M.D. numero 32, 2 novembre 2005

Riflettori
Dal Campylobacter pylori al Premio Nobel per la Medicina
di Cesare Tosetti - Medico di medicina generale, specialista in Gastroenterologia, Porretta Terme (BO) - SIMG Area Gastroenterologica

Il prestigioso riconoscimento assegnato a Berry Marshall e a Robin Warren premia la loro attività controcorrente che ha cambiato la storia clinica della malattia ulcerosa e da cui hanno tratto beneficio milioni di pazienti

E' giunta particolarmente gradita alla comunità scientifica gastroenterologica la notizia dell’assegnazione del Premio Nobel per la Medicina 2005 ai ricercatori australiani Barry J. Marshall e J. Robin Warren, per le ricerche sull’Helicobacter pylori (Hp).
Questo Premio rappresenta effettivamente un riconoscimento a chi ha saputo osservare, capire e aprire le strade del cambiamento immediato a una delle patologie più diffuse al mondo.
Se negli anni precedenti il Nobel aveva gratificato ricercatori le cui attività risultavano sostanzialmente rilevanti per applicazioni future, in questo caso abbiamo di fronte ai nostri occhi come da quasi vent’anni l’attività di Marshall e Warren abbia cambiato la storia clinica della malattia ulcerosa, beneficiando milioni di pazienti.
In realtà la “scoperta” della presenza di un curioso batterio ricurvo nello stomaco è stata opera italiana di oltre cento anni fa, per merito di Giulio Bizzozero. Questa presenza è stata dimenticata per decenni, in quanto le comuni metodiche di colorazione istologica da biopsia gastroduodenale non ne permettevano l’evidenziazione. I ricercatori hanno perciò proseguito nel valutare la patologia infiammatoria e ulcerativa nell’ambito dello squilibrio tra fattori aggressivi e difensivi della mucosa gastrica, considerando tra i primi sostanzialmente il solo ruolo dell’acido e degli enzimi digestivi.
Questo filone di ricerca ha portato alla realizzazione di potenti farmaci acidosoppressori, dai bloccanti dei recettori istaminici H2 agli inibitori di pompa protonica. Questi farmaci hanno praticamente azzerato il ricorso a tecniche chirurgiche e ridotto fortemente le complicanze quali perforazioni ed emorragie.
In realtà un franco aumento della secrezione acida tale da caratterizzarne un marker fisiopatologico non è mai stato individuato nei pazienti ulcerosi, con l’esclusione di forme neoplastiche endocrinologiche. L’aumento delle secrezioni in condizioni stressanti ha portato a considerare questi soggetti nell’ambito delle patologie di interazione psico-organica.

Pubblicazione degli studi


L’annuncio di Marshall e Warren al Congresso Mondiale di Gastroenterologia seguito della pubblicazione nel 1984 delle loro ricerche su Lancet spiazzò e cambiò l’orientamento di ricerca (Marshall BJ, Warren JR. Unidentified curved bacilli in the stomach of patients with gastritis and peptic ulceration. Lancet 1984; 8390: 1311-5).
Questi strani bacilli ricurvi, dapprima classificati entro il genere Campylobacter e successivamente individualizzati in un nuovo gruppo definito Helicobacter, erano invariabilmente associati a una forma di gastrite attiva e si ritrovavano con altissima frequenza nei pazienti con ulcera, soprattutto duodenale.
Marshall sperimentò personalmente il modello patogenetico, ingerendo una coltura di Campylobacter, che gli provocò una sintomatologia dolorosa e una gastrite (ma non l’ulcera).
La seconda pietra miliare del cammino è stata la pubblicazione nel 1988 del trial in doppio cieco dimostrante l’effetto dell’eradicazione dei batteri sulla recidiva dell’ulcera, che è risultata ridotta drasticamente in un anno di follow-up. Questo permetteva di legare stabilmente il batterio alla malattia (Marshall BJ, Goodwin CS, Warren JR et al. Prospective double-blind trial of duodenal ulcer relapse after eradication of Campylobacter pylori. Lancet 1988; 8626: 1437-42).

Sviluppo della ricerca clinica


Vent’anni dopo sappiamo che esistono ulcere senza batterio, in quanto i fattori in gioco nella patologia umana sono molteplici, però sicuramente Helicobacter pylori, fumo e farmaci antinfiammatori rappresentano la causa di almeno il 90% del danno mucoso.
La ri-scoperta di Marshall e Warren ha dato il via a un fortissimo sviluppo di ricerca clinica in gastroenterologia. Quei farmaci antibiotici che per molto tempo erano visti dai pazienti come un nemico dello stomaco ora divenivano un fattore risolutivo, la microbiologia apriva una sfida formidabile sul fronte delle resistenze, gli acidosoppressori assumevano un ruolo completamente diverso.
La possibilità di modificare e chiudere completamente la storia naturale di una malattia di larga diffusione era a portata di mano, finalmente l’ulcera diventava una patologia curabile in modo permanente con un unico atto terapeutico farmacologico, allontanando la necessità di fastidiose e costose terapie di mantenimento come una malattia metabolica.
Le cose sono andate effettivamente così, anche se abbiamo dovuto constatare che le manifestazioni sintomatologiche dell’ulcera rappresentano solo la punta delle problematiche del tratto digerente superiore, dovendo fare i conti con la malattia da reflusso gastroesofageo e le patologie funzionali. Sappiamo che in assenza di patologia ulcerosa solo una piccola fetta di pazienti beneficia in modo permanente dal punto di vista sintomatologico dell’eradicazione dell’Hp, però questo tipo di opzione rimane attraente, cost-saving e prudente per il futuro del paziente.
La scoperta del ruolo dell’Hp ha sviluppato fortemente la ricerca, soprattutto per la facilità del modello sperimentale che veniva a proporsi:
• valutazione della patologia e stato individuale dell’infezione (presente/assente);
• terapia eradicante o placebo;
• rivalutazione della patologia e dello stato dell’infezione.
La relativa facilità con cui effettuare questi studi rispetto a meccanismi fisiopatologici più complessi ha portato a migliaia di ricerche sia sulle terapie sia sulle patologie potenzialmente associate all’infezione. Per quanto riguarda quest’ultimo fronte l’ipotesi di eliminare dall’organismo un’infezione cronicizzata ha portato a valutare l’impatto dell’eradicazione dell’Hp nell’ambito delle malattie con componente immunologica e non, dalle allergie alle cefalee, dalla cardiopatia ischemica all’ictus cerebrale, alle patologie della coagulazione.
I risultati di questi studi sono contraddittori e al momento non è possibile seguire indicazioni precise.

Il dibattito continua


Il campo d’intervento di maggiore interesse resta ovviamente il cancro. La gastrite da Hp nel tempo tende ad assumere aspetti atrofici e studi epidemiologici hanno sempre confermato un legame tra infezione e cancro gastrico, tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha precocemente inserito questo patogeno nell’elenco degli agenti carcinogenetici di primo tipo, come ad esempio l’amianto.
Il dibattito è ancora aperto: fattori confondenti, come per esempio il supposto enigma africano, e difficoltà oggettive di ordine organizzativo rendono complesso capire se una politica aggressiva di intervento possa influire sulla storia clinica del cancro gastrico, però il mondo scientifico è d’accordo nel consigliare attenzione e intervento eradicante almeno in caso di familiarità.
Tutto questo ha avuto origine dal lavoro controcorrente dei due ricercatori australiani. Warren ha continuato a lavorare prevalentemente nel suo Paese, Marshall è stato ospitato negli USA, occupandosi più di programmazione politica-sanitaria che di clinica, lasciando a ricercatori più agguerriti e in sintonia con il mercato le luci della ribalta.
Ora è giunto un giustissimo riconoscimento a chi ci insegnato che spesso le cose utili sono davanti ai nostri occhi: basta ragionare senza preconcetti.