico di famiglia. Il nostro lavoro non ce lo regala nessuno,
attraverso esso mettiamo in atto un ruolo del tutto particolare
con cui facciamo da tramite o filtro insostituibile tra le famiglie
(molto spesso non ci sono più figli, ma non per questo
non sono famiglie) e la medicina di secondo livello.
È ormai consuetudine verificare che i problemi dei pazienti
non sono semplicemente clinici, ma sono la summa di un insieme
di problematiche cliniche, sanitarie e sociali. Dobbiamo pensare
che queste situazioni non possano essere gestite solo da un
medico di famiglia, ma da unéquipe di cui il medico
di famiglia è parte fondamentale per conoscenza della
situazione e per duttilità e peculiarità di ruolo.
Questo è il compito nuovo che ci aspetta, questa è
la nostra sfida.
Mi perdoni il collega, ma la sua drastica presa di posizione
mi sembra solo il frutto di una reazione depressiva a uno dei
tanti cambiamenti della realtà professionale. Il futuro
è: niente ruoli rigidi (clinico, specialista), ma figure
nuove di professionisti che, oltre a essere clinici, siano anche
in grado di interagire con altri professionisti per risolvere
problematiche complesse non solo cliniche. È qui sta
il nocciolo del prendersi cura.
Ci ripensi quindi il collega e forse si convincerà del
fatto che lo specialista non avrà mai la larghezza di
vedute e le potenzialità risolutive del medico di famiglia.
Valentino Adinolfi
Medico di medicina generale, Udine
vive, grazie allaccanimento terapeutico
Il
collega Adinolfi è un buon diagnostico. Che io stia avendo
una reazione depressiva ai tanti cambiamenti cui la professione
medica è stata sottoposta negli ultimi anni è
vero. Il guaio è che non sono il solo ad avere reazioni
depressive di fronte a questi cambiamenti. Credo che le abbiano
la maggior parte di noi, anche se i modi di manifestarle sono
diversi. Alcuni di noi si difendono come possono, altri semplicemente
le negano immaginando per sé ruoli improbabili che solo
linteressata acquiescenza di sindacalisti e politici asseconda
e rilancia.
Come si può dedurre dallo stesso giuramento di Ippocrate,
per lunghissimo tempo la professione del medico e quella del
chirurgo sono state separate. Poi, verso il diciannovesimo secolo,
cè stata una tendenza a unirle, ma più che
di una fusione si è trattato di una federazione e lo
si nota nello stesso nome della laurea e della professione in
Italia (medicina e chirurgia, contro la semplice
medicina di altri Paesi). Del resto un altro retaggio
della vecchia separazione esiste ancora nellabitudine
britannica di chiamare Dr chi pratica specialità mediche
e Mr chi pratica specialità chirurgiche.
Questa unitarietà della professione medica è però
durata solo quel tanto che è bastato a creare lagiografia
del medico condotto, di cui il medico della mutua
prima e il medico di medicina generale poi sono stati gli eredi.
Grazie alla sistematizzazione di conoscenze scientifiche e cliniche
molto limitate per qualche decennio a cavallo fra diciannovesimo
e ventesimo secolo, il medico ha potuto esercitare una professione
unitaria, anzi olistica. Con laccelerazione del progresso
scientifico e clinico, le specializzazioni erano però
allorizzonte.
Allinizio si è avuto semplicemente il ritorno alla
separazione fra medici e chirurghi, anche se ormai la formalizzazione
di ciò non poteva più passare attraverso listituzione
di professioni separate. Lescamotage si è palesato
nella creazione del concetto di specializzazione:
il chirurgo diventava il medico specializzato nelle operazioni.
Di lì a poco è stato tutto un fiorire di specializzazioni:
lostetricia, poi divenuta ostetricia e ginecologia; la
venereologia, poi divenuta dermatologia e venereologia; la tisiologia,
antesignana della pneumologia; lotorinolaringoiatria,
loculistica, e via via le varie specialità che
noi oggi conosciamo, comprese le più assurde e bislacche.
Alcune di queste specializzazioni hanno ottenuto col tempo uno
status particolare: se lodontoiatria e la psicologia sono
riuscite addirittura a staccarsi completamente e a costituire
vere e proprie professioni a sè e il laboratorio si è
snaturato con lapertura ai biologi, specializzazioni come
la radiologia e lanestesiologia hanno acquisito uno status
giuridico tale da rappresentare un monopolio per lesercizio
delle relative discipline. Altre, come la medicina del lavoro
e due o tre a essa variamente affini, stanno seguendo a ruota,
considerato che sono indispensabili per funzioni come quella
del medico competente secondo il D.L. 626.
In sostanza il medico olistico non esiste più e la medicina
si è sfrangiata in specializzazioni che spesso sono in
realtà delle vere e proprie professioni autonome, anche
quando non sono legalmente considerate come tali. Se per alcune
specializzazioni di area medica come quelle sopra citate è
la legge a stabilirne la parziale autonomia, per altre di area
chirurgica è la realtà dei fatti. Basti pensare
alla cardiochirurgia, alla neurochirurgia, ma anche semplicemente
alloculistica. Stiamo quindi assistendo ormai da una quarantina
danni alleffetto di una forza centrifuga che sta
facendo schizzare le specialità lontano dal centro unificante
che era stato trovato fra Ottocento e Novecento. Ma al centro
rimane qualcosa? Secondo la visione dei nostalgici, sì.
Al centro rimane il medico di medicina generale. Può
darsi, ma che cosa gli è rimasto delle competenze medico-chirurgiche?
Di fronte allenorme progresso della medicina, tutto
vuol dire niente. Oggi anche uno specialista ha
difficoltà insormontabili a sapere tutto della sua specialità,
figuriamoci chi pretende di sapere tutto di tutte le specialità.
E in effetti oggi il Mmg, con le sue pretese di emulare il buon
vecchio medico condotto, è in realtà solo un ibrido
fra il receptionist del supermercato della sanità, il
burocrate messo lì dai ragionieri del Ssn per rallentare
laccesso dei consumatori allo smörgåsbord specialistico,
il surrogato laico del sacerdote guida spirituale e lassistente
sociale ficcanaso. È ovvio che, di fronte a questo genere
di constatazioni, chiunque andrebbe in depressione ed è
altrettanto ovvio che molti cerchino di sopravvivere confezionandosi
su misura ruoli più dignitosi. Ecco quindi il collega
che si mette a fare le ecografie ai suoi pazienti, quello che
scarica il programma per il TAO, quello che si sente realizzato
perché toglie i punti di sutura o lava le orecchie, quello
che fra un tramezzino e laltro nellintervallo di
un evento Ecm racconta ai colleghi di aver avuto (e salvato)
quattro pazienti con edema polmonare nellultima settimana,
quello che aderisce allinvito della Asl di monitorare
la spesa per i calcio-antagonisti, quello che si improvvisa
tutor (e quello che va a insegnare ai candidati tutors come
si diventa tutor), quello che entra nel gruppo, nel team, nella
rete. Io sono daccordo con Adinolfi quando sostiene che
il futuro deve essere senza ruoli rigidi e lho espresso
chiaramente quando ho scritto che gli specialisti devono tornare
a fare i medici. Forse allaiuto cardiochirurgo, comandato
tutto il giorno in sala operatoria come se fosse un ferrista,
si potrà perdonare un certo disinteresse per la storia
clinica generale del paziente che passa sotto i suoi ferri,
ma al suo capo no. Chiunque decide un qualsiasi intervento medico
o chirurgico su un paziente deve farlo solo dopo avere esaminato
il paziente e la sua storia nella sua interezza, come si conviene
a chi si fregia dellappellativo di medico, ancorché
specialista, e come vuole la deontologia professionale.
Questa stupidaggine del lavoro di squadra, dove
al medico di medicina generale spetta il compito di riunire
i pezzi buttati lì dai vari specialisti, non mi è
mai piaciuta e non mi piacerà mai. Quello non è
lavoro di squadra, ma catena di montaggio. Il lavoro di squadra
è quello fra i vari specialisti che devono parlarsi lun
laltro e, se di regia cè bisogno, il regista
deve semplicemente essere il primo specialista al quale il paziente
si è rivolto. Questa è la medicina del futuro,
la medicina veramente fatta intorno al paziente. La medicina
con al centro il medico di famiglia è finita e se si
mantiene è solo per non mandare sul lastrico quarantamila
medici con le loro famiglie, ma sarebbe molto meglio se sindacati
e Ssn si adoperassero per riciclare questi quarantamila professionisti,
anzicché versare loro un mensile che, se non fosse per
lammontare, sarebbe da cassa integrazione.
Antonio Attanasio
Medico di medicina generale
Mandello del Lario (LC)