M.D. numero 35, 23 novembre 2005

Clinica
Disturbo d’ansia generalizzato: dalle linee guida alla pratica clinica
di Ferdinando Pellegrino, Psichiatra, Direttore Unità Operativa Salute Mentale Asl Salerno 1, Costa d’Amalfi

È necessario affrontare il disturbo d’ansia generalizzato con la dovuta attenzione, puntando alla diagnosi precoce e ad un idoneo piano terapeutico, oggi possibile grazie alla disponibilità di strumenti farmacologici e psicoterapeutici di indubbia efficacia

Tabella 1 - Hamilton Anxiety Scale (HAM-A)

Principali dimensioni psicopatologiche dell’ansia

  • Ansia
  • Tensione
  • Paure
  • Insonnia
  • Sfera affettiva
  • Umore depresso
  • Sintomi somatici
  • Comportamento del soggetto
    durante l’esame

Il costrutto della HAM-A, una della scale più utilizzate per la valutazione dell’ansia, si basa su alcune dimensioni psicopatologiche che caratterizzano
i disturbi dello spettro ansioso. Il suo utilizzo, oltre che favorire un adeguato approccio diagnostico, può essere utile per valutare nel tempo l’andamento del quadro clinico e la risposta al trattamento farmacologico e psicoterapeutico.

Lo sviluppo di servizi per le cure primarie in grado di rilevare e trattare i problemi di salute mentale, come l’ansia e la depressione, appaiono un obiettivo fondamentale per la sanità pubblica, ribadito anche nel 2005 ad Helsinki nella conferenza ministeriale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Occorre dare un impulso al medico di medicina generale nel prestare maggiore attenzione ai disturbi dello spettro ansioso-depressivo, che molto più frequentemente di quanto si possa ritenere danno luogo a quadri clinici cronici e invalidanti, con una riduzione complessiva della qualità di vita attesa.
L’OMS in particolare richiama l’attenzione sul fatto che il disturbo d’ansia generalizzato (GAD) può presentarsi inizialmente con sintomi fisici (per esempio disturbi gastrici o palpitazioni) o con insonnia (tabella 1).
Infatti le principali caratteristiche diagnostiche del GAD comprendono tre cluster sintomatologici fondamentali, che possono dare luogo a molteplici manifestazioni cliniche variabili da soggetto a soggetto e nel corso del tempo lo stesso soggetto può presentare aspetti sintomatologici diversificati:

  • tensione psichica (preoccupazione per sé e per i propri familiari, stato di tensione con scarsa concentrazione, facile distraibilità, amplificazione di fenomeni fisiologici, come il pulsare della carotide, con continua richiesta di visite nel timore che possa insorgere qualche malessere);
  • tensione fisica (irrequietezza, tremori, somatizzazioni);
  • iperattività vegetativa (sudorazione, tachicardia, bocca secca).
Tabella 2 - Guida alla diagnosi dei disturbi dello spettro ansioso
Valutare
- I sintomi chiave: quali sono i sintomi per i quali il paziente chiede aiuto?
Qual è il sintomo (o i sintomi) che predomina il quadro clinico?
- La loro intensità: quanto sono intensi? Qual è il loro livello di gravità?
- La loro durata e persistenza: sono persistenti? Da quanto tempo sono presenti?
- Prestare attenzione alla diagnosi differenziale: è possibile che i sintomi
siano secondari ad altri disturbi di natura organica o psichica?
- Valutare la ricorrenza: è la prima volta che questi sintomi si presentano?
Vi sono stati analoghi episodi per il passato?
- Osservare la personalità del paziente e valutare gli eventi della vita:
quali sono le principali caratteristiche di personalità del paziente? Come reagisce
e gestisce i problemi della vita? Quali sono le sue attuali preoccupazioni?
È successo qualcosa negli ultimi mesi che l’ha turbato?
- Grado di interferenza dei sintomi con il funzionamento del soggetto:
in che modo i sintomi causano sofferenza? Fino a che punto interferiscono
con il funzionamento globale individuale, familiare, sociale e lavorativo del paziente?
Vi è stata una riduzione della performance in generale rispetto al passato?

Questi sintomi possono essere insidiosi e persistenti fino a pervadere l’ideazione della persona e a inibire o condizionare il comportamento, per esempio non volere restare da soli o a richiedere continue rassicurazioni e protezione (tabella 2).
Il GAD è una malattia di lunga durata che spesso insorge in giovane età (sono sempre stata una persona ansiosa… ricordo che avevo tanta ansia quando dovevo affrontare un esame all’università… sono sempre stato molto irrequieto e teso…), può persistere per tutta la vita ed è spesso associato a quadri psicopatologici come la depressione o l’abuso di alcolici o droghe (tabelle 3 e 4).

Obiettivi del trattamento


L’obiettivo cardine del trattamento mira a ridurre l’ansia e l’impatto che ne consegue in termini di compromissione della vita quotidiana, e punta a migliorare la qualità della vita del paziente con minimi effetti avversi.
Tale prospettiva appare di estremo interesse in quanto non limita l’intervento al “contenimento” della sintomatologia, ma vuole favorire una migliore consapevolezza del paziente rispetto al disagio, fino a renderlo più partecipe al programma terapeutico arginando i fattori psicologici individuali che lo rendono vulnerabile agli eventi stressanti della vita.

Tabella 3 - Complicanze del GAD
  • Tentativi di autoterapia con farmaci
    (per esempio analgesici)
    o sostanze d’abuso
  • Abuso/dipendenza da alcol
  • Tabagismo
  • Abuso di caffeina
  • Depressione
  • Malattie organiche
    (ulcera peptica, ipertensione, ecc)

Il GAD appare come un disturbo tendenzialmente cronico e invalidante che si accompagna spesso a complicanze che aggravano ulteriormente il quadro clinico. Lo stato di abnorme attivazione psicofisica rende inoltre l’individuo più vulnerabile allo sviluppo di patologie organiche.

L’esito atteso del trattamento attiene pertanto alla qualità della vita e ciò appare oggi possibile se si considera la possibilità di integrare trattamenti diversificati secondo un approccio multidimensionale rivolto alla persona, alle sue caratteristiche psicologiche, al suo contesto familiare, sociale e lavorativo.

Strategie terapeutiche


Vi sono livelli di evidenza che contribuiscono a definire, attraverso le linee guida, le migliori strategie terapeutiche: la psicoterapia cognitiva e l’utilizzo degli antidepressivi appaiono gli strumenti di maggiore evidenza scientifica, da utilizzare per ogni paziente.
Per ciò che attiene le benzodiazepine il loro uso deve essere valutato caso per caso, mentre le altre tecniche, come il training autogeno, possono essere utilizzate solo nel contesto di un programma terapeutico più globale.
Appare invece sempre più rilevante il ruolo dei gruppi di sefl-help per la loro facilità a un interscambio di esperienze significative a livello emozionale e razionale tra chi ha superato e gestisce con efficacia i propri livelli di ansia e chi invece non ha ancora raggiunto tale fase.

Tabella 4 - Ansia e depressione

La comorbidità ansia-depressione

  • Aumenta la gravità del disturbo
  • Riduce ulteriormente la funzionalità
    del soggetto
  • Peggiora la prognosi
  • Incrementa il rischio suicidario
  • Riduce la qualità di vita del paziente
  • Rende più difficile e articolato
    l’intervento terapeutico

La probabilità di insorgenza di un quadro depressivo nel corso del GAD è elevata
e rende più difficile e articolato l’intervento terapeutico. Ciò determina la necessità
da parte del clinico di prestare particolare attenzione alla presenza di sintomi depressivi.

Sembra doversi ritenere definitivamente superata la contrapposizione degli interventi; il medico ha validi strumenti a disposizione sia farmacologici sia psicoterapeutici che può utilizzare in relazione alle caratteristiche cliniche del paziente, modulando di volta in volta il tipo di intervento.
Si può iniziare con la sola psicoterapia, con il solo antidepressivo o integrando entrambi gli interventi. Soprattutto nella fase iniziale del trattamento può essere utile l’associazione di una benzodiazepina che consente un immediato controllo della sintomatologia ansiosa - che può acuirsi, paradossalmente, all’inizio del trattamento con antidepressivo - e un più facile accesso alla dimensione relazionale.

Terapia dell’ansia acuta e cronica


Attingendo alle linee guida oggi disponibili occorre pertanto distinguere un trattamento acuto dell’ansia e uno a lungo termine (tabella 5).
Il primo, attinente a episodiche crisi di ansia, prevede l’utilizzo di una benzodiazepina per un periodo di 2-4 settimane, avendo cura di fornire al paziente utili informazioni su come gestire le crisi d’ansia e su come comportarsi.

Tabella 5 - Trattamento dellšansia

Trattamento delle crisi d’ansia o dell’ansia acuta

  • Utilizzare una benzodiazepina per
    un periodo massimo di 2-4 settimane, associare un intervento psicoeducativo volto ad aiutare il paziente
    a comprendere le ragioni del suo malessere e gestire le acuzie
  • Inviare il paziente a uno psicoterapeuta per una valutazione delle caratteristiche di personalità e dell’opportunità
    di una psicoterapia

Trattamento dell’ansia cronica

  • Indirizzare il paziente a uno psicoterapeuta
  • Iniziare il trattamento con un antidepressivo indicato per il GAD
  • Protrarre il trattamento farmacologico per un periodo di tempo sufficientemente lungo, valutato dal medico e concordato con il paziente
  • Nelle fasi iniziali del trattamento può essere associata una benzodiazepina per la gestione della componente ansiosa

Qualsiasi trattamento deve essere preceduto dalla formulazione di una diagnosi corretta. Particolare attenzione va rivolta alla diagnosi differenziale in quanto molte patologie organiche o l’uso di farmaci o l’abuso di sostanze medicamentose o droghe possono dare luogo a sintomi ansiosi.

Può essere utile indirizzare il paziente a uno psicoterapeuta per l’apprendimento di specifiche strategie psicologiche per la gestione dell’ansia acuta. Tali tecniche, unitamente al trattamento farmacologico, consentono una gestione ottimale delle crisi, evitando la loro strutturazione in quadri clinici più complessi e il frequente ricorso alle cure mediche, che determina un inusuale impegno del pronto soccorso ospedaliero o del medico di medicina generale.
Per le condizioni d’ansia più pervasive e invalidanti è necessario invece un intervento psicoterapeutico più duraturo e strutturato e un trattamento farmacologico protratto nel tempo. Per quanto riguarda il trattamento farmacologico le linee guida, come quelle elaborate dal NICE (National Institute for Clinical Exellence) o dalla WFSBP (World Federation of Societies of Biological Psychiatry), indicano gli antidepressivi come farmaci di prima scelta nel trattamento del GAD.
Tra essi gli SSRI (inibitori selettivi del reuptake della serotonina), come la paroxetina, i TCA (triciclici), come la imipramina e gli SSNRI (inibitori selettivi del reuptake della serotonina e della noradrenalina), come la venlafaxina.
La paroxetina viene indicata a un dosaggio di 20-50 mg/die e viene utilizzata per un periodo medio di 6-12 mesi, anche se in molti casi il trattamento deve essere ulteriormente protratto; ciò che conta è il monitoraggio clinico e farmacologico del paziente attraverso la pianificazione concordata di periodici controlli clinici.
Meno utilizzata risulta invece l’imipramina per il noto minore profilo di tollerabilità dei triciclici, mentre per la venlafaxina, utilizzata al dosaggio medio di 75 mg/die, la NICE raccomanda un più attento monitoraggio, ritenendo per esempio necessario il controllo dei valori pressori e l’ECG, sia in fase iniziale sia nel corso del trattamento.

Problematiche della gestione del paziente

Tra le problematiche relative alla gestione del paziente con GAD vi è la precoce o improvvisa sospensione del trattamento, l’utilizzo di dosaggi non terapeutici, la errata valutazione delle interazioni farmacologiche, la presenza di complicanze legate al quadro psicopatologico.
Infatti il paziente nel momento in cui inizia a stare bene comincia a ritenere “di potercela fare da solo e di non avere più bisogno dei farmaci”, tende a non rivolgersi più al medico e a sospendere il trattamento, con inevitabili conseguenze sia legate agli effetti di una brusca interruzione del trattamento (sindrome da sospensione) sia alla possibile riacutizzazione del quadro clinico.
L’altro aspetto è legato all’individuazione del dosaggio terapeutico che va adattato al singolo paziente rispettando il range consigliato; una particolare attenzione va rivolta alla politerapia. Vi è infatti una tendenza ad associare più farmaci, come per esempio due antidepressivi, o un antidepressivo più due benzodiazepine o un neurolettico.
Non vi è alcun razionale scientifico che giustifica questa pratica, la terapia deve essere quanto più lineare possibile, l’unica associazione all’antidepressivo può essere quella di una sola benzodiazepina e comunque per brevi periodi di tempo. Tale associazione appare giustificata soprattutto nelle fasi iniziali del trattamento o nel corso del trattamento in periodi di maggiore acuzia clinica.
È tuttavia indispensabile chiedere al paziente se assume altri farmaci, come gli analgesici, o altri prodotti, per esempio fitofarmaci, in modo da valutare la potenzialità di pericolose interazioni farmacologiche.
Inoltre è da considerare che molti soggetti utilizzano farmaci per altre patologie. Avere una visione globale dei farmaci assunti dal paziente e delle sue abitudini alimentari o voluttuarie (in particolare l’uso di alcolici o l’eccessivo consumo di sigarette) è di valido aiuto nella gestione complessiva del programma terapeutico.
Tali considerazioni ripropongono l’importanza di attuare fin dall’inizio un’attenzione alle problematiche psicologiche del paziente, di informarlo in modo dettagliato sulla natura del disturbo e suoi trattamenti disponibili e potere così concordare il piano terapeutico. Tale approccio, oltre che favorire un corretto utilizzo dei farmaci, consente altresì di rendere possibile l’invio del paziente ad uno psicoterapeuta.
L’utilizzo attuale di tecniche psicoterapeutiche, come la terapia cognitiva, agili, efficaci e incisive, consente una migliore gestione del GAD, rendendo possibile un recupero ottimale delle potenzialità del paziente per una migliore qualità di vita e una minore vulnerabilità rispetto allo sviluppo di condizioni psicopatologiche quale risposta agli eventi della vita o a tensioni interiori.

Bibliografia

  • DSM-IV, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fourth Edition, American Psychiatric Association, Washington, 1995 (tr. DSM-IV Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Masson, Milano 1996).
  • Bandelow B et al. WFSBP, Guidelines for the pharmacological treatment of anxiety, obsessive-compulsive and posttraumatic stress disorders. World J Biol Psychiatry 2002; 3: 171-99.
  • National Institute for Clinical Excellence (NICE) 2004. Clinical Guideline 22. Anxiety: management of anxiety in adults in primary, secondary and community care. www.nice.org.uk