M.D. numero 34, 16 novembre 2005

Farmaci
Non basta ridurre la pressione arteriosa
di Elisabetta Torretta

La scelta dell’antipertensivo deve basarsi sulla completa valutazione delle condizioni del paziente, nel quale va ricercata la contemporanea presenza di fattori di rischio diversi tra loro. Infatti è anche in base alla tipologia dei fattori presenti che si deve indirizzare la scelta della molecola per un risultato clinico ottimale

La frequenza con la quale si presentano all’osservazione del medico pazienti con fattori di rischio multipli è in costante aumento. Al rilievo dei più classici fattori – fumo, dislipidemie e ipertensione arteriosa – si sta associando anche quello dei primi indizi di un metabolismo glucidico perturbato (intolleranza al glucosio o insulino-resistenza) o di diabete.
La disponibilità di molecole che possano avere una duplice valenza, cioè la capacità di agire sull’insulino-resistenza e sull’ipertensione, rappresenterebbe un importante passo avanti. Farmaci che agiscono sul sistema renina angiotensina aldosterone (RAAS) – ACE-inibitori e antagonisti recettoriali dell’angiotensina II (ARB) – sono da tempo visti come la scelta ottimale per affrontare l’ipertensione in pazienti diabetici e/o obesi.
I diversi ARB mostrano importanti differenze strutturali ed è possibile supporre che essi, a parità di efficacia antipertensiva, possano diversificarsi sensibilmente nella loro capacità di migliorare l’insulino-resistenza e i fattori di rischio metabolici. È di questi ultimi anni la scoperta che telmisartan sembra in grado di agire come parziale agonista dei recettori PPAR-gamma, recettori nucleari che giocano un ruolo chiave nel metabolismo del glucosio e dei lipidi e che rappresentano un importante target per alcuni farmaci antidiabetici. In occasione dell’ultimo congresso dell’European Society of Cardiology (ESC, Stoccolma 3-7 settembre 2005) sono stati riservati momenti di discussione a questo argomento. Due studi condotti in modo indipendente hanno suggerito che l’attivazione parziale dei PPAR-gamma da parte di telmisartan può produrre effetti metabolici di potenziale rilevanza clinica. Uno studio di Vitale et al su 40 pazienti con sindrome metabolica – definita dalla presenza di tre fra i seguenti fattori di rischio: obesità, ipertrigliceridemia, basso C-HDL, ipertensione e iperglicemia a digiuno – ha dimostrato che telmisartan, paragonato a losartan, ha determinato maggiori riduzioni della pressione arteriosa, e variazioni significative della glicemia e della resistenza all’insulina durante i tre mesi di trattamento (Cardiovascular Diabetology 2005; 4: 6).
In un altro studio italiano, Derosa et al (Hypertension Res 2004; 27: 457) riportano i risultati ottenuti su un gruppo di 119 pazienti affetti da diabete di tipo 2 e con ipertensione lieve, trattati con telmisartan, eprosartan o placebo. Dopo 12 mesi di trattamento i pazienti di entrambi i gruppi di trattamento hanno dimostrato una significativa riduzione dei valori pressori (p<0.01 vs placebo), ma solo telmisartan ha determinato riduzioni significative rispetto al basale della colesterolemia totale (p<0.01), del colesterolo LDL (p<0.01) e dei trigliceridi (p<0.05), con una significatività per tutte le variazioni anche rispetto a eprosartan (p<0.05) (figura 1).
Studi su larga scala e di grande impatto, quali HOPE, EUROPA, LIFE e VALUE hanno già fornito le conferme che le classi di farmaci attivi sul sistema RAAS possono ridurre l’insorgenza di nuovi casi di diabete rispetto a trattamenti con altri antipertensivi. Quando a queste si aggiungeranno quelle relative alle potenzialità di telmisartan che questi primi studi iniziano a delineare, sarà possibile offrire prospettive terapeutiche con un profilo di validità ancora più completo ai pazienti ipertesi e ad alto rischio per diabete, pre-diabete o altre condizioni.