M.D.
numero 29, 11 ottobre 2006
Focus
on
E'
sulle cure primarie che si gioca la partita decisiva del Ssn
di
Monica Di Sisto
Cambiano
i ministri, i governi e le maggioranze, ma puntualmente le
aspettative di cambiamento dei medici italiani sono disattese.
La constatazione è di Salvo Calì, segretario
nazionale Cumi-Aiss, sindacato che di recente si è
riunito a Milano intorno a un interrogativo di senso comune:
come vanno riorganizzate le cure primarie? Il nocciolo della
questione assistenziale, in un ottica di Ssn compatibile e
efficiente, è racchiusa in questa domanda e nella sua
risposta. Su essa bisogna concentrare lattenzione per
evitare che lunico argomento che interessi periodicamente
la sanità pubblica sia quello dei tagli. |
La
chiave di volta del Ssn è racchiusa nel riassetto delle
cure primarie ed è proprio su tale necessità che
bisogna costantemente portare lattenzione della parte pubblica.
Secondo il segretario della Cumi-Aiss, Salvo Calì, se
non si cambia lassetto organizzativo, se non si investe
culturalmente e anche economicamente su nuovi modelli di sanità
pubblica fra qualche mese ci ritroveremo a discutere di sprechi,
della necessità dei tagli, dei disservizi, delle liste
di attesa, delle giuste proteste dei cittadini, dimenticando dove
pulsa il cuore del cambiamento del Ssn.
La partita del riassetto delle cure primarie si gioca tutta sul
territorio, che è al contempo luogo di origine, di intercettazione
e di soddisfazione dei bisogni di salute e luogo di governo dei
percorsi socio sanitari relativi. Non si potranno affrontare e
risolvere le nuove tematiche territoriali - hanno convenuto gli
studiosi intervenuti al convegno milanese (tra cui Maurizio Andreoli
Androni della segreteria Cumi-Aiss Lombardia e Emanuele Vendramini
del Cergas Bocconi di Milano) - senza sciogliere i nodi relativi
a un riordino delle cure primarie in chiave moderna e innovativa.
Anche lultima convenzione è datata, costruita
su un impianto vecchio di quasi 30 anni. Sono da riformare - secondo
Calì - laccesso allattività professionale,
prevedendo un ruolo unico per il medico di famiglia e superando
le graduatorie separate, e la formazione, al momento inadeguata
a raccogliere la sfida rappresentata dai nuovi bisogni di salute
della popolazione.
Sui tanti temi impellenti, Calì ha auspicato il confronto
con il ministro della Salute, anche in vista della Conferenza
nazionale sulle cure primarie che si terrà a novembre,
sempre stando alle ultime decisioni concordate con il ministero.
E cè molto da discutere, soprattutto rispetto alla
capacità del decisore pubblico di porsi e di affrontare
queste domande-chiave, trasferire il ragionamento sul tavolo della
prossima convenzione nazionale: essa, lo ricordiamo, è
già scaduta da tempo, anche se appena 9 Regioni italiane
sono arrivate a definire un accordo decentrato per la medicina
generale.
Le questioni aperte
La
legge Bindi per un Distretto a misura di Mmg |
Articolo
3
- Al
Distretto attiene il coordinamento dellattività
distrettuale con quella dei dipartimenti e delle aziende
(programma delle attività distrettuali), con autonomia
tecnico-gestionale ed economico-finanziaria.
- Tra
le funzioni e risorse del distretto si prevede il coordinamento
tra medici delle cure primarie, specialisti ambulatoriali,
strutture ospedaliere, integrazione socio-sanitaria.
- Attivazione
dellufficio di coordinamento delle attività
distrettuali, composto da rappresentanti delle figure
professionali; lincarico di direttore di distretto
poteva anche andare a un medico convenzionato.
|
Presa
in carico globale del malato, continuità della assistenza,
risposte sanitarie coordinate e in rete, disease management, governo
della domanda, governo clinico: queste alcune delle più
rilevanti questioni sul tavolo per un assetto moderno della medicina
di famiglia (MdF). Il ritardo su di esse è evidente.
La presa in carico del paziente è parziale, la filiera
assistenziale è interrotta in più punti, manca una
vera continuità dellassistenza e il malato è
spesso solo ad affrontare i passaggi da una fase allaltra
del percorso sanitario che lo riguarda. Manca soprattutto
- ha precisato nel suo intervento Maurizio Andreoli Andreoni -
la rete di coordinamento funzionale tra i soggetti che interagiscono
nel territorio, senza la quale il territorio ritorna a essere
un non luogo dove eterogenei percorsi socio assistenziali
rischiano di perdersi di vista lun laltro vanificando
la loro efficacia. Questa rete era già stata in parte
delineata dalla 229/99 (legge Bindi) ed è la rete che doveva
interlacciarsi intorno al distretto. Nessuna, tuttavia, delle
funzioni distrettuali che dovevano includere la medicina generale
e il Mmg, nel cuore organizzativo della rete delle cure (che è
a macchia di leopardo) risulta attiva sul territorio.
La sua implementazione è incompleta e insufficiente. Soprattutto,
allinterno del Distretto, i medici di famiglia non hanno
mai giocato i propri ruoli previsti dalla legge, o quanto meno
non sono riusciti a essere presenti allo stesso modo in tutti
i territori.
Una convenzione obsoleta
La responsabilità, dunque, della scarsa forza
che si attribuisce alla MdF, se così si inquadra la questione,
è chiaro che non possa essere attribuita totalmente ai
medici. Addirittura, secondo gli esperti, il modello del medico
singolo può ancora essere valido se sostenuto da una rete
territoriale funzionale. Il limite strutturale dellorganizzazione
è in gran parte riconducibile allo strumento che regola
le modalità del loro lavoro, dal punto di vista della scelta
politica, dellorganizzazione e dellannessa remunerazione.
Parliamo, naturalmente, della convenzione nazionale che è
vecchia di quasi 30 anni e il Mmg che organizza da
solo il suo lavoro, in assenza di una rete, non appare adeguato
alla sfida di sostenere la nuova domanda di salute che sente crescere
nei suoi pazienti. Ma nella medicina di famiglia, nellorganizzazione
di essa allinterno del Ssn, ci sono dei pilastri fondanti
da cui non si può prescindere: il rapporto di fiducia col
paziente, il gradimento del cittadino utente, la capillarità
territoriale dellazione dei Mmg.
Cosa manca allACN per essere un vero strumento di crescita
della MdF e delle cure primarie nel territorio? Maurizio Andreoli
nel suo intervento ha identificato alcuni punti prioritari:
- investire
nel territorio una parte più cospicua di risorse economiche;
- una
qualsiasi ipotesi di carriera per il Mmg;
- un
ruolo unico del medico delle cure primarie;
- la
possibilità di partecipazione al governo clinico del
territorio;
- una
struttura del compenso più adeguata e moderna;
- riduzione
del massimale;
- una
quota capitaria pesata e calibrata sulla fragilità del
paziente;
- incentivi
su indicatori di qualità;
- reale
fattibilità del lavoro in équipe, che oggi presenta
impedimenti strutturali, fiscali, di disponibilità di
personale e costi elevati.
A
partire dalla discussione sulla prossima convenzione queste questioni
torneranno sul tavolo nazionale. È sempre più chiaro
che, dopo gli scarsi traguardi tagliati dagli accordi regionali,
le rappresentanze sindacali punteranno sullACN come il più
qualificato dei luoghi negoziali dove impegnare la parte pubblica
a dare risposte adeguate a queste aspettative.
Mmg e manager, o medico nellorganizzazione: il dilemma
Efficacia, ovvero la capacità di raggiungere gli obiettivi,
ed efficienza, vale a dire la capacità di aumentare i servizi
a parità di costi o ridurre i costi a parità di
servizi: sono i due obiettivi indicati dal decisore pubblico ai
protagonisti delle cure primarie, in particolare ai Mmg. Se si
vuole dare un luogo a questi obiettivi bisogna, innanzitutto,
secondo Emanuele Vendramini del Cergas Bocconi di Milano,
fare perno su tre priorità:
- distretto;
- associazionismo;
- percorsi
del paziente.
Il
luogo della cura del paziente cronico |
- Un
luogo dove vita e cure si integrano
- Assistenza
e cure competenti (di tutte le figure professionali)
- Contesto
normale e attenzione alle relazioni (dimensione di famiglia/comunità)
- Supporto
adeguato/Assistenza compensatoria
- Processo
decisionale (affiancamento alla persona/famiglia)
Fonte:
Dr. Renzo Bagarolo - Piccolo Cottolengo di Don Orione
(Mi)
|
Molto
si è detto in merito alla necessità di rafforzare
le strutture aziendali territoriali, soprattutto distrettuali,
ma ancora poco è stato fatto in termini di reale contestualizzazione
delle scelte e di gestione integrata delle componenti socio sanitaria-assistenziale.
Questo non è soltanto un problema oggettivo concreto per
gli anziani, i cronici e per le loro famiglie, ma è anche
il sintomo di un fallimento del sistema nella propria capacità
di organizzazione e di risposta ai bisogni di salute che cambiano.
La stessa compresenza di strutture dipartimentali e distrettuali,
secondo Vendramini non sempre aiuta lo stesso professionista
(dipendente e convenzionato) a comprendere le dinamiche della
propria realtà e quindi a identificare la risposta sanitaria
coerente. Mentre, infatti i Dipartimenti territoriali hanno
la caratteristica di garantire omogeneità e standardizzazione
delle risposte, allo stesso tempo i Distretti - sottolinea
Vendramini - garantiscono contestualizzazione e specificità
delle risposte. Evidentemente le due soluzioni organizzative non
sembra possano convivere. La sensazione emergente è
che le logiche distrettuali, da diverso tempo al centro del dibattito,
potranno svilupparsi secondo il principio del cosiddetto distretto
forte solamente se i dirigenti del territorio saranno in
grado di stipulare unalleanza poderosa con coloro che rappresentano
il cuore della sanità territoriale e linterfaccia
con il paziente: il medico di medicina generale.
Associazionismo: delitto e castigo?
Sono ormai molti anni che in Italia si parla di associazionismo
dei medici e si sperimentano alchimie sempre nuove per promuoverlo
sul territorio. È un fatto che il modello associativo,
in particolare la medicina di gruppo, è probabilmente ancora
oggi il più adatto ad affrontare le nuove esigenze. Il
suo sviluppo è però ancora insoddisfacente: meno
del 15% dei Mmg italiani è associato in gruppo, con punte
di eccellenza ferme intorno al 35-40% in Toscana, Veneto, Umbria.
A fronte di cospicui investimenti da parte del Ssn e di quelli
regionali, ancora resta da capire quale sia la formula organizzativa
su cui puntare. Alcune Regioni hanno iniziato a mettere in discussione
proprio la medicina di gruppo che da un lato ha coinvolto molti
Mmg, ma che non ha sempre dato e offerto i risultati sperati.
Così si sono fatte largo forme associative innovative che
puntano allintegrazione tra i professionisti e che dovrebbero
offrire ai pazienti un vero valore aggiunto. Molte Regioni stanno
puntando sulle équipe territoriali (denominate Nuclei delle
cure primarie in alcune di esse) con una evoluzione nel tempo
e che rappresentano, secondo quanto sottolineato da Vendramini,
il vero futuro della medicina generale, qualora sia supportato
da una crescita complessiva dei Mmg verso una maggiore responsabilizzazione
del proprio ruolo allinterno del sistema sanitario nazionale.
Linee guida, queste sconosciute
Cè un altro grande assente nella pratica medica tra
quanto sulla carta può essere messo a disposizione per
nuovi processi di governo della sanità: le linee guida,
ovvero quelle che lAgenzia per i Servizi Sanitari Regionali
ha definito come raccomandazioni elaborate a partire da
una interpretazione multidisciplinare e condivisa delle informazioni
scientifiche disponibili, per assistere medici e pazienti nelle
decisioni che riguardano le modalità di assistenza appropriate
in specifiche circostanze cliniche. Esse hanno un ruolo di strumenti
educativi-formativi, di monitoraggio della qualità delle
prestazioni erogate, di indicazioni sullassetto ottimale
dei servizi e soprattutto di livello ottimale di erogazione delle
prestazioni.
Limplementazione a livello centrale delle linee guida si
attua attribuendo alle Regioni il compito di favorire ladozione
di quelle strategie di implementazione di cui è stata documentata
lefficacia e di contestualizzare le linee guida agli ambiti
organizzativi e strutturali. Se si guarda loperatività
dei principi più da vicino, però, le capacità
tra centro regionale e periferia aziendale si ribaltano. Nello
specifico il Percorso Diagnostico Terapeutico Aziendale
è la forma più operativa di applicazione delle linee
guida - afferma Vendramini -. Il PDTA per patologia elaborati
in periferia, risultano più facilmente coerenti e contestualizzati
alle concrete realtà aziendali perché più
efficaci per affrontare gli aspetti micro-organizzativi che sono
i più significativi e importanti nel determinare lintegrazione
e la coerenza del processo assistenziale. Senza dimenticare
che, a livello organizzativo, si dovrebbe definire, al momento
della predisposizione delle linee guida, un adeguato finanziamento
o almeno una corretta previsione economica di impatto delle stesse.
A ben guardare il sistema e i suoi attori, infine, risulta chiara
la differenza tra linea guida, percorso diagnostico terapeutico
e percorso del paziente. Più è ampio il processo
interessato allanalisi più ci si avvicina alla logica
del disease management, della gestione della malattia in quanto
tale, e più si impone la necessità di ammettere
che lutilizzo di linee guida nazionali (o al più
regionali) siano un riferimento culturale, professionale e organizzativo
da perseguire in ciascuna azienda - distingue Vendramini - ma
che il loro impiego pratico, la loro traduzione in percorsi operativi,
la gestione dei processi reali di assistenza vadano differenziati
da azienda ad azienda. Dalla considerazione della pura analisi
di natura clinica, occorre arrivare a tenere conto del contesto
in cui opera lazienda, dei fattori produttivi a disposizione,
delle modifiche organizzative giudicate opportune. In questa accezione,
scegliere quale sia lambito di cura più appropriato,
qual è il ruolo del Mmg, come funziona la prenotazione,
come funziona la ricettazione non sono dettagli, ma parte strutturante
del sistema delle cure territoriali a partire dal loro primo motore:
il Mmg.
Partecipare alla costruzione del Percorso Diagnostico Terapeutico
o del Percorso Paziente - spiega Vendramini - consente al professionista
di acquisire conoscenza dellorganizzazione in cui opera
e chiarire gli ambiti di responsabilità delle varie fasi
di assistenza. In questo contesto anche i Mmg hanno la opportunità
di descrivere le modalità organizzative e gestionali del
proprio lavoro e possono ridefinire o eliminare i confini dei
ruoli che storicamente hanno interpretato. La possibilità
di riportare allinterno di una discussione fra colleghi
i contenuti delle riflessioni svolte o mettere a confronto le
problematiche con la direzione aziendale o con il proprio Distretto
o Ospedale costituisce un potente stimolo al rinnovamento. Ma
quali territori saranno disponibili ad aprire questo nuovo spazio
ai propri Mmg?
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