M.D.
numero 6, 22 febbraio 2006
Rassegna
Terapia con statine: gli insegnamenti dei
trial clinici
di Antonio Sciarra, Responsabile Settore Cardiologico,
Casa di cura Villa Serena, Cittą S. Angelo (PE)
Grazie
ai grandi studi clinici è stata possibile la realizzazione
delle linee guida di prevenzione cardiovascolare, adeguando
nel tempo i target di colesterolemia da raggiungere per massimizzare
i benefici clinici ottenibili,
in termini di riduzione del rischio di eventi
I risultati
degli studi clinici hanno apportato informazioni fondamentali
nella pianificazione della terapia cardiovascolare.
I grandi studi di mortalità e morbilità con
statine hanno riguardato pazienti di ogni genere, da quelli
in prevenzione primaria a basso rischio di cardiopatia ischemica
(AFCAPS/TexCAPS) a quelli con cardiopatia ischemica in prevenzione
secondaria (4S).
Tra questi due estremi si situano lo studio WOSCOPS, condotto
su soggetti ipercolesterolemici, il CARE e il LIPID, che hanno
invece arruolato pazienti con cardiopatia ischemica. Gli studi
più recenti, HPS e PROSPER, hanno incluso soggetti sia
ad alto rischio sia già affetti da cardiopatia ischemica.
I benefici terapeutici dimostrati dalla terapia con statine
comprendono la riduzione degli eventi coronarici maggiori,
della mortalità coronarica, delle procedure di rivascolarizzazione
(angioplastica/bypass), degli ictus e la riduzione della mortalità
totale.
Uno dei concetti introdotti con le linee guida ATP III (Adult
Treatment Panel III), è la necessità, basata sullevidenza
degli studi di intervento con varie coorti di pazienti, di individuare
obiettivi terapeutici (livelli di C-LDL) tanto più ambiziosi
quanto più elevato è il rischio cardiovascolare
del soggetto, esaltando il ruolo di un computo globale del rischio
cardiovascolare del singolo paziente.
Una
novità importante delle linee guida ATP III è
la presenza di equivalenti di rischio cardiovascolare quali
il diabete mellito e la vasculopatia carotidea sintomatica (pari
a un rischio a 10 anni >20%) che devono indurre a considerare
- e quindi a trattare - il paziente che ne è affetto
alla stregua del coronaropatico, quindi puntare a raggiungere
un target di C-LDL <100 mg/dL (tabella 1).
Lapproccio alle terapia ipolipemizzante può prevedere
due modalità: la prima ritiene lobiettivo terapeutico
da ottenere corrisponda a quanto suggerito dalle linee guida;
la seconda sostiene che il beneficio clinico del paziente sarà
tanto più evidente quanto più bassi saranno i
livelli di C-LDL raggiunti con la terapia.
Benefici maggiori nei pazienti ad alto rischio
Lentità dei benefici che si possono raggiungere
con la terapia è funzione delle modificazioni delle diverse
frazioni di colesterolo, ma dipende anche dal livello dei lipidi
al basale. Nel trial AFCAPS/TexCAPS si è osservata una
riduzione significativa degli eventi tra i soggetti che al basale
avevano un C-LDL più elevato (>157 mg/dL).
Dallo studio WOSCOPS è emerso che la riduzione degli
eventi cardiovascolari è proporzionale alla riduzione
del colesterolo LDL (% rispetto al basale) solo sino a valori
di -24% rispetto al C-LDL basale, mentre una riduzione ulteriore
non sembrerebbe apportare benefici aggiuntivi in termini di
riduzione degli eventi.
Considerazioni analoghe derivano dallo studio CARE, in cui il
rischio relativo di eventi coronarici si è progressivamente
ridotto sino a livelli di C-LDL pari a -30% rispetto ai livelli
basali, mentre non si è osservata una ulteriore riduzione
degli eventi scendendo sotto questa soglia di colesterolo.
Gli attuali target di colesterolo fissati dalla linee guida
in pazienti a differente rischio coronarico appaiono pienamente
giustificati dai dati emersi dai trial clinici. Inoltre, riduzioni
drastiche del C-LDL necessitano di una accurata valutazione
del rischio/beneficio nel singolo paziente, dettate principalmente
dal ricorso a dosaggi elevati del farmaco (tollerabilità,
compliance).
Appare tuttavia chiaro un messaggio: quanto maggiore è
il rischio coronarico di partenza che caratterizza un paziente,
tanto più elevato è il beneficio clinico che ci
si può attendere dalla riduzione della colesterolemia
con una terapia ipolipemizzante.
Inoltre, maggiore è il rischio che caratterizza il paziente
e minore è il numero di soggetti da trattare (NNT) per
evitare un evento con quel trattamento: nel 4S, per esempio,
che ha arruolato pazienti con precedente infarto, il NNT era
di 13, con una percentuale di riduzione assoluta del rischio
di eventi coronarici dell8%.
Nello studio AFCAPS/TexCAPS (prevenzione primaria in soggetti
ipercolesterolemici) il NNT era di 50, con una percentuale di
riduzione assoluta del rischio di eventi coronarici del 2%.
Una recente metanalisi che ha valutato 14 grandi studi con statine
ha sottolineato alcuni dati interessanti: la riduzione di eventi
è proporzionale al rischio assoluto del paziente e al
valore assoluto della riduzione del C-LDL; la riduzione di 31
mg/dL di C-LDL, ottenuta mediamente nei trial, non è
adeguata perché, per il target prognostico, la riduzione
deve essere di 39 mg/dL; infine, ridurre di 58.5 mg/dL il
C-LDL significa ridurre gli eventi vascolari maggiori di un
terzo (Lancet 2005; 366: 1267-78).
Indicazioni disattese nella pratica
Purtroppo la trasposizione delle indicazioni provenienti dai
trial alla pratica clinica non è sempre soddisfacente.
Alcuni studi osservazionali sottolineano due dati molto deludenti:
la preoccupante percentuale di pazienti che, pur necessitando
di una terapia con statine, non la ricevono e lelevata
percentuale di pazienti che, pur assumendo una terapia, sono
ben lontani dallavere raggiunto quei target capaci di
garantire reali benefici clinici.
Le ipotesi che sono state formulate per spiegare linadeguatezza
della terapia con statine comprendono il sottodosaggio del farmaco,
il mancato adeguamento posologico al fine di raggiungere i livelli
target di C-LDL, la scarsa compliance del paziente e infine
la sottovalutazione da parte del medico del livello di rischio
cardiovascolare. Si è quindi ben lontani dallapplicazione
in maniera adeguata dei suggerimenti che, con unevidenza
clinica inconfutabile, provengono dalle linee guida internazionali.
A sei mesi dallinizio del trattamento con una statina,
solo la metà dei pazienti continua la terapia e questo
numero si riduce a un terzo dopo un anno dallinizio del
trattamento.
I
suggerimenti più recenti
Grandi studi recenti quali lHPS suggeriscono che ridurre
il colesterolo anche al di sotto di 100 mg/dL può produrre
un ulteriore beneficio in termini di riduzione degli eventi
cardiovascolari (ma né questo trial né il PROVE-IT
hanno fornito un limite inferiore di C-LDL al di sotto del quale
ulteriori riduzioni di C-LDL non rechino più alcun beneficio
clinico) (figura 1). Nei pazienti con C-LDL <100 mg/dL basale,
le indicazioni dellATP III non suggerivano alcuna terapia,
ma i recenti risultati dellHPS indicano che tali soggetti
beneficiano di una terapia ipolipemizzante con statina e supportano
ladozione di un trattamento farmacologico in questo gruppo
di pazienti, in base anche alla valutazione del rischio assoluto
di eventi coronarici di ciascuno. Per i soggetti a rischio molto
elevato viene suggerita, come opzione terapeutica, la riduzione
del C-LDL <70 mg/dL (tabella 2).
Lesigenza
di un terapia aggressiva delle dislipidemie spinge allutilizzo
di farmaci sempre più potenti e alluso di associazioni.
Nonostante ciò, non dovrebbe essere dimenticato leffetto
di supporto che possono avere la dieta e le modifiche dello
stile di vita, che vanno sempre associate al trattamento farmacologico.