M.D. numero 37, 7 dicembre 2005

Contrappunto
Appropriatezza: il caso lombardo
di Giuseppe Belleri, Medico di medicina generale, Flero (BS)

La diffusione dei dati relativi a due diverse indagini sulle prescrizioni di accertamenti diagnostici registrate sul territorio lombardo negli ultimi anni hanno innescato un acceso dibattito tra opposti schieramenti politici, amministratori regionali e rappresentanti sindacali

I
n meno di una settimana le cosiddette prestazioni diagnostiche ambulatoriali sono balzate agli onori della cronaca in Lombardia, con le immancabili code polemiche tra opposti schieramenti politici, amministratori regionali e rappresentanti sindacali. Il dibattito pubblico è stato sollevato dalla diffusione dei dati relativi a due diverse indagini sulle prescrizioni di accertamenti diagnostici registrate sul territorio lombardo negli ultimi anni. Vediamoli in dettaglio prima di abbozzare qualche considerazione in merito.

Sani 8 pazienti su 10


La prima ricerca è stata svolta dall’assessorato lombardo alla sanità ed è relativa al 2004, anno in cui sono stati “consumati” 148 milioni di esami per un costo totale di 1 miliardo e 800 milioni di euro, pari al 20% dell’intera spesa sanitaria regionale. L’analisi delle prescrizioni ha fatto emergere i seguenti dati:
• su un campione di 500.000 prestazioni è risultato che l’80% degli accertamenti diagnostici ha dato esito negativo ed è quindi da ritenersi “inappropriato”;
• la spesa per TAC e risonanze magnetiche, gli esami più gettonati e costosi, ammonta a 800 milioni di euro.
L’assessorato ha quindi deciso di approfondire la conoscenza del fenomeno nell’ipotesi che una quota non indifferente di esami dall’esito negativo possa risultare non necessaria. L’obiettivo è di sensibilizzare i medici al problema e indurli a una maggiore oculatezza nelle prescrizioni di indagini diagnostiche di costo elevato.

Boom di esami e visite nei centri privati

La seconda serie di dati sulle prestazioni ambulatoriali, elaborati e diffusi dall’IREF (l’Istituto di Ricerca della Regione), riguarda il periodo che va dal 1997, anno di approvazione della Legge regionale n. 31 che sancì la parità tra pubblico e privato e la separazione tra erogatori accreditati (pubblici e privati) e acquirente pubblico (Azienda sanitaria locale), a tutto il 2003.
I risultati dell’indagine dell’IREF segnalano un considerevole incremento delle prescrizioni di indagini diagnostiche più sofisticate e costose a fronte di livelli abbastanza stabili nelle prestazioni di radiologia tradizionale, passate in sette anni da quasi 3 milioni a 3.562.354. A fare la parte del leone sono le strutture accreditate private, che mostrano una capacità di innovazione e attrazione della domanda che non ha confronto rispetto ai volumi di prestazioni erogate dalle strutture pubbliche.
Nei centri privati infatti in sette anni
le TAC sono passate dal 23 al 53%, le ecografie dal 5% al 47%, le RMN dal 28% a più del 73%. Da queste percentuali si evince chiaramente che sono proprio le TAC e le RMN eseguite nei centri accreditati privati a registrare un vero boom.
Anche per le consulenze specialistiche ambulatoriali il trend delle strutture private è eclatante (tabella 1).
Si registrano infatti a loro carico aumenti nell’ordine del 160% mentre le visite eseguite negli ospedali pubblici nel 2003 superano solo del 20% quelle registrate sette anni prima.
Probabilmente se le due ricerche fossero state presentate in sequenza invertita il nesso tra i due fenomeni sarebbe balzato con maggiore evidenza. Va da sè, per esempio, che il problema dell’appropriatezza delle singole prescrizioni è da inquadrare nell’ambito dell’impetuoso incremento complessivo delle prestazioni ambulatoriali. Infatti non è azzardato ipotizzare che la disponibilità sul “mercato” di crescenti volumi di prestazioni possa aver favorito la prescrizione di indagini non strettamente necessarie. Probabilmente la diffusione pubblica dei dati da parte della Regione è finalizzata a sensibilizzare i Mmg che stanno ricevendo o riceveranno a breve i nuovi report elaborati dalle Asl, riguardanti proprio la specialistica e la diagnostica ambulatoriale.

Le possibili cause


L’induzione aspecifica di prescrizioni e l’autoinduzione da parte dell’offerta specialistica sono due dei processi che possono spiegare l’incremento delle prestazioni, oltre alla generale espansione del sistema per la prevalenza delle malattie croniche e l’allungamento della vita media.
1. L’induzione aspecifica. La disponibilità di una nuova tecnologia costituisce di per sé e indistintamente per tutti i medici un incentivo, indiretto ma efficace, alle prescrizioni. Da qualche tempo a questa parte inoltre anche le esplicite richieste degli assistiti possono indurre a mettere mano al ricettario. Non è infrequente infatti che pazienti molto informati reclamino la prescrizione della tecnologia diagnostica dell’ultimo grido, indirettamente pubblicizzata da servizi giornalistici o da trasmissioni televisive. Per di più l’aumento dell’offerta da parte degli erogatori accreditati, finalizzata alla riduzione delle liste d’attesa, costituisce un ulteriore incentivo a eseguire l’esame in tempi rapidi, soprattutto nei centri privati più efficienti nell’intercettare le prescrizioni. In pratica l’offerta si riverbera sulla domanda in un classico circuito ricorsivo che si automantiene.
2. L’autoinduzione. Un’altra quota di prescrizioni invece origina direttamente dalla medicina di II livello. Negli ambienti specialistici per vari motivi si ricorre alla tecnologia diagnostica d’avanguardia con maggiore facilità e frequenza rispetto alla medicina territoriale di primo livello. Da varie ricerche è emerso che quasi i 2/3 di TAC, RMN e scintigrafie sono “suggerite” dagli specialisti, mentre i ricoveri sono equamente ripartiti tra I e II livello.
Le nuove tecnologie nascono e si consolidano nell’ambiente ospedaliero (per esempio, la PET) dal quale, più o meno rapidamente, si diffondono al territorio in modo capillare e per “contagio”. Tuttavia la maggior parte delle prestazioni diagnostiche “suggerite” restano per così dire orfane di paternità. Infatti la prescrizione indotta dallo specialista privato o accreditato, per poter essere espletata, deve essere trascritta dal Mmg sul proprio ricettario del Ssn. La stessa cosa accade sovente dopo una consulenza specialistica eseguita in una struttura pubblica, malgrado i professionisti ivi operanti siano dotati e tenuti ad utilizzare il ricettario del Ssn.
La situazione ha messo in allarme la Regione Lombardia che ha deciso di convocare i rappresentanti dei Mmg e degli specialisti per discutere eventuali misure di razionalizzazione e di promozione dell’appropriatezza delle prescrizioni.
La convocazione degli specialisti è quanto mai opportuna, anche se l’obiettivo di sensibilizzare questa variegata componente del sistema sanitario appare improbo. Sarà difficile raggiungere una categoria polverizzata in decine di branche, con professionisti operanti in diversi regimi professionali (dipendenza, libera professione intra ed extra-moenia ecc.) e che devono fare i conti con logiche economiche e organizzative differenziate (aziende pubbliche, private accreditate, profit e no-profit, ecc.). Esattamente il contrario di quanto accade con il Mmg, interlocutore unico, stabile e ben individuabile dalle Asl.