M.D.
numero 10, 22 marzo 2006
Focus
on
Gli italiani, la salute e il Ssn auspicato
di Monica Di Sisto
In
una società che invecchia a ritmi elevati, e in cui
crescono rapidamente le malattie invalidanti, si aggira
un nuovo spettro: la paura della non autosufficienza, per
il 40.9% degli italiani è la cosa peggiore; più
del dolore (30.2%) e della stessa morte
(13.2%). Lo hanno rivelato i dati del Monitor Biomedico
2006, indagine realizzata dal Forum per la Ricerca Biomedica
e dal Censis. La ricerca svela anche una pericolosa crisi
di fiducia verso le istituzioni sanitarie e i suoi responsabili,
a eccezione dei Mmg che invece riscuotono un gradimento
molto alto che li rende punto di riferimento privilegiato
dei cittadini e una risorsa cruciale per promuovere il passaggio
a una sanità territorializzata. |
Il
Ssn che si apettano i cittadini italiani, secondo quanto evidenziato
dai dati del Monitor Biomedico 2006, dovrà essere costituito
da una costellazione di servizi diffusi sul territorio
di facile accesso, flessibili, pronti a rispondere a una domanda
di assistenza prolungata nel tempo. Una continuità assistenziale
e di cura che non si spezza fuori dallospedale, ma che
anzi ha nel territorio il luogo delezione del suo governo
e della produzione di servizi e prestazioni essenziali che non
lasciano mai solo il paziente e i suoi familiari di fronte ai
risvolti sanitari, psicologici e sociali della malattia.
Richiesto di valutare in generale levoluzione del Ssn
della propria regione negli ultimi due anni, quasi il 51% degli
intervistati ha dichiarato che non ha subito mutamenti, il
26.6% parla di un peggioramento e il 22.5% di un miglioramento.
Il dato riassuntivo, quindi, esprime sostanziale stabilità,
con una lieve prevalenza della percezione di peggioramento,
come se il Servizio sanitario - analizza il Censis - malgrado
le numerose consistenti sollecitazioni sul piano istituzionale,
programmatorio e dei piani dazione annunciati, sia a livello
nazionale che regionale, fosse insabbiato, per i cittadini,
in una mediocre stabilità che, però, tende verso
il peggio.
La medicina generale, il Pronto soccorso, il ricovero ordinario
e il day hospital conservano quote di sostenitori della loro
adeguatezza superiori alla metà del campione, ma non
altrettanto si evidenzia per la medicina specialistica e per
i servizi domiciliari; e, soprattutto, nel biennio 2003-2005
si registra una diminuzione degli italiani che valutano i diversi
servizi come adeguati, con una punta del -7.3% per la medicina
specialistica.
Medici di famiglia: un punto di riferimento
Nella sanità concretamente vissuta dagli italiani, dagli
assetti istituzionali alla dotazione strutturale fino alle performance
in tempi più recenti, un posto a parte, di sicuro rilievo,
secondo il Censis spetta alla rete dei medici di medicina generale.
I dati dellindagine permettono di valutare in profondità
il rapporto degli italiani con il proprio Mmg, di individuare
i punti di forza, le criticità, gli aspetti sui quali
presumibilmente è possibile puntare in unottica
di valorizzazione del rapporto fiduciario, tuttora molto forte.
Infatti, il 27% circa degli italiani definisce ottimo il proprio
Mmg, il 45.7% bravo, il 20.6% sufficiente ed il 6.8% insufficiente.
Particolarmente soddisfatti del proprio medico di famiglia sono
i residenti al Centro tra i quali coloro che lo giudicano ottimo
sono il 32.1% e il 29.1% di coloro che hanno unetà
compresa tra i 30-44anni; più insoddisfatti risultano,
invece, i residenti nel Nord est (8.3%) e gli anziani (9.9%),
oltre ai laureati (11.1%).
Un medico sempre a portata di paziente
Dai
dati emerge che una significativa percentuale degli intervistati
trova il proprio medico anche quando non è in servizio
(tabella 1). Oltre il 70.6%, in sostanza, riesce a fronteggiare
il proprio bisogno sanitario insorto in orari in cui il medico
ufficialmente non riceve allinterno delle cure primarie,
grazie alla reperibilità del proprio medico, alla guardia
medica, ma anche pagando di tasca proprio un altro medico. Le
situazioni territoriali appaiono piuttosto diversificate perché
mentre al Centro (45.8%) e al Sud e Isole (46.1%) gli intervistati
ricorrono al proprio medico anche quando non è in servizio
in misura maggiore rispetto alle altre aree geografiche, al
Nord ovest e al Nord est è più alta sia la tendenza
a rivolgersi alla guardia medica sia quella di cavarsela da
soli. Daltro canto - sottolinea il Censis nel Rapporto
- va segnalato come il ricorso allospedale risulti più
intenso proprio nelle regioni del Nord. Quindi, si delinea uninteressante
diversità di rapporto tra il medico e i pazienti con
una maggiore propensione nel Centro-Sud a garantire una reperibilità
totale che ha il positivo effetto esterno di attenuare rispetto
al Nord il ricorso allospedale in presenza di un problema.
Luci ed ombre nel rapporto con il Mmg
Il
Monitor 2006 ha quindi proceduto a delineare una batteria di
domande che consente di disaggregare il rapporto medico-paziente
in una serie di aspetti valutabili che, con intensità
e modalità diverse, contribuiscono appunto a delineare
la qualità della prestazione medica e, quindi, anche
il rapporto fiduciario con il paziente. È emerso un quadro
che promuove a pieni voti i medici italiani e che, però,
consente anche di gettare un cono di luce su qualche ombra che,
per esempio, incide sul rapporto con alcuni gruppi sociali (tabella
2).
Quindi, se i Mmg sono sostanzialmente promossi a pieni voti
dagli italiani, che li individuano come propri referenti privilegiati
nel Servizio sanitario, è importante, secondo il Censis,
sottolineare lesigenza di un surplus di attenzione
dei medici stessi sia verso unorganizzazione delle modalità
di accesso agli studi meno intasante, sia soprattutto
verso le particolari propensioni di alcuni segmenti di popolazione
(anziani e laureati) che, più degli altri, sembrano soffrire
di alcune attitudini dei medici, quali la ridotta attenzione
alla dimensione psicologica e relazionale e la tendenza a saltare
alcuni approfondimenti rinviando alla visita specialistica.
Se tutti i medici assomigliassero di più a un buon Mmg
Le provocazioni più stimolanti per la professione medica
arrivano sempre di più da oltreoceano. E i dati del Monitor
Biomedico 2006 sembrano gettare una nuova luce su un grande
dibattito lanciato per la prima volta nel settembre scorso da
JAMA (2005; 294:1009-11) e che è proseguito nei mesi,
dentro e fuori quelle stesse pagine. Loggetto di tanto
contendere è la figura umana del medico: ci si interroga
se il medico abbia, negli ultimi decenni, dato più importanza
alla sua formazione come scienziato, finendo per ritrovarsi
impreparato al confronto diretto con un altro uomo, il paziente.
Una delle poche ombre avanzate anche in Italia nei confronti
dei Mmg, secondo le recenti rilevazioni del Censis, e che costituiscono
una delle pochissime obiezioni che una pur minimissima parte
del campione rivolge nei confronti del proprio medico di famiglia.
Il sasso nello stagno lo ha gettato Rafael Campo, professore
di Medicina interna alla Harvard Medical School e al Beth Israel
Deaconess Medical Center di Boston, dopo aver partecipato a
una conferenza tenutasi a Londra dal titolo The Medical
Humanities. Dalle pagine di JAMA, Campo ha cercato di
rispondere allinterrogativo su come gestire lumanità
che sta dietro ad ogni uomo.
Umanità e tecnica: un dialogo possibile?
Rafael Campo è partito nel suo articolo dalle descrizione
dellumanità incontrata nel corso del congresso
londinese: poeti, fisici, registi, infermiere, sociologi, teorici
della letteratura, arte-terapeuti, esperti detica, fotografi,
studenti in medicina, e tanti altri ancora. Anche le loro radici
geografiche erano molto eterogenee: dai britannici doc agli
indiani, dai mediterranei ai cinesi, cubani, scandinavi e australiani.
Tutti accomunati dalla medesima preoccupazione: ovunque
ci trovassimo, scienziati e artisti di tutto il globo - ha spiegato
Campo nel suo intervento - eravamo tutti profondamente preoccupati
della crescente de-umanizzazione delle cure mediche. Anche se
eravamo incerti sotto quale bandiera dispirazione, ci
trovavamo sicuramente uniti nel combattere questa tendenza.
Campo sottolinea ancora nel suo articolo che oggi il medico
è educato a essere un ottimo scienziato, ma ha perso
la dimensione umana. Che lo stesso aggettivo medico
richiami attualmente un significato biomedicale
che ha un suono inumano, spersonalizzante. Si tende a trattare
il paziente come un insieme di organi o patologie e non come
un corpo armonico. Si accusano i medici, ma soprattutto le scuole
di medicina, di sfornare professionisti riduzionisti.
E allora come risolvere la situazione? Campo propone di inserire
un percorso umanista fin dalle high school americane
che comprenda lo studio di materie come bioetica, storia, filosofia,
comunicazione. Tesi, questultima, sostenuta sempre sulle
pagine di JAMA (2006; 295: 997-8) dal dott. Howard Spiro, della
Yale University School of Medicine che sostiene che fin dal
college gli studenti che si vogliano incamminare sulla strada
verso la medicina debbono focalizzarsi meno sulla scienza e
più sullantropologia, ma anche sulle emozioni e
lempatia, potendo contare su un corpo insegnante che nella
sua pratica medica in molti casi è chiaro esempio di
passione ed empatia. Il dott. Michael Bogdasarian del Lourdes
Hospital di Binghanton (NY), sempre sullo stesso numero di JAMA
invece recrimina che i medici hanno costruito per sé
una società separata con medici e personale
sanitario al centro e pazienti al margine, che non ha grandi
legami con la comunità che la circonda. Al punto che
egli crede che la componente umanistica della medicina
sia concretamente e irrevocabilmente perduta. Bogdasarian si
chiede, infatti, che tipo di società è quella
in cui bisogna inserire in un programma didattico il corso come
far uscire fuori il vostro lato umano. Ma è davvero
questa lunica strada?
Medicina di famiglia: una specialità sempre più
necessaria?
Ma non è proprio lapproccio relazionale uno dei
principali fattori di riuscita della relazione terapeutica in
medicina di famiglia, stando almeno alla sua ultima definizione
convenuta in ambito Wonca nel 2002?
Secondo il dibattito che ha portato il Wonca nel 2002 a una
revisione della sua definizione di medicina di famiglia, essa
è una medicina di relazione: ogni contatto tra il paziente
e il suo medico di famiglia contribuisce alla costruzione di
una storia che si evolve e ogni singola consultazione può
rifarsi a quella precedente esperienza condivisa. Il valore
di questa relazione personale è determinato dallabilità
nella comunicazione del medico di famiglia ed è di per
se stessa terapeutica.
Secondo il Wonca, i Mmg sono chiamati a curare gli individui
nel contesto della loro famiglia, della loro comunità
e cultura, rispettando sempre lautonomia dei propri pazienti.
Sanno di avere anche una responsabilità professionale
nei confronti della comunità nella quale lavorano. Quando
negoziano piani di gestione con i pazienti integrano i fattori
fisici, psicologici, sociali, culturali ed esistenziali, servendosi
della conoscenza e della fiducia maturata nel corso di contatti
ripetuti.
La disciplina deve riconoscere nella relazione tutte le dimensioni
di contesto - psicologica, sociale, culturale, esistenziale,
oltre a quella fisica - contemporaneamente, e deve assegnare
il giusto peso a ciascuna di esse. Linfermità e
i caratteri della patologia sono modificati da molte di queste
dimensioni e gli interventi che non si dimostrano in grado di
risolvere il problema di fondo, a loro volta, sono causa di
molta sofferenza.
Forse, dunque, più che a una formazione di tipo culturale-artistico
nuoce alla medicina in generale, in particolare nel nostro Paese,
lassenza di un insegnamento specialistico in medicina
di famiglia cui venga dato, nellambito del cursus degli
studi in medicina, le stesse opportunità e gli stessi
spazi che hanno prodotto lesponenziale avanzata biomedicale.
La prossima estate Firenze, città umanista e culla del
rinascimento delle arti, dal 27 al 30 agosto ospiterà
il Congresso internazionale Wonca 2006 dal titolo: Gettare
un ponte sul baratro tra Biologia e Scienze Umane. Unintera
sessione verrà dedicate al grande bisogno che cè
di medicina delle prove (EBM), ma anche per scoprire insieme
che cè bisogno di dare nuova sostanza anche teorica
alla dimensione empatica, artistica della medicina. Appuntamento,
dunque, a Firenze, per rilanciare la discussione, dentro e fuori
le pagine.