M.D. numero 34, 16 novembre 2005

Rassegna
Effetti dei distruttori endocrini in gravidanza e nell’allattamento
di Lino Del Pup, Professore a contratto di Alimentazione e Patologieno Ostetrico-Ginecologiche, Università di Padova

Per la protezione del feto e durante l’allattamento è necessario conoscere gli aspetti più importanti della sostanze inquinanti che interferiscono col sistema endocrino. Tra i consigli pratici il più importante è quello di variare molto l’alimentazione per ridurre la probabilità di assumere dosi elevate dello stesso tipo di contaminante essendo il rischio correlato alla dose

Le conoscenze sull’effetto delle sostanze inquinanti sulla salute umana, in particolare sulla gravidanza, sono molto frammentarie e limitate, a fronte dell’enorme e crescente numero di sostanze tossiche che quotidianamente introduciamo nell’organismo tramite cibi e bevande, per via aerea o attraverso il contatto cutaneo.
Molte delle sostanze di uso quotidiano o di recente introduzione sono generalmente ritenute innocue, fino a prova contraria. È molto più saggio, all’opposto, considerare potenzialmente nociva ogni sostanza, in attesa che adeguati studi ne confermino l’innocuità.
Gli studi di buona qualità sulla sicurezza sono tuttavia pochi, anche perché hanno alti costi e finanziamenti irrisori. I risultati infatti richiedono tempi molto lunghi e la ricerca è quindi spesso priva di un immediato ritorno economico e per di più rischia di calpestare enormi interessi.

Distruttori endocrini


I composti chimici definiti Endocrine Disrupting Chemicals (EDC) o “distruttori endocrini” sono un eterogeneo gruppo di sostanze esogene caratterizzate dalla potenzialità di interferire con il funzionamento del sistema endocrino, in particolare con gli ormoni sessuali e la tiroide.
Gli EDC comprendono composti chimici di ampio impiego utilizzati per scopi diversi, come per esempio pesticidi o componenti plastici, e hanno in comune una struttura chimica tale da poter interagire con il sistema endocrino. La classificazione di una classe così poliedrica di sostanze è complessa. A scopo esemplificativo si riportano in tabella 1 alcuni dei principali EDC.
Diversi EDC, tra cui i pesticidi, gli antiossidanti alimentari e gli ormoni di origine vegetale, entrano direttamente nella catena alimentare. Il carattere lipofilo permette agli EDC di diffondersi attraverso la membrana cellulare, di legarsi ai recettori per gli ormoni steroidei e di accumularsi a livello del tessuto adiposo.
I cibi più ricchi di lipidi, come le carni o il latte, sono la principale fonte di assunzione per l’uomo di EDC e le persone obese ne accumulano una quantità molto maggiore nel tessuto adiposo. Sebbene molti di questi composti, come i bifenili policlorurati o il DDT, non siano più in uso, l’elevata produzione e l’ampio utilizzo che se ne è fatto in passato hanno determinato la contaminazione di vaste aree, anche poco abitate.

Scoperta degli effetti dannosi


Negli anni ’60 furono descritti per la prima volta gli effetti dannosi degli EDC in seguito all’osservazione che gli uccelli rapaci, fino allora ben rappresentati nella fauna americana, avevano smesso di riprodursi. In effetti nei nidi delle aquile furono ritrovate grandi quantità di uova rotte. Ciò fu attribuito agli effetti tossici del DDT che interagiva con il metabolismo del calcio, inducendo la produzione di uova con gusci più sottili e più fragili. no no no no no no no
Negli anni seguenti fu notato che i pesci dei grandi laghi americani, pesantemente contaminati con policlorurati bifenili, mostravano problemi riproduttivi e malformazioni tiroidee. Gli uccelli dell’area (gabbiani, rondini di mare, aquile), che si nutrivano dei pesci, manifestavano disfunzioni simili. Nel lago Apopka in Florida, che era stato pesantemente inquinato da pesticidi, furono ritrovate elevate concentrazioni di EDC, responsabili di anomalie degli organi sessuali incompatibili con la riproduzione e che determinarono la drastica riduzione degli alligatori.
Negli anni ’70 fu riscontrata un’elevata incidenza di tumore della vagina e di malformazioni di utero e ovaie in adolescenti, figlie di donne trattate durante la gravidanza con dietilstilbestrolo, ritenuto un farmaco antiabortivo. Questa infelice esperienza non solo supporta l’ipotesi che l’esposizione a interferenti endocrini possa determinare danni irreversibili nell’uomo, ma evidenzia anche una particolare suscettibilità dell’organismo nelle prime fasi di sviluppo. È ormai unanimemente riconosciuto come la riproduzione e lo sviluppo pre- e post-natale siano fasi biologiche particolarmente sensibili agli effetti endocrini degli EDC.
Numerosi studi epidemiologici suggeriscono correlazioni fra esposizione a specifici gruppi di EDC e alterazioni riproduttive, quali malformazioni dell’apparato riproduttivo, infertilità, aumentato rischio di seminomi ed endometriosi. Studi sperimentali e clinici, d’altra parte, hanno consentito di mettere meglio a fuoco l’ampio spettro di patologie correlabili con l’esposizione a EDC. Queste comprendono l’incremento di abortività precoce associato all’esposizione lavorativa a pesticidi, effetti a lungo termine sulla funzionalità riproduttiva in seguito a danni indotti in utero o durante l’infanzia, patologie endocrino e metaboliche, come per esempio l’osteoporosi postmenopausale, correlabili con un’alterata produzione di estrogeni ed androgeni.
La sindrome da disgenesia testicolare è caratterizzata da anomalie di sviluppo dei genitali maschili che deriverebbero dall’esposizione del feto a sostanze inquinanti con effetto estrogenico che determinano ipospadia, ovvero difetto anatomico del pene con anomalo sbocco del meato uretrale, criptorchidismo, scarsa produzione di spermatozoi e cancrono dei testicoli.
L’esposizione del padre a pesticidi, solventi e vernici, determina un danno genetico negli spermatozoi e si associa a un aumentato rischio di tumorino del sistema nervoso centrale nella prole. Questi sono i risultati di uno studio svedese su 230.000 bambini che ha rilevato anche un aumentato rischio di leucemia nei figli i cui padri lavorano nell’industria del legno.

Metalli pesanti


I metalli pesanti embriotossici sono mercurio, piombo, manganese, nichel e cadmio. Sono considerati anch’essi “distruttori endocrini” in quanto possiedono anche un effetto simil-estrogenico. Piombo e mercurio possono provocare aborti spontanei. Mercurio, piombo, manganese possono provocare danni al sistema nervoso centrale del feto e/o ritardono mentale. Piombo, manganese e nichel possono essere causa di malformazioni congenite.

Metil-mercurio


Il metil-mercurio si accumula nella catena alimentare concentrandosi nei grandi predatori che nella loro esistenza si sono cibati di grosse quantità di altri esseri viventi, come lo squalo, il pesce spada o il luccio. La Food and Drug Administration nel 2001 ha allertato le donne in età riproduttiva, in particolare le donne in gravidanza o che allattano, ad assumere al massimo una volta al mese quei pesci che potrebbero contenere dosi elevate di metil-mercurio ovvero più di una parte per milione (ppm). Il Canada ha utilizzato livelli più cauti di 0.5 ppm e restringe anche l’utilizzo del tonno fresco o surgelato. La maggior parte dei prodotti ittici ne contengono da 0.01 a 0.5 ppm. Quelli maggiormente utilizzati e che rappresentano l’80% del mercato, ne contengono meno di 0.2 ppm. I pesci di acquacoltura sembrano contenere meno metil-mercurio, ma dipende dalla composizione dei loro mangimi e non è escluso che vi siano maggiori concentrazioni di altri inquinanti. Infine dipende molto dal livello di contaminazione delle acque in cui i pesci e le loro prede vivono. Va considerato che i pesci sono un’importantissima fonte di acidi grassi omega-3 e pertanto vanno comunque assunti almeno due volte la settimana, tentando di sceglierli in modo appropriato.

Pesticidi


I pesticidi vengono sempre più immessi nell’ambiente, sia nei Paesi occidentali che in quelli in via di sviluppo, con l’intento di eliminare alcune forme di vita che riducono la produttività agricola. Purtroppo essi non sono così selettivi da essere tossici solo per la specie che si desidera eliminare e innocui per l’uomo e per gli altri organismi. Per questo sono un rischio per la salute umana e per l’ambiente in quei Paesi laddove i controlli e le attività di sorveglianza sono meno sviluppati. L’esposizione ai pesticidi interessa l’intera collettività, poiché si possono trovare sia nell’acqua sia nel cibo. Inoltre va sottolineato che i lavoratori impiegati nelle industrie produttrici di questi composti sono più controllati ed esposti soltanto a uno o pochi composti, mentre i lavoratori impiegati in agricoltura sono esposti a un numero molto maggiore di sostanze e con minori controlli sul livello di esposizione. È stato osservato l’incremento del tempo al concepimento e del rischio di abortività nelle compagne di lavoratori, come operatori nelle serre e disinfestatori, esposti a pesticidi. I pesticidi in genere possono causare aborti spontanei e deficit del SNC del feto.
Il dibromopropano e il bromoetilene presenti nei pesticidi e conservanti dei cibi possono causare, oltre che aborti spontanei, anche basso peso alla nascita. Dati sui roditori indicano che il lindano induce un incremento della mortalità e una ridotta moltiplicazione cellulare degli embrioni prima dell’impianto. Le donne vegetariane durante la gravidanza, quindi a maggiore rischio di assunzione di pesticidi contaminanti i vegetali, hanno un rischio di 4.99 volte aumentato, rispetto alle donne onnivore, di avere figli maschi affetti da criptorchidismo.

Bifenili policlorinati


I bifenili policlorinati (PCB) contaminano l’acqua di fiumi e laghi e si concentrano soprattutto nel grasso dei pesci grandi predatori di acqua dolce, come salmone, trota e carpa. Essi passano rapidamente la placenta e si trovano nel latte materno. L’esposizione prenatale a PCB è correlata ad aborti spontanei, ridotta crescita intrauterina e deficit dello sviluppo neurologico di entità relativamente modesta (memoria, comprensione verbale, lettura, ecc), ma potenzialmente con alta incidenza e persistenza. Le evidenze sono minori per l’esposizione neonatale nonostante il consistente passaggio di PCB nel latte materno, dato che il neonato è più esposto, ma meno suscettibile rispetto al feto.
Gli stili di vita modulano l’esposizione ai fattori di rischio ambientale, per esempio un ambiente domestico “sano” ha effetti protettivi riguardo al rischio di ritardi cognitivi e motori associato al livello di esposizione a PCB e diossine.

Diossine


L’esposizione paterna alle diossine, in particolare alla tetra-cloro-dibenzo-para-diossina (TCDD), nel disastro di Seveso del 1976 è stato associato ad una riduzione del rapporto maschi/femmine. L’esposizione durante la gravidanza alle diossine inibisce la differenziazione mammaria e può influenzare negativamente l’allattamento.

Ftalati


Gli ftalati sono tra le sostanze chimiche maggiormente prodotte e disperse nell’ambiente e hanno effetto antiandrogenico, ovvero contrario all’effetto degli ormoni maschili. Sono ampiamente utilizzate per esempio nelle plastiche, nei colori, nelle lozioni, nei profumi e nei farmaci per l’effetto di ritardato assorbimento. Essi entrano nell’organismo umano prevalentemente per via orale, tramite residui che contaminano gli alimenti, ma anche attraverso polmoni, cute e mucose e fino dall’epoca embrio-fetale. Negli animali gli ftalati possono causare tumori, aborti, malformazioni, infertilità, danni epatici e testicolari oltre che teratogenicità per l’effetto antiandrogenico. L’epatoblastoma è un tumore embrionario epatico umano che colpisce nell’età infantile e che sembra dovuto a fattori ambientali piuttosto che genetici.
I neonati prematuri, o di peso molto basso, che necessitano di terapie intensive, come intubazione, ventilazione, cateterismi e infusioni sono molto più esposti ad alte dosi di ftalati rispetto ai neonati che non hanno bisogno di queste cure e sono nel contempo più vulnerabili.
Gli ftalati potrebbero essere causa o concausa della ridotta fertilità maschile e di patologie quali tumori testicolari, criptorchidismo e ipospadia che fanno parte della sindrome da “disgenesia testicolare”.
Gli antiandrogeni, come gli ftalati, possono alterare la morfologia dei genitali maschili come la distanza tra l’ano e i genitali nei feti di madri che hanno avuto una maggiore esposizione agli ftalati. La barriera emato-testicolare, ovvero la struttura che protegge i testicoli dalle sostanze potenzialmente nocive che vi giungono per via ematica, è attiva dalla pubertà e di conseguenza i testicoli dei feti e dei bambini sono più vulnerabili.

Fitoestrogeni


I fitoestrogeni sono sostanze vegetali, naturalmente presenti nell’ambiente, con effetti sul nostro organismo simili o opposti a quelli degli estrogeni. Un’alimentazione ricca di soia e derivati sembra abbia un effetto protettivo nell’insorgenza di alcune patologie tumorali. Le popolazioni asiatiche, giapponesi e cinesi, mostrano infatti incidenze del tumore della mammella (giapponesi) o della prostata (cinesi) molto più basse delle popolazioni occidentali. L’incidenza tende ad aumentare se queste popolazioni emigrano in altri Paesi da cui mutuano abitudini alimentari “occidentali”. L’effetto protettivo della soia è dovuto ai fitoestrogeni e, in particolare, a genisteina e daidzeina. Sfortunatamente questi due principi attivi, isolati e purificati dal contesto dell’alimento, mostrano un comportamento ambiguo e variabile in base alla dose. Altri alimenti (broccoli, cavoli, cavolfiori, legumi, frutti di bosco) e persino alcuni vini rossi sono ricchi di fitoestrogeni e hanno dimostrato un effetto protettivo nell’insorgenza delle patologie cronico-degenerative. I singoli principi attivi in essi presenti sono però ancora allo studio e le complesse interazioni con tutte le altre sostanze presenti nello stesso alimento sono ancora sconosciute. Sembra che lo stile di vita e l’alimentazione, in particolare l’assunzione di fitoestrogeni, ovvero sostanze di origine vegetale con effetti estrogenici, ma anche antiestrogenici, modulino l’entità del rischio degli EDC.

Conclusioni


È necessaria una maggiore conoscenza e attenzione agli effetti dei distruttori endocrini, che sono largamente distribuiti nell’ambiente, in particolare in determinati ambienti professionali, in agricoltura e zootecnia e persino nei farmaci.
Gli EDC possono indurre, in seguito a esposizione prenatale, abortività, ridotta crescita fetale, malformazioni ed effetti a lungo termine e a comparsa ritardata sullo sviluppo funzionale dei sistemi riproduttivo, endocrino e sul sistema nervoso centrale.
Alcuni sono particolarmente suscettibili a fattori esogeni che interferiscono con l’equilibrio endocrino a causa del particolare assetto di enzimi deputati al metabolismo che è diverso tra gli individui. Vi è, per esempio, un elevato rischio di patologie riproduttive e/o su base endocrino-immunitaria nei soggetti affetti da morbo celiaco. Le sequenze genetiche provenienti da virus, detti retrovirus, integrate nel genoma umano, possono essere modulate da steroidi e mostrare un’alterata espressione in patologie autoimmuni e riproduttive. Questo implica che un’esposizione giudicata “entro i limiti di sicurezza”, in base a studi di popolazione, può essere in realtà molto tossica per alcuni soggetti difficili da identificare e proteggere a priori, in quanto magari più resistenti a effetti di altre sostanze. Restano pertanto da chiarire molti aspetti degli EDC, come i diversi meccanismi biologici, gli eventuali fattori di suscettibilità e/o di rischio concomitanti, i reali livelli di esposizione delle popolazioni e di gruppi specifici, il livello di rischio che consegue a una data esposizione e, soprattutto, l’intero spettro di patologie potenzialmente associabili all’esposizione a EDC.
Il programma “Ambiente e Salute” della Commissione Europea (www.environmentandhealth.org) individua gli EDC fra i temi per i quali è più urgente l’incremento delle conoscenze e l’attuazione di azioni preventive a breve-medio termine.



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