M.D.
numero 21, 7 giugno 2006
Riflessioni
Il medico e il male oscuro
di Emanuele Zacchetti, Medico di medicina generale,
psicoterapeuta, specialista in Neurofisiologia Clinica, Borgosesia
(VC)
Una nuova pillola
contenente clormadinone acetato ed etinilestradiolo associa
alla elevata efficacia anticoncezionale, alti livelli di sicurezza,
rispetto degli equilibri biologici e una serie di effetti positivi
su salute e aspetto fisico
Il
male oscuro è un termine che mi è
stato suggerito dalla lettura di un libro di Giuseppe Berto
che descrive la depressione del protagonista come qualcosa di
indefinito e di non decifrabile.
Il male oscuro diventa il motivo di queste considerazioni
sulla relazione tra il medico e la depressione, che assume le
sembianze di molti dei suoi pazienti, ma che non si lascia imbrigliare
in una categoria diagnostica precisa e spesso diventa un aspetto
esistenziale prima di diventare malattia.
Pensando a questo termine rifletto sui grandi frequentatori
degli ambulatori dei medici di famiglia, persone che a volte
senza patologie importanti chiedono spesso di essere visitati,
ascoltati e rassicurati.
In alcuni casi il medico si rassegna a incontrarli o a sentirli
telefonicamente quasi ogni giorno e si crea unamicizia
che si snoda attraverso battute ironiche o banali rassicurazioni;
altre volte questa relazione diventa difficile e crea spunti
aggressivi in entrambi gli attori. Da una parte stanca il medico
aumentando la sfiducia nel suo lavoro e nel paziente crea tensione,
sensazione di non essere capiti, valutati, ascoltati, innescando
il processo di ricerca di un nuovo medico che possa rispondere
a quelle aspettative. Il meccanismo della revoca è infatti
spesso legato a sensazioni di inquietudine, di ansia e somatizzazioni
varie, di percezione di un malessere che non viene capito dagli
accertamenti diagnostici e che possiamo identificare con quel
concetto di male oscuro ricordato.
Possiamo allora definire il male oscuro come un equivalente
della depressione, in quanto come questa si esprime attraverso
il linguaggio del corpo, dei visceri, del dolore fisico, attraverso
le sensazioni psichiche di inadeguatezza, di inferiorità,
ma anche di aggressività, di ansia e di scarso controllo
degli impulsi.
Esso però si estende oltre il concetto di depressione
in quanto abbraccia il concetto di esistenza della persona,
le sue aspettative, il significato dato alla propria vita, si
lega alla percezione di caducità e dellincomunicabilità.
Disagio del medico e del paziente
I grandi frequentatori dellambulatorio rappresentano quella
parte di popolazione nella quale alcune delle problematiche
sono espresse in modo estremo, con una espressione di disagio
che è troppo indefinita e confusa per essere espressa
con le parole, il linguaggio del corpo può essere più
espressivo e può maggiormente richiamare lattenzione
dei familiari, degli amici, del medico che li ha in cura.
Nel contatto con questi pazienti il medico può percepire
diverse sensazioni che vanno dalla noia al distacco, alla sensazione
di non potere fare nulla, alla pietà, allaggressività,
allimpegno scrupoloso nel cercare la causa di patologie
che sembrano sempre cambiare e sviluppare nuovi sintomi. Come
medici dobbiamo considerare che il disagio psichico che i grandi
frequentatori portano nei nostri studi è espressione
del disagio più grande che una società tecnologica
ed avanzata sta esprimendo allinizio del terzo millennio.
Il ritorno a situazioni di povertà che sembravano ormai
dimenticate, ritmi di vita innaturali dove lattività
fisica, con la sua capacità di ridurre il livello di
ansia e depressione sembra essere quasi scomparsa, situazioni
lavorative caratterizzate da precarietà e da livelli
di tensione sempre più elevati, sensazioni di solitudine
ed emarginazione sempre più frequenti sembrano essere
tra le cause più importanti di questo disagio psichico
così aumentato negli ultimi decenni nella popolazione.
Non dimentichiamo che le aspettative che ha generato la medicina
moderna non sempre si traducono in un miglioramento oggettivo
della qualità di vita, soprattutto nella popolazione
più anziana.
Il medico che valuta, osserva e visita questi pazienti dovrebbe
sempre considerare di non essere immune lui stesso da tale disagio
psichico e di sofferenza indefinita. Poco si è studiata
la depressione del medico, la sua conflittualità interiore,
la sua stanchezza e sensazione di sconfitta che la relazione
con questi pazienti genera, più in generale la relazione
che la medicina moderna pone come base delloperare quotidiano.
Percorsi possibili
Che fare allora per migliorare questa relazione e per impedire
che questo disagio dei pazienti diventi il disagio del medico
generando un sistema circolare che si autoalimenta e che non
sembra offrire vie duscita?
Non ritengo che si possano stabilire delle linee guida precise,
ma solo proporre suggerimenti che provengono dallesperienza
personale.
Il primo consiglio riguarda labitudine alla flessibilità
e luscita da schemi di pensiero rigidi che nella relazione
con questi pazienti potrebbe rivelarsi disastrosa. Flessibilità
vuol dire la capacità, come ci insegna la psicologia
sistemica, di elaborare strategie di aiuto che partano da osservazioni
che noi facciamo sulla persona che vogliamo aiutare e che vengono
elaborate sulla base delle problematiche che man mano si formano,
e non su complesse teorie psicologiche in base alle quali cercare
di spiegare i comportamenti patologici che osserviamo e cerchiamo
di curare.
Vuole anche dire entrare nel mondo dellaltro che ci chiede
aiuto, cercando di capire il modo di percepire la sua realtà
attraverso le sue credenze, le sue aspettative, la sua cultura,
la sua età e soprattutto attraverso il suo livello di
coping, ovvero al suo stile di elaborazione dello stress.
Un altro aspetto importante è prendere coscienza del
modo in cui si comunica: le parole e il linguaggio che usiamo
possono avere un peso enorme nel processo terapeutico, lutilizzo
di battute ironiche, luso delle pause, il tono della voce,
della propria postura, possono essere importanti e resi meno
automatici di quello che normalmente noi facciamo.
Vi sono degli ottimi corsi di counselling che possono aiutare
il medico a sviluppare queste capacità che non sempre
sono innate, ma possono essere apprese come qualunque altro
sapere.
Non è chiesto al medico di rinunciare ai propri principi
o valori di fondo, ma di abbandonare alcuni schemi rigidi e
ripetitivi cristallizzati in tanti anni di attività e
di elaborare nuovi modi per entrare in migliore relazione con
i suoi pazienti.
Il punto più importante però è quello di
rinunciare alla pretesa di potere liberare completamente i grandi
frequentatori dai loro sintomi e di convincerli dellinutilità
delle loro richieste. Il loro male oscuro è troppo profondo
perché possa essere interamente risolto, ma averli ascoltati
e averli aiutati a esprimere con le parole quello che solitamente
esprimono con il corpo attraverso la somatizzazione, è
già un traguardo importante.
Lobiettivo nella terapia dei disturbi della sfera psichiatrica
non è quello della guarigione, spesso non possibile per
lestrema complessità delle cause di queste patologie,
ma per questi pazienti difficili è quello più
realistico della realizzazione di un miglioramento del loro
adeguamento alla realtà, della presa di coscienza del
disagio psichico che si nasconde sotto i sintomi fisici, dellapprendimento
di un altro modo per attirare lattenzione degli altri
che non sia quello del corpo.
Sapere entrare nella realtà di un paziente difficile
è un compito complesso e ingrato, dai risultati incerti.
Provare a indurre dei piccoli cambiamenti può essere
un obiettivo possibile che può aiutare una persona spesso
disperata nel processo di crescita interiore, oltre ad arricchire
umanamente il medico nel corso della sua vita professionale.