M.D. numero 34, 16 novembre 2005

Riflettori
Il difficile cammino dei farmaci equivalenti
di Monica Di Sisto

A quattro anni dal loro ingresso a pieno regime nel nostro Paese, i farmaci generici fanno ancora fatica ad affermarsi, occupando a valori meno del 10% del mercato farmaceutico nazionale. E nei primi sette mesi del 2005 il loro consumo risulta in calo dell’1%

S
ettantacinque medici di famiglia e 81 farmacisti distribuiti in 34 città italiane: l’associazione Altroconsumo ha messo sotto “inchiesta” questo campione di riferimento per capire perché, a quattro anni dal loro ingresso a pieno regime nel nostro Paese, i farmaci equivalenti facciano ancora fatica ad affermarsi, rappresentando meno del 10% del fatturato totale del mercato farmaceutico nazionale. Nell’inserto di ottobre della rivista Salutest (2005; 58:12-16) Altroconsumo ha presentato i risultati dell’inchiesta atta a verificare la propensione dei Mmg a prescrivere i generici, la loro effettiva disponibilità in farmacia, e in che misura i farmacisti applicano le nuove disposizioni previste dalla recente legge 149/2005, come la proposta di sostituzione del farmaco “griffato” con un altro equivalente meno costoso, oppure la possibilità degli stessi farmacisti di praticare uno sconto fino al 20% sulle specialità di fascia C senza obbligo di ricetta.

Una legge tutta da applicare
La nuova legge 149/2005 ha stabilito che, per i farmaci con obbligo di ricetta, il farmacista è tenuto a informare il paziente dell’esistenza in commercio di farmaci equivalenti a quelli prescritti dal medico, ma meno costosi (i cosiddetti generici) ed è tenuto a fornire al cliente un medicinale a prezzo più basso di quello indicato dal medico, se c’è. Nelle farmacie, in un punto ben visibile al pubblico, deve essere disponibile ai clienti il libretto Aifa con l’elenco di tutti i farmaci di fascia C con obbligo di ricetta, per facilitare la sostituzione. I farmaci generici sono definiti dalla legge “equivalenti”. La nuova dicitura,
che entro 90 gg dall’entrata in vigore del testo dovrà essere riportata anche sulla confezione, riguarda solo i medicinali con obbligo di ricetta medica.
Per i farmaci senza obbligo di ricetta, le farmacie possono applicare uno sconto fino al 20% sul prezzo massimo stabilito dall’azienda farmaceutica; lo sconto va applicato senza discriminazioni a tutti i clienti. Per quanto riguarda tutti i farmaci di fascia C, il loro prezzo
di listino può essere modificato in aumento solo nel gennaio di ogni anno dispari, mentre le diminuzioni di prezzo sono possibili tutti i giorni dell’anno.

Che cosa ha scoperto la rivista dei consumatori? Innanzitutto, rispetto ai Mmg, ha rivelato che la maggioranza del campione esaminato preferisce indicare ai propri pazienti i farmaci di marca:

  • quasi un terzo dei medici ha indicato medicinali soggetti a prescrizione senza rilasciare la relativa ricetta;
  • un medico su dieci ha fornito indicazioni errate al paziente, per esempio spacciando per generico un farmaco che non lo era o affermando che per un certo principio attivo non esistesse il generico, mentre in realtà esiste;
  • un medico su dieci ha prescritto un farmaco di fascia C, inserendo però in ricetta la nota di esenzione del ticket, contravvenendo alle indicazioni fornite dal ministero della Salute.
    Vengono chiamate in causa con forza anche le responsabilità dei farmacisti. Dai risultati dell’inchiesta di Altroconsumo emerge infatti che:
  • in quasi la metàno delle farmacie visitate i farmacisti non hanno accennato all’esistenza dei generici;
  • in tutte le farmacie visitate sono stati consegnati farmaci senza la necessaria prescrizione medica;
  • acquistando farmaci di fascia C, solo quattro su settantaquattro farmacie hanno effettivamente applicato una riduzione sul prezzo pieno.

Nello svolgimento dell’inchiesta, Altroconsumo ha acquistato farmaci per un costo totale di 340,56 euro. “Se tutti i medici contattati ci avessero sempre indicato un generico - spiegano in una lettera rivolta a ministero, sindacati, ordini e associazioni di categoria, che ha riportato i principali risultati dell’indagine - o se tutti i farmacisti, come previsto dalla nuova legge 149/2005, avessero provveduto a sostituire i farmaci di marca con equivalenti meno cari, la nostra spesa sarebbe stata di 187,50 euro, con un risparmio del 45%”. Le famiglie italiane pagano, quindi, molto di più di quello che spenderebbero ricorrendo agli equivalenti. Per questo, concludono da Altroconsumo, “pur in presenza di alcuni presupposti legislativi per aumentare la diffusione delle medicine più economiche, i generici/equivalenti fanno ancora fatica ad affermarsi a causa della scarsa sensibilità dimostrata da medici e farmacisti”.
z Il calo dei consumi
A fronte di questi risultati, registriamo che nei primi sette mesi del 2005, per la prima volta, si è verificato in Italia un lieve calo, pari all’1%, dei consumi di farmaci generici, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Se infatti a fine 2004 le dosi di farmaci non di marca rimborsabili dal Ssn vendute nel nostro Paese erano pari al 25.7% sul totale, nei primi 7 mesi di quest’anno si sono attestate al 24.7%. Un dato nuovo e inaspettato, vista la costante tendenza di crescita dei farmaci equivalenti (come il ministero e Aifa raccomandano di definirli), registrato negli ultimi anni sul mercato italiano (le vendite erano pari solo al 14% nel 2002, balzato poi al 20,8% del 2003). Una tendenza che si pensava continuasse ad aumentare, visto il mercato giovane delle specialità a brevetto scaduto nel nostro Paese e le campagne di informazione per incrementarne la diffusione. Quattordici milioni di opuscoli-guida redatti da ministero della Salute e Aifa hanno raggiunto le case degli italiani, sono state attivate le liste di trasparenza con tutte le specialità disponibili per le sostituzioni, aggiornate ogni 4 mesi, oltre al bollettino sui farmaci che arriva a 360mila medici e farmacisti come contributo a un’informazione scientifica completa e indipendente.
Lo scacco italiano è ben evidente se si confrontano i dati con quelli europei: in Danimarca i generici costituiscono poco meno del 60% del mercato, in Gran Bretagna il 52%, in Germania il 50%, in Olanda poco meno del 40%. È vero che la Francia arriva sì e no al 10%, ma lì il costo dei farmaci di marca è decisamente più basso, anche perché tradizionalmente c’è stata una politica favorevole ai farmaci “fotocopia”, cioè prodotti ben poco differenti uno dall’altro, ma la cui competizione abbassava il prezzo, fenomeno che in Italia, invece, ha innestato al contrario fenomeni di “corsa al rialzo”.

Auspici e strategie vincenti


“Vorrei avere a disposizione più risorse da destinare alla promozione dei farmaci equivalenti e a campagne di comunicazione che chiariscano che non vi è differenza in efficacia tra questi farmaci e quelli con il brand”, ha dichiarato Antonio Addis, direttore dell’Ufficio Informazione Farmaci ed Educazione alla Salute dell’Agenzia Italiana del Farmaco, intervenendo recentemente a Roma al convegno “I farmaci generici in Italia nel 2005: problemi e prospettive”, promosso dalla rivista Economia e politica del farmaco. Il fatto che molti medici “non sono ancora convinti della qualità dei farmaci equivalenti - ha spiegato Addis - li fa invocare, a volte, la presenza di un informatore del farmaco che illustri loro il prodotto. Cosa impossibile, visto che il prezzo più basso dei generici è dovuto proprio al fatto che l’azienda produttrice risparmia sulle spese di marketing e promozione”.
Il calo nei consumi degli equivalenti, secondo l’Addis, “è da attribuire sia all’effetto di una maggiore spinta promozionale da parte delle aziende verso i farmaci coperti da brevetto, sia al fatto che alcune aziende di generici utilizzano politiche di differenziazione del loro prodotto, riconoscendolo come equivalente, ma descrivendolo al tempo stesso migliore di altri equivalenti. Ciò confonde il consumatore, al quale si è sempre ribadito il concetto che i generici sono tutti equivalenti. E alla fine questa politica ha effetti negativi sul mercato”.
Entro l’anno saranno realizzate le campagne per promuovere i medicinali equivalenti e per favorire un uso razionale e consapevole dei farmaci.
Aifa, infatti, ha licenziato a metà ottobre le “Linee di indirizzo per la diffusione di un’informazione pubblica e indipendente sui farmaci per meglio tutelare il diritto alla salute dei cittadini”. Una prima campagna avrà l’obiettivo di garantire “un’informazione autorevole e corretta sui farmaci generici-equivalenti al medico e al farmacista” e allo stesso tempo far capire ai cittadini che si tratta di medicinali equivalenti rispetto alle specialità sotto brevetto, sottolineando che permettono di risparmiare risorse per ammettere alla rimborsabilità farmaci innovativi ad alto costo. Una seconda campagna, anch’essa rivolta agli operatori sanitari e alla popolazione generale, punterà a sensibilizzare l’opinione pubblica sul “considerevole impegno del Ssn nel tutelare la salute dei cittadini erogando gratuitamente tutti i farmaci essenziali ed efficaci, per la cura di tutte le patologie gravi e croniche. In Italia, il 70% della spesa farmaceutica è a carico del Ssn e si tratta della copertura più elevata fra i Paesi Europei”.
Aifa, dunque, punta tutto sull’informazione e la crescita culturale, anche se non mancano intenzioni più bellicose. “Dovremmo consentire, se non imporre, al medico di prescrivere il principio attivo, rispetto al farmaco ‘griffato’ che costa di più”, ha sostenuto recentemente il presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà. Che suggerisce anche di “incentivare il farmacista a vendere più farmaci generici e meno ‘griffati’”. Come? Cambiando “il modo di retribuire il farmacista, che oggi guadagna sostanzialmente in base al valore della medicina venduta e proporzionalmente la sua commissione è legata al prezzo del farmaco. Non è così, però, in tutti i Paesi. In quelli anglosassoni, per esempio, il farmacista guadagna in base al numero dei pezzi venduti”.
Il Codici (Centro per i diritti del cittadino), mette invece sotto accusa i Mmg: “è dei medici di famiglia - ha affermato in una nota - la principale responsabilità di un’ingentissima spesa farmaceutica a carico degli italiani, perché sono loro i primi ad orientare le scelte dei pazienti verso i farmaci griffati, scelte che in pratica si traducono in precetti”. Se il medico non è obbligato a indicare al paziente il principio attivo necessario per la sua patologia - ha dichiarato Ivano Giacomelli, segretario del Codici - il rapporto perverso tra le case farmaceutiche e i medici stessi non si romperà mai”.
Una strategia respinta dal presidente dell’Ordine Giuseppe Del Barone che a distanza ha risposto di volere, come categoria medica, “favorire i farmaci non griffati, ma senza subire pressioni, perché ciò sarebbe contrario al concetto stesso di prescrizione, scelta effettuata secondo scienza e coscienza a esclusivo interesse della salute del paziente, e già oggi nell’ottica di un contenimento dei costi”. Del Barone condivide la scommessa sulla informazione/formazione. Per quanto riguarda la prescrizione del solo principio attivo, però, “non sottovaluterei in ogni caso i rischi legati ad eventuali improprietà di trascrizione e/o di lettura - ha spiegato - che potrebbero alterare le terapie”.
Anche il presidente di Assogenerici, Roberto Teruzzi, concorda in pieno con la decisione di Aifa di “garantire un’informazione autorevole e corretta sui farmaci generici-equivalenti al medico e al farmacista e nel contempo di ricostruire presso l’opinione pubblica l’identità del farmaco generico quale medicinale equivalente alle specialità ‘griffate’, sottolineandone anche il valore aggiunto come generatore di risorse per ammettere alla rimborsabilità farmaci innovativi ad alto costo”. Secondo Walter Medda, rappresentante delle Aziende produttrici di farmaci generici, intervenuto al convegno di Roma, è necessario però “un sistema regolatorio più chiaro, la condivisione da parte di tutti i professionisti della salute dell’appropriatezza terapeutica, cioè le scelte migliori per curare i cittadini al miglior costo possibile”. Ma non solo. Bisogna eliminare, secondo Medda, alcune false percezioni, come quella secondo cui farmaci che sono da tempo sul mercato sono prodotti ormai ‘vecchi’. In Italia, infatti, la tutela del brevetto è più lunga, ma si verifica anche un fenomeno peculiare (sottolineato qualche mese fa anche da Paolo Gradnik, segretario della Federfarma lombarda) che garantisce molta fortuna alle molecole “parzialmente innovative”, cioè farmaci costruiti modificando leggermente la formulazione originale, per conferire nuove caratteristiche (per esempio un’assimilazione più rapida), ma che sostanzialmente non cambiano l’efficacia del farmaco originale. “Queste sono di fatto novità - ha spiegato Medda - quindi coperte da brevetto, sulle quali si innesta una “corsa al nuovo” per cui tra il vecchio farmaco e il nuovo modificato, quindi più caro, è quest’ultimo a essere prescritto più spesso, anche se i risultati di salute sono di fatto sovrapponibili. Al contrario sono i farmaci ‘maturi’ quelli più conosciuti, più utilizzati, più sicuri e con alle spalle successi terapeutici per milioni di pazienti”. Vecchio sarebbe bello, dunque, per il portafogli e anche per la salute. Ma chi riuscirà a spiegarlo ai pazienti?