M.D. numero 36, 30 novembre 2005

Contrappunto
Mmg tra cambiamenti desiderati e imposti
di Francesco Carelli, Insegnamento Medicina di Famiglia, Università degli Studi di Milano

Cambiamenti epocali attendono la medicina di famiglia, almeno a detta degli esperti e dei rappresentanti della politica sanitaria. Si tratterebbe di un’ottima notizia se tali cambiamenti per questa disciplina volessero dire autonomia dipartimentale, accademica e per i medici che la esercitano, flessibilità contrattuale di lavoro, spazi protetti per didattica, ricerca, management, interessi specialistici.
Invece la strada su cui i medici di famiglia si incamminano appare costellata dai diktat dell’adeguamento.
La medicina di famiglia dovrà infatti adeguarsi sempre più a linee guida e “governi clinici”, dovrà trasformarsi rapidamente in una medicina associativa di gruppo a costituzione multiprofessionale tout court

O
gni cambiamento genera fisiologicamente delle resistenze e questo vale anche per chi opera nel Servizio sanitario nazionale, soprattutto se additato come il centro o il fulcro del suo funzionamento. Le resistenze crescono ancora di più se i cambiamenti richiesti fanno da eco a quelli elaborati all’interno di una professione, ma si discostano dai suoi significati originari. Nessuno può obiettare che in questi anni la medicina di famiglia (MdF) è stata foriera di un fermento legato proprio ad una necessità di evoluzione della disciplina e del come viene praticata. Linee guida, qualità e sua verifica, appropriatezza ecc. sono concetti che appartengono alla crescita “teorica” della MdF. Purtroppo tali concetti sono stati travisati e di essi non resta che la denominazione, utilizzata sempre più per fini strumentali.
Per esempio, la diffusione di linee guida attraverso l’ECM così come è stata strutturata ha dimostrato fino ad oggi di non produrre modifiche sostanziali in merito alla qualità e neanche riguardo all’azione prescrittiva.
Una linea guida per potere essere elaborata ha bisogno di un processo ideativo complesso e soprattutto di una larga condivisione su come trattare una specifica situazione clinica. Un processo che presenta delle significative criticità in una situazione in cui si assiste sempre più ad una riduzione dell’autonomia professionale e del coinvolgimento di chi la esercita nei processi decisionali.

L’associazionismo: un diktat


Anche sul modus operandi erano state elaborate più opzioni che meglio potessero aderire a specifici e particolari bisogni territoriali e alle esigenze di medici e pazienti: da qui medicina di famiglia in associazione, in rete, in gruppo, di gruppo ecc. Ciò non toglie che gli studi medici singoli hanno finora svolto una funzione egregia, mantenendo un buon rapporto di relazione con i pazienti. La conoscenza personale ha permesso diagnosi veloci, con costi contenuti e una significativa rispondenza terapeutica.
Gli studi associati dal loro canto hanno spesso mostrato problemi di compatibilità tra professionisti, un aumento esponenziale della burocrazia e dell’amministrazione con necessità di uno staff amministrativo.
La complessità dei problemi gestionali ha di fatto creato una esigenza implicita, cioè quella di affidare a terzi incarichi di controllo, di relazioni o di obiettivi che erano stati fino ad oggi appannaggio del medico. Esercitare una delega non può prescindere dal controllo e dalla verifica. Ciò rende necessari incontri periodici per la pianificazione e riunioni per gestire eventuali cambiamenti.

La programmazione di obiettivi


Esiste poi un altro aspetto da considerare. Quando lo studio associato ha raggiunto uno specifico traguardo organizzativo o clinico, l’obiettivo e le risorse si muovono subito su altre aree e, nello stesso tempo, i soggetti che si occupano dell’area che ha raggiunto l’obiettivo devono essere “performanti” per mantenere il livello acquisito.
In altre parole non si tratta più di ottenere un cambiamento, bensì di mantenere il miglioramento raggiunto. Ma, siccome su quel dato obiettivo non ci sono più investimenti, si determina un problema motivazionale del personale coinvolto.
Tutto ciò richiede tempo e dedizione continua: due elementi obiettivamente a rischio.
La stessa analisi e implementazione di linee guida richiede un passaggio di quesiti e informazioni tra infermiere e medici, medici fra loro, i medici quindi devono avere tempo per l’approfondimento e per occuparsi di settori specifici, a scapito purtroppo della loro normale attività clinica. Ma quando un sistema è istituito non rimane certo statico e non è detto che chi si è formato (o è stato formato a far procedere tale sistema) rimanga sempre al suo posto. Capita così che i costi amministrativi lievitino e gli standard si mantengano a fatica. Quando lo studio associato delega lavoro ad altri professionisti, il ruolo di tutti i medici cambia da quello della persona che “fa“ le cose, ad uno che supervisiona e risponde a domande per altri clinici: le responsabilità si sommano.
Infine, quanto più si prefiggono obiettivi, tanto più si ha necessità di personale ed entrate per coprirne i costi e occorre tenere presente che anche i costi prescrittivi e diagnostici lieviteranno. Lieviteranno anche quelli informatici e sarà necessario avere personale specificamente addestrato in questo settore.

Opzione o necessità indotta?


Detto questo, se un MdF single di fronte a un tot di possibilità organizzative opta di continuare a lavorare in uno studio singolo, avendo già un alto profilo di qualità operativa, sicuramente eserciterà un suo diritto e andrà incontro ad uno stress minore rispetto a quanti, valutando esigenze e opportunità, decidano diversamente. Questo in linea teorica perché per il medico di famiglia che decide di lavorare singolarmente il surplus di stress verrà dall’esterno e cioè dalle pressioni delle Asl, ma anche dalle discriminazioni economiche legate al diverso tipo di organizzazione dell’ambulatorio. Si pensi per esempio alla diversità del pagamento in rapporto al raggiungimento di risultati o in relazione alla strutturazione del lavoro. Il risultato per quel medico sarà sicuramente una perdita di introiti.

Questioni di competenze


La creazione di uno studio che cambia come associato e che cambia in qualità richiede capacità molto differenti da quelle necessarie ad essere un medico. La capacità di comprendere i differenti ruoli di lavoro in un’organizzazione medica è probabilmente presente in tutti i medici di famiglia. Può non esserlo il desiderio di dedicare tempo a gestire un’organizzazione di queste dimensioni e complessità soprattutto se il contesto lavorativo non lo rende necessario.
Molti medici possono non desiderare un simile controllo del loro lavoro quotidiano e del loro sistema organizzativo per una parte o per tutta la loro carriera professionale.