M.D.
numero 6, 22 febbraio 2006
Terapia
Approccio multimodale al carcinoma della
prostata localmente avanzato
di Giario Conti, S.C. di Urologia e Andrologia, Azienda
Ospedaliera Sant'Anna, Como
I
dati della letteratura permettono oggi di selezionare i pazienti
in relazione al rischio di ricaduta e candidarli a una terapia
integrata multimodale,che prevede il trattamento ormonale in
combinazione alla chirurgia o alla radioterapia o ad entrambe
Nel
2001 il gruppo della Johns Hopkins University ha pubblicato
i dati relativi al rischio di ripresa di malattia nei pazienti
sottoposti a prostatectomia radicale, identificando diversi
fattori di rischio quali il PSA pre-operatorio, lo stadio clinico
e lo score di Gleason1.
Nel 2002 Walsh ha così definito il paziente ideale da
sottoporre a chirurgia: soggetto giovane (≤65 anni), senza
malattie concomitanti, con basso PSA di esordio (<10), basso
score di Gleason bioptico (≤3+4)
e basso stadio clinico (≤T2a).
Un tale paziente rientra nella categoria a basso rischio del
National Comprehensive Cancer Network (NCCN)2. Lorganizzazione
distingue 4 classi di rischio in base alla probabilità
di un paziente di essere libero da malattia a cinque anni: per
i pazienti a basso rischio questa probabilità è
dell85%, ma scende al 65% per quelli a rischio intermedio,
al 35% per quelli a rischio alto e al 15% per quelli a rischio
molto alto.
Sulla
base di queste considerazioni è stato affermato che solo
una parte dei pazienti (circa il 30%) può essere sottoposto
a un unico trattamento locale con intento radicale, per gli
altri due terzi dovrà essere presa in considerazione
una combinazione di diverse opzioni terapeutiche realizzando
quella che viene oggi chiamata terapia integrata o multimodale.
Le opzioni a disposizione sono la chirurgia, la radioterapia
e la terapia ormonale (con analoghi LHRH, antiandrogeni non
steroidei o con entrambi i farmaci).
Importanti studi sia americani (RTOG 85-31)3
sia europei (Eortc 22863)4 hanno dimostrato
che nei pazienti a rischio intermedio e alto è possibile
ottenere un significativo miglioramento in termini di progressione
biochimica, di progressione locale, di comparsa di metastasi
a distanza e soprattutto di sopravvivenza se alla radioterapia
esterna viene fatta seguire una terapia ormonale adiuvante (quindi
immediata) per due-tre anni.
Nello studio di Bolla4 per i pazienti ad alto rischio (carcinoma
localmente avanzato) (figura 1) la riduzione del rischio di
morte è del 49% nel gruppo trattato con LHRH adiuvante
per tre anni rispetto a quello trattato con la sola radioterapia
(nel quale la terapia ormonale veniva somministrata solo in
caso di progressione), mentre nello studio di Pilepich3
la riduzione del rischio di morte è del 23% (figura
2).
Anche
nei pazienti sottoposti a prostatectomia radicale ad alto rischio
(in particolare quelli con linfonodi positivi), la terapia
ormonale immediata è in grado di offrire un significativo
miglioramento di sopravvivenza rispetto alla sola chirurgia
(con ormoni a ripresa di malattia), come risulta dai dati dello
studio ECOG 7887 di Messing5.
Nuove evidenze
Recentemente sono stati pubblicati i risultati a 7.4 anni dello
studio EPC6 in cui alla chirurgia, alla radioterapia e anche
alla vigile attesa veniva affiancata o meno una terapia ormonale
androgeno-soppressiva con bicalutamide 150 mg/die. I risultati
hanno ampiamente confermato il dato di un significativo miglioramento
di sopravvivenza per i pazienti ad alto rischio del gruppo radioterapia+ormonoterapia
adiuvante rispetto a quelli con solo radioterapia (riduzione
del rischio di morte del 35% in favore della terapia combinata)
(figura 3); in questo caso è stato però utilizzato
un antiandrogeno non steroideo quale la bicalutamide, sicuramente
più maneggevole e meglio tollerato rispetto agli analoghi
LHRH. Molto interessante è anche il dato del
gruppo
chirurgico. In questo gruppo non si è ancora raggiunta
una significatività statistica per quanto riguarda la
sopravvivenza, ma per la prima volta si è registrato
un significativo miglioramento in termini di progressione
clinica della malattia per i pazienti ad alto rischio con terapia
combinata (RT e bicalutamide) rispetto al braccio placebo (riduzione
del 25% del rischio).
Conclusioni
Si può concludere che abbiamo oggi una serie di dati
che ci consentono di valutare attentamente, in relazione al
rischio di ricaduta della malattia (localmente o a distanza),
i pazienti portatori di carcinoma prostatico candidabili
a trattamento locale con intento definitivo; questo ci permette
di capire meglio quali pazienti possano giovarsi di un singolo
intervento terapeutico e quali richiedano invece limpostazione
di una terapia integrata multimodale che vede quasi sempre limpiego
della terapia ormonale in combinazione a un trattamento locale
chirurgico o radioterapico o entrambi.
Bibliografia
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