M.D. numero 38, 14 dicembre 2005

Contrappunto
È fatale il disfacimento della medicina di famiglia?
di Leonardo Trentadue, Medico di medicina generale, Ferrandina (MT)

Ancora un duro attacco alla medicina di famiglia, secondo usi e metodi consolidati. Questa volta ci ha pensato l’associazione culturale Abc salute. Il presidente di questa associazione, Maurizio Mauri, durante un convegno svoltosi a Milano, ha proposto di retribuire i Mmg non più a quota capitaria ma a prestazioni. Rincara la dose nella stessa assise Roberto Comazzi, segretario provinciale della Cimo, favorevole a un sistema misto di pagamento a prestazione e allo snellimento delle voci stipendiarie in busta paga. E non contento aggiunge che la quota capitaria ha fatto un po’ adagiare il Mmg inducendo richieste eccessive da parte dei cittadini e che da troppo tempo, con rammarico, sente dire da questi che si recano dal Mmg in prevalenza per farsi “fare le ricette”


M
a veramente il collega Comazzi pensa che il Mmg svolga la sua professione compilando solo ricette? E da questo frusto luogo comune si può passare surrettiziamente a indebite richieste di revisione economica? È del tutto evidente che questi interventi, caratterizzati dalla mancanza strutturale di conoscenza del problema, svolgono, al di là delle intenzioni di chi li pronuncia, una funzione di supporto a coloro che hanno interesse a fare scomparire dalla scena sanitaria italiana la medicina di famiglia. Da tempo il processo di sgretolamento di questa Disciplina corrode un sistema di assistenza che proprio in questi ultimi anni sta dando risultati importanti. Il dato statistico, più volte confermato, dell’assoluta preferenza del medico di famiglia da parte della popolazione italiana rispetto ad altre figure professionali, ne costituisce l’imprimatur di qualità. L’inarrestabile burocratizzazione e la militarizzazione della professione sono stati finora i colpi più duri inflitti alla medicina di famiglia, con conseguenze irreparabili nel rapporto medico-paziente.
La categoria non ha saputo, di fronte ad attacchi così massicci, mantenere unità e coesione e così si è assistito a cedimenti che rischiano di intaccare per sempre la natura stessa, la specificità della Disciplina. La deriva della costituzione delle Utap è la cartina tornasole di una crisi radicata da cui sarà difficile uscire. Siamo di fronte ad una contraddizione strutturale e storica: proprio quando la Disciplina aumenta il suo tasso di qualità, comincia a perdere gli strumenti essenziali della sua sopravvivenza.

Trasformazioni e decadenza


Le responsabilità vanno ricercate non solo in chi con determinazione e metodo persegue l’opera di demolizione, ma anche in quei rappresentanti di categoria che hanno gestito in questi anni i processi di trasformazione professionale. Pressioni politiche, interessi economici e strategie nascoste, hanno condizionato una buona parte della dirigenza medica che, dimostrando una pesante miopia politico-sindacale, ha finito con lo svendere un patrimonio inestimabile in cambio nefasti mutamenti e pochi spiccioli di aumenti economici strombazzati per conquiste epocali. La maggioranza silenziosa dei singoli Mmg non allineati non hanno potuto fare altro che seguire la corrente e così, non trovando la strada organizzativa per contrastarla, accettano passivamente il nuovo establishement. Ma l’accettazione rinunciataria porterà irrimediabilmente a un incremento progressivo del disagio nel modo di esercitare la professione, ormai sotto le grinfie del controllo burocratico e della Finanza. Con questi artigli sulle spalle, il Mmg non potrà più vedere nella giusta prospettiva bio-psico-antropologica il paziente e così progressivamente il filo che li univa si strapperà definitivamente.
Ma forse per molti medici, e soprattutto per quelli che favoriscono tale andamento, tutto questo è già avvenuto e il resto non è altro che sterile romanticismo destinato a essere nullificato col passare del tempo. Questi medici forse hanno scelto di seguire le tendenze attuali delle società opulente che santificano gli idoli del benessere, dell’apparenza, dell’inutile vanità e dell’accaparramento economico.

C’è chi non ci sta


Eppure c’è ancora chi non si rassegna a questa medicina disumanizzata e votata alla pura cosmesi del corpo e dei rapporti interpersonali e lotta non solo per arginare la marea montante del neobarbarismo social-sanitario, ma si impegna, con i pochi mezzi a disposizione, a promuovere una medicina a misura d’uomo, basata sulla fratellanza e sulla solidarietà, con la granitica convinzione che il processo attuale, apparentemente inarrestabile, contiene in sé stesso gli elementi necessari per l’autodistruzione.