M.D. numero 34, 16 novembre 2005


Editoriale
Partito della Salute: riflessioni e dubbi

Per il “Partito della Salute” è baruffa ancor prima di essere istituito. Un polverone che coinvolge anche illustri giornali nazionali, che entrano, con preoccupata ironia, nel merito dell’annuncio fatto dal segretario Fimmg Mario Falconi di voler portare i medici, la sua esperienza, nel cuore stesso della democrazia parlamentare per fronteggiare i pericoli che intravede rispetto ai diritti dei cittadini. L’analisi è chiarissima: per colpa del ritrarsi della politica dai temi del welfare, i principi fondanti del sistema salute - la solidarietà nel finanziamento, l’equità nell’accesso alle cure e l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla salute - sembrano sempre più in pericolo. Chi potrebbe meglio rappresentarli a livello istituzionale dei medici di famiglia, che sono il punto di contatto
più vicino dello Stato rispetto ai cittadini/pazienti?
L’iniziativa non è isolata: anche Snami aveva manifestato la volontà di correre con propri rappresentanti nelle ultime elezioni regionali. Oggi, miracolo del proporzionale, la sfida viene lanciata direttamente all’esecutivo nazionale. Dopo anni di richiami, di medici e cittadini, sul sistema che salta e sulla possibilità che la salute diventi, invece, un volano per uno sviluppo diverso del Paese, al silenzio assordante della politica si risponde con una domanda di politica.
Con una “vera lobby, trasparente ed etica, in grado di porre la sanità tra le vere priorità del Paese”.
La notizia, ovviamente, crea clamore e tante obiezioni. Come potranno, le categorie sindacali e scientifiche che dovessero prendervi parte, mantenersi terze e neutrali anche rispetto al nuovo partito, come richiesto dalla deontologia professionale?
Come riusciranno a “scendere in campo” senza privare i propri pazienti di quella continuità di rapporto che, proprio in un momento istituzionale come questo, rappresenta per essi forse l’unico baluardo di diritto? E come mai i pur molti medici che hanno occupato i banchi del Parlamento, non sono riusciti se non parzialmente
a imporre la salute dei cittadini come una priorità indiscutibile di governo, a prescindere dagli schieramenti? C’è forse bisogno di una “forza a tema” perché l’esecutivo e il Parlamento si scomodino a corrispondere con coerenza e continuità a un dettato costituzionale?
Forse la risposta migliore rimane in quel “primato della politica” che da queste pagine ci siamo sempre provati a sostenere a fronte delle ragioni dell’economia e delle ristrettezze di bilancio.
Che poi a sostanziarla siano medici o laici, a nostro avviso poco importa: la bussola dei diritti segna la strada per tutti, anche senza dover trasformare i propri pazienti in pacchetti-voto, scelta che sotto il profilo deontologico tanti dubbi solleva, pur volendo concedere le migliori intenzioni.