M.D. numero 38, 14 dicembre 2005

Diario ambulatoriale
Il lavoro in team in medicina di famiglia - Cronaca di una settimana
di Giuseppe Maso, Medico di famiglia - Venezia, Responsabile Insegnamento Scuola di Medicina di Famiglia, Università di Udine
Alessandra Semenzato, Infermiera di famiglia - Venezia, Docente Scuola di Medicina di Famiglia, Università di Udine

Lunedì
Maria è stata trasferita nella nostra residenza per anziani dal reparto di pneumologia del vicino ospedale.
La diagnosi di dimissione era “insufficienza respiratoria cronica con postumi di emorragia digestiva, BPCO, artrite reumatoide inveterata, sindrome ipocinetica, ipotiroidismo, tracheostomizzata in ossigeno e ventiloterapia continua”.
Alla visita le condizioni di Maria ci sono parse ancora più gravi di quanto descritto: imponenti edemi declivi in un quadro di anasarca, ascite (abbiamo fatto una puntura esplorativa), un fegato molto ingrandito e duro.
Visti gli esami ematochimici abbiamo preso in considerazione diverse ipotesi diagnostiche, ma non potendo eseguire alcun accertamento nella nostra struttura abbiamo ritenuto opportuno ricoverare la paziente in un reparto internistico per gli accertamenti.
La paziente ha solo cinquantasette anni, vive in uno stato di terrore (ha gia avuto episodi di soffocamento), non si muove e non può parlare.
Dal pronto soccorso la signora è stata inviata di nuovo in pneumologia e dopo tre giorni è di nuovo qui. Ancora con il suo addome globoso (più di prima) e con imponenti edemi agli arti inferiori.
Le condizioni respiratorie sono stazionarie e perciò non è più di competenza pneumologica.
La specialistica, ovviamente, ha le sue precise competenze.
La medicina di famiglia, a casa, nelle residenze protette e in ambulatorio ha competenze senza confini, si fa carico degli incurabili, di tutti i pazienti non acuti e forse di qualcosa di più.

Martedì

Ilaria soffre di un ipotiroidismo post-tiroiditico. Ricordo che due anni fa le feci fare degli esami perché era astenica, pallida, non poteva fare sforzi, nemmeno leggeri. Il TSH era molto elevato così come erano notevolmente presenti gli anticorpi anti-tireoglobulina e anti-perossidasi. Prescrissi subito levotiroxina e la sintomatologia scomparve rapidamente così come rapidamente si normalizzarono i valori degli ormoni tiroidei e del TSH.
Non si tratta di una patologia grave, ma devono essere eseguiti dei controlli periodici. La paziente ha diritto all’esenzione dalla spesa sanitaria relativa alla terapia e agli accertamenti legati alla sua patologia.
Però pur avendo già in cura Ilaria da due anni non posso certificarne la malattia, in quanto solo uno specialista, dipendente pubblico, può farlo. Ho chiesto quindi una consulenza endocrinologica per l’accertamento di patologia esente ticket, ma l’appuntamento per la visita endocrinologica non può essere fissato prima di un anno. Ho telefonato al responsabile del locale Distretto sanitario per sapere se fosse possibile trovare una via per risolvere il problema, visto che la paziente continuava a pagare esami che avrebbe dovuto eseguire gratuitamente. “Che specialista ha fatto la diagnosi e ha prescritto la terapia?” mi chiede il direttore. “Io, due anni fa” rispondo. “La diagnosi di ipotiroidismo può essere fatta solo da uno specialista!”, “Sì, ma come fa la paziente a rivolgersi a un endocrinologo se non sa che ha una patologia endocrinologica?”. “Un medico di famiglia non può fare una diagnosi specialistica!”. “Bene collega, allora facciamola vedere da un endocrinologo”. “Nella nostra Asl abbiamo solo un endocrinologo e i tempi sono molto lunghi”. “Allora la paziente deve pagare anche il non dovuto? Non mi sembra onesto”. “Sei proprio un rompiscatole, fai così, mandala da uno specialista qualsiasi, mandala in Medicina, poi io ti autorizzo l’esenzione”.
O tempora, o mores!

Mercoledì

“Sono stato male subito dopo che ho trafficato con l’aspirapolvere. Ho cambiato il sacchetto, ma non conoscendone la modalità ho dovuto lavorarci per un bel po’ di tempo e ho respirato parecchia polvere. Quasi subito ho vomitato, poi ho cominciato a tossire. Adesso questa tosse persiste ho avuto anche della febbre”. “Va bene Marco, posso visitarti?”.
Ci sono chiari rantoli e rumori espiratori al lobo superiore di sinistra anteriormente. Prescrivo un antibiotico e un fluidificante. Vuoi vedere che esiste anche la sindrome del sacchetto dell’aspirapolvere?

Giovedì

Capita piuttosto frequentemente in medicina di famiglia, purtroppo, di dover affrontare un lutto. La perdita di qualcuno caro è una delle vere tragedie della vita. La depressione reattiva a un lutto può essere così importante da dovere ricorrere a farmaci.
Gianni oggi era stravolto, non riusciva a trattenere le lacrime; è un sessantenne, sposato, senza figli, e ieri gli è morto il gatto. Non vi sono confini per l’affetto e per la sofferenza, nemmeno tra specie diverse.

Venerdì

Sono stato a casa di Giovanni per cambiargli il catetere vescicale che ha a dimora e per iniettargli sottocute la dose trimestrale di goserelin. Si tratta di un paziente, quasi novantenne, con un carcinoma della prostata. È allettato ed è accudito con amore dalla figlia. Sul comodino ha una candela accesa, alcune immagini di santi e l’immancabile statuetta trasparente di acqua di Lourdes. Mi viene da pensare che esista proprio un altro livello di assistenza, non contemplato dal Sistema sanitario nazionale.
Mi ritornano in mente le mie letture dei classici greci e latini e vedo chiaramente nella stanza di Giovanni tutte le nostre origini pagane.

Sabato

Oggi sono passata a salutare Gina, dopo circa un mese dalla morte di suo marito.
Mi era dispiaciuto molto non potere essere presente ai suoi funerali, dopo tanti anni di frequentazione quotidiana.
Ora, non è solo un dovere professionale il prendersi cura dei superstiti, giacché il lutto in molti casi è una sopravvivenza dolorosa a un evento che sconvolge ogni prospettiva di vita, ma un bisogno morale e umano. Le relazioni che intessiamo con alcuni pazienti alla fine disegnano una trama, della quale è difficile distinguere nettamente i contorni tra ciò che è personale e ciò che riguarda la professione.
Tutto il nostro bagaglio conoscitivo, in questi momenti, si sintetizza nell’ascolto e nella capacità di accettare la sofferenza altrui, senza filtrarla col nostro vissuto.
Così oggi ho ascoltato il dolore di Gina, 84enne, mentre mi raccontava di come suo marito, 91enne, prima di morire l’abbia salutata con un bacio e un sorriso affettuoso. E di come ora, per lei, la vita rappresenti un vuoto incolmabile e una mancanza di senso. Insieme abbiamo ricordato i momenti belli come quelli più difficili: Totono era diabetico, affetto da malattia di Parkinson e cardiopatico; un uomo che in gioventù aveva affrontato la guerra e la prigionia. Tornato poi a casa, era riuscito con grande coraggio a vivere con intraprendenza e serenità, dando alla propria famiglia ogni sicurezza e agio. Per lui dunque accettare la propria “disabilità” era stato molto difficile. Un caso, come molti altri, di un vecchio che accentra su di sé tutte le attenzioni e le premure familiari, per cui tutto è dovuto, talvolta al di là di ogni ragionevolezza.
Ho proposto a Gina di accompagnarla al cimitero. Un luogo per lei importante perché lì ci sono molti dei suoi affetti: i genitori, i nonni, alcuni fratelli.
Paradossalmente, un luogo vitale, pieno di presenze rassicuranti.
Ciò che mi ha stupito, è stata poi la sua richiesta di accompagnarla nel suo paese d’origine, per visitare i luoghi dove era cresciuta assieme a suo marito.
Quasi volesse rivelarmi un’identità a me sconosciuta, assieme alle testimonianze che i luoghi possono evocare, di tutta una vita vissuta felicemente.
Forse, perché la memoria è quanto di più prezioso e reale un essere umano possa tramandare a un altro essere umano.