Editoriale
La medicina generale che piace alla gente
L'ultima rilevazione del Censis sulla
salute degli italiani non lascia grande spazio alle interpretazioni:
gli italiani apprezzano il loro medico di famiglia. Lo apprezzano
più di tutti gli altri professionisti della salute che
trovano intorno a sé nel momento della difficoltà.
Ma gli italiani stimano di più il proprio Mmg quanto
più egli è vicino, empatico, comunica, dedica
tempo e, soprattutto, apre uno spazio profondo di condivisione
con il suo paziente. Quando questi incontra quel tipo di medico
è disposto a farsi accompagnare nel percorso terapeutico,
collaborando, ascoltando, risparmiando pure, quando possibile.
Il medico meno gradito dagli italiani, pur ragionando ancora
in un arco di numeri che trasmettono positività rispetto
alle altre categorie professionali, è lo specialista:
iper-tecnico, irraggiungibile, difficile da comprendere, ma
ancor più da intercettare, in molta parte del territorio
nazionale, senza mettere mano pesantemente
al portafogli. È il tecnicismo, soprattutto, che mette
in allarme i pazienti e li allontana in virtù di un linguaggio
per iniziati e di un moltiplicarsi di screening e nuove tecnologie
che troppo spesso non si traducono in qualità della vita,
ma in stress, in viaggi della speranza.
E proprio dagli Stati Uniti, uno dei Paesi più avanzati
nelle tecnologie e nella ricerca biomedica, arriva lultima,
interessante provocazione. Dalle pagine di JAMA i medici si
interrogano: come nellantica tradizione, il medico
dovrà mettersi a studiare lantropologia, la filosofia,
le arti, per riguadagnare quello spessore umanista necessario
a una formazione più calda del futuro professionista
della salute. Uneresia o la necessità di
un deciso passo avanti verso quella compliance che i pazienti
corrispondono sempre più in via quasi esclusiva al proprio
medico di famiglia?
Il prossimo agosto la società delle società scientifiche
mondiali della medicina generale, il Wonca, si dà appuntamento
a Firenze, culla di nascita del rinascimento delle belle arti
per interrogarsi su come gettare ponti nuovi tra lavanzamento
tecnologico e loriginaria humanitas del medico di famiglia.
Forse sarà quello il luogo più appropriato dove
fare un passo deciso verso una scelta formativa ancora rimandata:
fare della medicina di famiglia una disciplina specialistica
a sé, come primo passo per gettare il cuore oltre lostacolo
del tecnicismo. Forse non cè bisogno tanto di antropologia,
pur necessaria, e di muse, pur godibili, quanto di prendere
un po più sul serio la medicina più vicina
al letto del paziente, offrendole pensiero, luoghi di crescita,
strumenti formativi. Che i pazienti labbiano capito, sulla
propria pelle, prima di tante istituzioni?