M.D. numero 35, 23 novembre 2005

Diario ambulatoriale
Il lavoro in team in medicina di famiglia - Cronaca di una settimana
di Giuseppe Maso, Medico di famiglia - Venezia, Responsabile Insegnamento Scuola di Medicina di Famiglia, Università di Udine
Alessandra Semenzato, Infermiera di famiglia - Venezia Docente Scuola di Medicina di Famiglia, Università di Udine

Lunedì
La nostra società sta invecchiando e per questo stanno mutando profondamente le abitudini, i comportamenti, gli assetti e le relazioni familiari.
Ci preoccupiamo che l’anziano venga tutelato sia dal punto di vista sanitario sia sociale; la sua dignità di essere umano, i suoi diritti, proprio perché considerato l’elemento più vulnerabile di tutto il sistema civile, sono messi in primo piano. Oggi ne discutiamo, ma fino a qualche decennio fa non ve ne era bisogno e tutto avveniva naturalmente: i “vecchi” erano i depositari di tutta l’esperienza di vita da cui i giovani potevano trarre utili insegnamenti. Il rispetto non era mai richiesto, era naturale e logico. Non avevano bisogno di richiedere attenzioni, erano per loro natura il fulcro della famiglia.
Anche gli anziani ci sembrano cambiati, oggi devono essere accuditi e curati senza dare alcunché in cambio, senza gratitudine e riconoscenza. Molti non fanno alcun sforzo per facilitare questo compito ai loro familiari, non sono mai contenti, si atteggiano a vittime del destino e non fanno altro che brontolare o imprecare. È un loro diritto essere ascoltati ed è un loro diritto che ogni loro bisogno debba essere soddisfatto. Spesso agiscono sui sensi di colpa di figli e nuore. Per questo non vengono trattati con amore, il loro egoismo è talmente evidente che parimenti risulta evidente che quanto viene fatto per loro è fatto per forza. I vecchi di questo tipo sono spesso causa di disagio familiare, talvolta addirittura la causa di rotture irreparabili e talaltra sono causa di depressione e infelicità.
Ma incontriamo ancora famiglie armoniose, in cui l’anziano non ha proprio bisogno di chiedere attenzioni particolari. Perché il suo ruolo è riconosciuto e ben definito nel nucleo in cui vive. Così abbiamo la possibilità di confrontare realtà diverse che hanno il valore della riflessione personale.
Quando ci viene a trovare Pasqua, accompagnata da uno dei figli o dalle nuore o dai nipoti che la adorano, ci si apre il cuore. Pasqua ha 89 anni, e sembra uscita da un libro di favole. Non si lamenta mai, pur avendone a volte motivo. È spontanea nel dimostrare affetto e riconoscenza, il suo sguardo è sempre luminoso e accompagna sempre un abbraccio affettuoso. Ha una bellezza e una dignità emblematiche per noi.
Se la vita va pensata e vissuta come un percorso evolutivo, pur tra le molte difficoltà, immaginare di arrivare così, lì dove è ora Pasqua, rappresenta un esempio di grande dignità e valore umano.

Martedì

“Volevo ringraziarla dottore, il cardiochirurgo mi ha detto di complimentarmi, se non fosse stato per lei, io sarei in pericolo di vita perché ho un aneurisma che può rompersi da un momento all’altro. Sono venuto perché mi prepari la documentazione per il ricovero, possono chiamarmi anche domattina”. Francesco aveva appena eseguito degli accertamenti in vista di un intervento per ernia inguinale: la radiografia del torace mi ha indotto a eseguire una TAC che ha evidenziato, sul profilo sinistro arco-istmico dell’aorta, una saccatura allungata a contrastografia omogenea, verosimilmente riferibile a un aneurisma post-traumatico. Per questo ho chiesto una consulenza cardiochirurgica.
Francesco era appena uscito dalla stanza quando è squillato il telefono. Era il collega della cardiochirurgia che mi diceva che avrebbe chiamato al più presto il paziente per l’intervento. A suo dire il rischio di rottura era molto elevato.
Stamane Francesco è entrato in sala operatoria, ma ne è uscito cadavere.
“Volevo ringraziarla dottore, se non fosse stato per lei...”.

Mercoledì

Anche il Comune di Venezia ha preso la decisione di ricorrere all’uso del provvedimento che blocca la circolazione delle auto a targhe alterne. È un provvedimento che crea effettivamente molti disagi, anche perché i trasporti pubblici sono quello che sono. Molti cercano di arrangiarsi come possono per trovare scappatoie al provvedimento. “Dottore, ho bisogno di lei”. È Gianni, trentenne in buona salute, qualche volta fa uso di salbutamolo per inalazione, ma più per motivi psicologici che per reale necessità. “Lei mi dovrebbe certificare che io ho bisogno di andare al lavoro in auto e che non posso utilizzare i mezzi pubblici”. “Perché questa richiesta Gianni?” “Dottore, se mi capita una crisi d’asma, come faccio ad andare di corsa al pronto soccorso se sono in autobus?”.

Giovedì

È tempo di vaccinazione antinfluenzale. Tutti i media fanno una campagna martellante, in particolare la televisione. Quest’anno poi c’è lo spettro dell’influenza aviaria e molti sono convinti di potersi proteggere da questa annunciata pandemia con lo stesso vaccino. C’è una grande disinformazione che sembra fatta ad arte. Nei servizi televisivi l’influenza dei polli è sempre collegata alle malattie da raffreddamento e all’influenza stagionale e la maggior parte delle persone sono veramente disorientate.
La richiesta di vaccinazione è pertanto montata di giorno in giorno e anche Antonio è venuto più volte in ambulatorio per vedere se erano arrivati i vaccini. Ogni volta se ne usciva brontolando: “Non è possibile che ci sia un ritardo del genere, è un farmaco fondamentale, noi anziani dobbiamo farlo, potremmo sul serio avere delle complicazioni gravi”. Ogni volta teneva un comizio nella sala d’attesa, il sistema sanitario, a suo avviso, diventa sempre più inefficiente e trascura i poveri anziani.
Oggi è tornato, ha saputo che abbiamo iniziato a vaccinare. “Antonio, lei non ha compiuto sessantacinque anni e non ha patologie particolari, non posso somministrarle il vaccino gratis, le faccio la ricetta. Vada a comperarlo in farmacia, poi torni che glielo faccio”. “Beh, dottore, non sono ancora sicuro di farlo, mi hanno detto che ci possono essere delle complicazioni, preferisco pensarci”. “Va bene Antonio, veda lei, io sono sempre qui”.

Venerdì

Fiorella era venuta in ambulatorio perché da qualche giorno si sentiva astenica, aveva avuto anche qualche linea di febbre, dolori muscolari e aveva nausea. Non presentava alcunché alla visita, le ho prescritto un sintomatico e le ho consigliato del riposo. Durante questa settimana avrò visto almeno altre trenta persone con la stessa sintomatologia: quasi certamente un’infezione virale.
Due giorni dopo però Fiorella si è recata al pronto soccorso perché vedeva doppio e aveva un’intensa cefalea nucale. È stata ricoverata prima in neurologia, poi in divisione malattie infettive e di nuovo in clinica neurologica. Gli accertamenti eseguiti, in particolare la risonanza magnetica cerebrale e l’esame del liquor, hanno condotto alla diagnosi di encefalomielite acuta disseminata post-infettiva. Le alte dosi di steroidi somministrate hanno portato alla regressione completa del quadro clinico.
Oggi è venuta a portarmi la lettera di dimissione. Lei era serena, ma ha chiesto a me perché fossi turbato. Evidentemente si vedeva. Mi sono passati per la mente, in pochi secondi, numerosi pensieri: quanti tra gli altri casi avranno avuto una encefalomielite risolta spontaneamente? Quanto ha contato la terapia antinfiammatoria prescritta? I problemi che vediamo in medicina di famiglia sono sempre destrutturati e vaghi, quanto e cosa possiamo fare vedendo i sintomi così precocemente? Se facessimo più uso di tecnologia quanta patologia importante vedremmo in più? Cosa sarebbe successo se non avessi visitato accuratamente la paziente? La storia naturale delle malattie quando comincia?
Un vortice di considerazioni. Poi il pragmatismo della professione: “Fiorella, è bene che tu ti prenda quindici giorni di riposo e la settimana prossima vai a fare gli esami di controllo programmati”.

Sabato

La stagione autunnale come sempre si annuncia con la sala d’attesa affollata. Oggi tra i vari volti rivedo lo sguardo di una paziente tunisina, dopo parecchi mesi dall’ultima visita. Mi sorride e si avvicina chiedendomi di potermi parlare del suo problema. Con grande pudore mi chiede di esaminare una piccola tumefazione sottocutanea che la preoccupa molto. Il problema è che in Tunisia non ha avuto il coraggio di rivolgersi al suo medico perché il problema è a livello inguinale. Con me, donna oltre che infermiera, la difficoltà è evidentemente più facile da superare. Si tratta di una banale cisti sebacea, e la tranquillizzo.
Durante la visita, mi rivela che sta vivendo il Ramadan. Periodo difficile per il digiuno, ma molto gratificante per lei, perché lo sente un atto di vera devozione. Solo per chi lo vive dal proprio intimo, dice, ha valore, e vuole trasmetterci quanto prova. Sente il bisogno oltre che di sentirsi accettata, anche d’essere compresa nei suoi valori più intimi. Il momento della visita si è trasformato in un momento di intensa comunicazione e questa conoscenza sarà fondamentale se si dovranno affrontare altri problemi.