M.D.
numero 32, 2 novembre 2005
Tribuna
Gli operatori in sanità non sono tutti
uguali
di Luter Blisset
La sanità italiana sta diventando sempre più
funesta e gli italiani, secondo quanto affermato da Ivan Cavicchi
in: “Sanità. Un libro bianco per discutere”,
rischiano di non avere le necessarie coperture sanitarie. In
questo libro si analizzano quasi trent’anni di scelte politiche
sulla sanità setacciando le più importanti fonti
al riguardo. Si pone l’accento sull’economicismo vigente
nel settore, che ha fatto affermare all’autore in una recente
intervista: “l’assurdo è che se si garantisce
la parità di bilancio, si possono violare sia i diritti
che i doveri di salute”. Inoltre si suggerisce di riformare
a livello nazionale lo status degli operatori sanitari aggiornandoli
a più moderni concetti di autonomia e responsabilità.
Ed è proprio su questo concetto che avrei qualcosa da
dire…
"Il
Ssn, che doveva garantire a tutti il diritto alla salute, è
oggi un arcipelago di disparità e di disuguaglianze.
Di questo passo, finiremo per pagare tutti di più avendo
tutti di meno, mettendo a rischio la convivenza sociale”.
Come non essere d’accordo con quanto sottolineato da Ivan
Cavicchi nel suo libro: “Sanità. Un libro bianco
per discutere”. Nell’interessante analisi, ben documentata,
delle cose che non vanno nel Ssn, traspare anche il grandissimo
disagio di quelli che sono normalmente definiti operatori di
settore che per agire, assicurare, assistere, garantire etica
e professionalità hanno bisogno, normalmente, di tempo
e di autonomia del pensiero. Al riguardo vorrei sottolineare
che la sofferenza dei medici, nella loro veste di operatori
della sanità, non è però facilmente documentabile
dai “sistemi di pensiero razionale” e prevalentemente
gestionali-economici-finanziari che imperversano nella gestione
dell’assistenza sanitaria.
Il vento dell’amarezza soffia forte e non si deposita facilmente
nelle statistiche o nelle ricerche scientifiche più interessate
agli atteggiamenti apicali della piramide gerarchica. I racconti,
le esperienze personali, i vissuti di ingiustizie, di inefficienze,
di mancanza di rispetto e di considerazione, di strapotere o
aggresività “passiva” perpetrato da quelle
che semplificando vengono definite alte dirigenze sono in genere
bollati come “manifestazioni o lamentele corporative”.
Le organizzazioni sindacali, dal canto loro, pensano o credono
di risolvere il disagio generale della categoria concentrandosi
sui problemi economici-normativi e procedendo verso un adattamento
istituzionale finalizzato alla protezione dall’estinzione
di ruoli e funzioni.
L’impotenza
Molti episodi “critici” lamentati dai medici sono
considerati marginali o periferici e, ancorché numerosissimi,
non richiamano l’attenzione: in effetti, nell’ambiente,
c’è timore nel richiamare l’intervento delle
alte dirigenze verso inefficienze, dis-economie, abusi evidenti
in quanto, spesso, i problemi sono creati proprio da uomini
(generalmente apicali, sovraordinati, non medici, con stipendi
molto superiori a quelli dei medici, ma senza le responsabilità
di questi ultimi) che godono della completa fiducia delle dirigenze.
Di fronte a ciò si è impotenti. La realtà
è che non c’è la volontà di ascoltare
chi nel settore dell’assistenza sanitaria opera in prima
linea e, tanto meno, c’è intenzione di dare risposte.
È un atavico malcostume, proprio del nostro Paese, quello
di dare ascolto solo a coloro che appartengono alla propria
parrocchia. È evidente che le Asl sono molto attente
al consenso e a chi, nella necessità, è in grado
di compiere campagne di raccolta consensi porta a porta.
Il favore degli “operatori” non ha importanza. Il
loro peso elettorale non è significativo e, in ogni caso,
i medici devono comunque continuare a lavorare o per senso di
responsabilità o per rispetto alle normative civili e
penali. In questo arcipelago di vuoto etico per quale motivo
gli operativi del settore dovrebbero essere incentivati a produrre
qualche cosa di più da ciò che è normato?
Alcune domande
Mi chiedo anche: “come mai di fronte a disastri eclatanti
di chi occupa poltrone di dirigenza in sanità c’è
sempre un tavolo per concordare una ricollocazione adeguata
allo stipendio precedente?”. Come si sa il sistema è
diffuso anche in quelle Regioni che si pavoneggiano di essere
modelli sanitari nazionali. Queste stesse amministrazioni regionali
dimenticano che certi comportamenti virtuosi legati alla salute
forse non sono solo prodotti da scelte legislative locali, ma
si fondano soprattutto su una cultura etica e civile preesistente
la struttura politica e distintiva di quella data popolazione
e in particolare, in questo caso, sui medici di quella stessa
Regione.