M.D.
numero 25, 13 settembre 2006
Contrappunto
Un altro smacco per la medicina di famiglia
di Giuseppe Maso, Medico di medicina generale, Oriago
(VE)
Responsabile progettono Medicina di Famiglia dellUniversità
di Udine
Il dibattito intorno
allefficacia delle cure primarie verte su questioni preminentemente
organizzative. Il proliferare di sigle che tali sistemi tipizzano
(Utap, medicina di gruppo, case della salute, ecc.) ne sono
la testimonianza. Tale discussione a senso unico comporta dei
rischi che da semplice possibilità stanno diventando
realtà. La scelta, per esempio, di creare strutture promiscue
nei nosocomi e negli ambulatori delle Asl di fatto ingloba sempre
più le cure primarie allinterno dellospedale.
Stiamo così assistendo alla sconfitta della medicina
di famiglia perpetrata attraverso uno snaturamento della stessa.
Le cause sono molteplici, ma il nocciolo della questione sta
nel fatto che si continua a non considerare tale disciplina
medica come specialità che ha bisogno competenze, abilità
e strumenti che spesso non ha
Vorrei
partire da quanto ho letto sul Corriere del Veneto, precisamente
linserto di Venezia-Mestre del Corriere della Sera, e
su altri quotidiani regionali nel mese di agosto per portare
alla ribalta una questione fondamentale per quanto concerne
lassetto e lo sviluppo della medicina di famiglia nel
nostro Paese. Tali quotidiani hanno riportato uninteressante
notizia locale di organizzazione sanitaria: Aprirà
dopo ferragosto allUmberto I (ospedale di Mestre ndr.)
un nuovo Pronto soccorso. Sarà una struttura leggera:
niente emergenze e ticket a 18 euro.
Il direttore dellospedale mestrino, Onofrio Lamanna, ha
precisato che il nuovo Pronto soccorso sarà lambulatorio
dedicato ai pazienti che necessitano di prestazioni non urgenti
e differibili, sarà gestito da un medico e da uninfermiera.
Il ticket raddoppierà in caso di visita specialistica
o altre prestazioni. La questione è anche educativa,
viene spiegato, perché lospedale dovrà essere
il punto di accesso delle patologie acute. I giornali hanno
dato molto spazio a questa notizia, sottolineando la positività
dellapertura di un nuovo servizio.
Ma quanto sta accadendo invece rappresenta una resa e una sconfitta.
È la resa di un sistema che non riesce più ad
arginare lafflusso al Pronto soccorso e, contrariamente
a quanto enunciato, porta (ancora di più) le cure primarie
allinterno dellospedale.
È la sconfitta della medicina di famiglia che non riesce
a rispondere ai bisogni dei cittadini. Le cause di questa situazione
sono da ricercare sia a livello specialistico (cure secondarie
- ospedale) sia a livello delle cure primarie (in particolare
medicina di famiglia) sia a livello dei cittadini (cui è
fatto stato credere che tutto sia dovuto, subito e gratuitamente).
Non solo organizzazione
Per quanto riguarda la medicina di famiglia la prima considerazione
è che si è dato per scontato che essa sarebbe
stata in grado di risolvere la stragrande maggioranza dei problemi
di salute e che la sua inefficacia dipenda da inefficienza organizzativa
o da poco interesse per la professione di alcuni medici. Questa
convinzione è talmente diffusa che politici, amministratori
e funzionari vari (in accordo con i sindacati di categoria)
si stanno dando più o meno da fare per inventare formule
organizzative che dovrebbero risolvere il problema. Si parla
di medicina di gruppo, in gruppo, in rete, di Utap, ecc. Il
tutto perché si pensa che con gli ambulatori aperti per
più ore o con più visite (programmate o meno)
la risposta del servizio risulti più efficace. Ma non
si vuole ricordare che la medicina di famiglia è una
specialità che ha bisogno competenze, abilità
e strumenti che spesso non ha. Un medico che non sa suturare
una ferita o trattare un diabetico non lo sa fare né
alle 8 del mattino né alle 7 di sera e non risolverà
mai il problema sia che tenga lambulatorio aperto unora
o dieci ore. Ben sanno i colleghi che lavorano nei Pronto soccorso
come pazienti di alcuni medici siano frequentatori abituali
della loro struttura e come lo siano invece raramente i pazienti
di altri. La grande disomogeneità nella nostra professione
dipende da un solo unico fatto: non esistono nelle nostre Università
(unico esempio nel mondo sviluppato) cattedre di medicina di
famiglia e quindi questa disciplina non ha un curriculum definito,
non ha un campo di intervento suo proprio. Non solo, essa è
stata sempre più espropriata di competenze.
A parole la si vuole efficace, nei fatti la nostra disciplina
è soggetta a infinite limitazioni professionali, amministrative
e prescrittive e coloro che la esercitano sono ormai soffocati
da un carico burocratico tanto gigantesco quanto inutile.
Esistono limitazioni che vanno dallapertura dello studio,
alle certificazioni (a stragrande maggioranza deve essere inviata
allo specialista), dalla prescrizione (non si possono più
prescrivere farmaci per patologie croniche come diabete,
sindrome metabolica, demenze ecc, perché nel nostro
Paese si tratta di farmaci prescrivibili su piano terapeutico
specialistico, mentre gli stessi farmaci in Inghilterra sono
prescritti dagli infermieri) alla diagnostica (molti accertamenti
non vengono effettuati se non con la richiesta specialistica).
Credo che i medici di medicina generale che lavorano con coscienza
in questo sistema siano veramente degli eroi. Va ricordato che
un medico con 1.500 assistiti ha ormai nel suo studio 15.000
accessi lanno e che le patologie che vede sono le più
varie.
Altra considerazione molto importante è che la cura di
una persona non è un fatto limitato nel tempo. La continuità
dellassistenza è fondamentale perché ci
sia un approccio globale, bio-psico-sociale ai problemi dei
pazienti. Non esistono problemi differibili che
possono essere risolti efficacemente da un medico che non sia
il medico curante. Riprova del fatto è che nel 100% dei
casi il paziente, dopo essere stato al Pronto soccorso, torna
dal proprio medico. La continuità assistenziale non è
fornita avendo un ambulatorio sempre aperto, ma avendo per curante
sempre lo stesso medico.
Le risposte opportune
Per questo sono convinto che lannuncio dellapertura
di un nuovo ambulatorio del Pronto soccorso nellospedale
di Mestre (non solo) non risolverà il problema, è
un intervento palliativo che prolungherà lagonia
di questo sistema organizzativo. Produrrà un aumento
della domanda, un aumento delle visite specialistiche e una
serie di prescrizioni a cascata.
La risposta non può che essere strutturale e ovviamente
non dipende dai responsabili della Asl veneziana che cercano
di fare quello che possono. La risposta sta in alcuni punti
fondamentali:
a. dipartimenti universitari di medicina di famiglia;
b. chiara divisione di compiti per i vari livelli del sistema
sanitario (si deve decidere chi fa cosa utilizzando i criteri
di qualità, sussidiarietà, equità, costo-efficacia);
c. sistemi di retribuzione basati sulla efficacia e non su una
finta efficienza;
d. soprattutto sistemi di incentivazione basati sul merito.
Questi metodi sono già collaudati e realizzati in diversi
Paesi: basterebbe copiare, ma si ha limpressione che vi
siano molte resistenze al cambiamento a tutti i livelli.