Editoriale
Assistenza: le possibili frontiere regionali
Paziente che va, paziente che viene:
è la dura legge della mobilità sanitaria, per
la quale centinaia di pazienti ogni anno nel nostro Paese migrano
alla ricerca di centri deccellenza, o, ancora più
spesso, di risposte pure elementari ai propri bisogni di salute,
che non riescono a ottenere sul proprio territorio di residenza.
Secondo la Legge Finanziaria 2006, però, almeno fino
al momento in cui scriviamo, ogni Regione dovrebbe porre un
tetto massimo ai rimborsi riconosciuti alle strutture sanitarie
per i pazienti che vanno a curarsi in una Regione diversa da
quella di appartenenza, ad eccezione delle prestazioni oncologiche
e quelle di alta specialità.
Un provvedimento che, anche secondo il Tribunale per i Diritti
del Malato, limita la libertà di scelta dei cittadini
e non permette alle piccole Regioni di appoggiarsi a centri
meglio attrezzati per le alte specializzazioni, migliorando
il rapporto costo-beneficio delle prestazioni. I dati ufficiali
sulla mobilità parlano chiaro: la gran parte delle Regioni
che producono migrazioni sanitarie sono quelle del Sud, e in
particolare Campania, Sicilia, Sardegna, Basilicata, Calabria.
Una parte di questi spostamenti è sicuramente legata
alla grande capacità di attrazione di alcuni centri specializzati,
ma una parte consistente è frutto dellenorme distanza
culturale, organizzativa e di risorse esistente tra le Regioni.
Si parla spesso di spostamento delle cure sul territorio, di
governance sanitaria delle nostre Regioni
a partire da una maggiore interdisciplinarietà della
medicina di famiglia, di ospedali di comunità
e di eccellenza. Ma i dati sulla mobilità dimostrano
chiaramente che non tutti i territori sono allaltezza
della domanda di salute dei propri cittadini: scorrendo i dati
di Cittadinanzattiva e soffermandoci solo su quelli relativi
alla radioterapia scopriamo che sempre al Sud mancano il 50%
delle strutture necessarie e ci sono attese anche di 90-120
giorni.
A tutto ciò va aggiunto il fatto che nemmeno le risorse
messe in campo dalla nuova Convenzione per la medicina generale
sono sufficienti per remunerare almeno la cornice nazionale
di questo impegno crescente per i Mmg. Per Cumi-Aiss, infatti,
sarebbe necessaria una forte iniziativa politica e sindacale
sullaccordo di lavoro dei medici
del territorio, di medicina generale, di specialistica ambulatoriale
e di pediatria di libera scelta nei confronti della parte pubblica
rappresentata dalla Sisac per proporre una seria rivalutazione
economica delle convenzioni. Secondo le stime della Cumi sarebbe
indispensabile in Finanziaria lo 0.7% in più rispetto
allo stanziamento previsto, cifra della quale, al momento, le
Regioni non dispongono. Se non si interviene rapidamente in
un accordo di lavoro, che in più occasioni è stato
definito difensivo e di transizione, il rischio - mette in guardia
il sindacato - è che tale accordo possa diventare un
vero e proprio capestro per i medici di cure primarie. Ma anche
per i loro pazienti, con un biglietto di sola andata per il
triste gioco dei quattro cantoni del Ssn.