M.D. numero 32, 2 novembre 2005

Focus on
Farmaci: largo alla ricerca in medicina generale
di Monica Di Sisto

Lo sviluppo di tale attività sarebbe un effettivo rimedio per il controllo reale della spesa farmaceutica. È questa la tesi espressa da Aldo Pagni durante i lavori del 57° Congresso nazionale della Fimmg

Ogni anno sono investiti da parte delle aziende farmaceutiche molti milioni di euro in ricercano e sviluppo di nuove molecole, nel frattempo altri milioni di euro scivolano via nei mille rivoli dell’inappropriatezza.
Ciò determina uno spreco di risorse pubbliche che le esigue casse della sanità proprio non possono permettersi.
La risposta che soprattutto la parte pubblica ha cercato di dare a tale problematica è stata quella di introdurre diversi interventi correttivi delle prescrizioni, assunti nel tempo dalle Autorità regolatorie, politiche e tecniche.
Si è creduto così di razionalizzare la spesa, intervenendo soprattutto nei confronti di coloro che esercitano la medicina di famiglia, perché appariva il settore più facile da controllare, dimenticando che in qualunque sistema i costi delle prestazioni non possono essere disgiunti dalla loro qualità. Aldo Pagni, ex presidente della FNOMCeO, oggi responsabile del coordinamento della formazione di iscritti e quadri Fimmg, intervenendo nel recente congresso nazionale del sindacato ha puntato il dito contro la miopia di questa scelta suggerendo che la strada più appropriata per gestire tale problematica sarebbe quella di puntare seriamente sullo sviluppo della ricerca in medicina generale.
Per farlo però occorre che qualcuno si assuma il compito di rimuovere tutti gli ostacoli oggettivi che impediscono che questa strada auspicabile venga percorsa dalla maggioranza dei Mmg.
Malgrado la legge del 2001 che ha autorizzato i Mmg a fare ricerche in fase III e IV, tale attività non riesce a decollare.

La sperimentazione clinica in medicina generale


Durante i primi anni della commercializzazione, la vera fase di sviluppo di ogni nuova molecola, l’efficacia e la tollerabilità “documentata” di un farmaco può dare delle sorprese negative, ma anche positive, rivelando indicazioni nuove e impreviste.
Osler, un famoso clinico del primo ‘900, evocato da Pagni nella sua relazione, scriveva: “Al medico si consiglia di non essere il primo ad adottare il nuovo rimedio, né l’ultimo ad abbandonare il vecchio”. Un principio di prudenza tuttora valido, basato sul fatto che poiché i farmaci innovativi sono pochi, il paziente non sarà danneggiato seriamente se il medico, prima di adottare il nuovo farmaco, attenderà la pubblicazione di ulteriori evidenze di tollerabilità.
“Un principio che è anche espressione del convincimento, a lungo coltivato - ha commentato l’ex presidente dell’Ordine - che il medico pratico, al contrario dell’universitario e dell’ospedaliero, non fosse in grado di fare ricerca e quindi dovesse attendere che altri la facessero per lui”.
Si è per lungo tempo ignorato che la sperimentazione era utile:
1. per coniugare l’esperienza del medico generale con nuove dirette conoscenze;
2. per lo sviluppo stesso del farmaco;
3. per la notevole differenza tra l’efficacia di un farmaco ricercata dagli specialisti per patologie ospedaliere (efficacy), e la dimostrazione dell’efficacia pratica (effectiveness) nella patologia della medicina territoriale.
“Senza contare - ha ricordato Pagni - che in alcune patologie ‘di confine’ è indispensabile una sperimentazione da effettuare in stretta e armonica collaborazione tra specialisti e medici generali”.

La dura vita di un Mmg


“Il medico di famiglia dispone realisticamente di poco tempo da dedicare alla ricerca - ha chiarito Pagni - travolto com’è oggi dai tanti impegni che lo assillano quotidianamente, e nessuno può essere costretto contro voglia a imbarcarsi in avventure e investimenti organizzativi e strutturali, per i quali non si ha neanche un ritorno economico, e magari anche a dovere combattere contro le ottusità dei burocrati locali”. Eppure, per i medici di famiglia anche la singola prescrizione è già di per se l’inizio di un “esperimento individuale”, perché non esiste un modo infallibile a priori per sapere quale sarà il suo esito.
Un approccio logico a una terapia richiede, infatti, una ragionevole certezza della diagnosi, la conoscenza della fisiopatologia della malattia, la padronanza della farmacologia del principio attivo scelto, la prescrizione di una dose ottimale del farmaco per “quel” paziente, l’attenzione al rischio/beneficio della cura, e un buon rapporto con un assistito “informato” per garantirne la compliance.
Nessun farmaco può avere successo senza una “reciproca fiducia” tra paziente e medico, e la mancata aderenza del paziente ad una terapia corrisponde ad uno spreco di risorse.
In realtà questa strada è lastricata di grandi difficoltà:
1. La subordinazione alla medicina specialistica da parte del Mmg, “dimezzato” professionalmente dal divieto di prescrivere alcuni farmaci, senza un piano terapeutico che nessuno controlla.
2. La burocratizzazione crescente della ricettazione, divenuta sempre più complicata per le esigenze della privacy, e il bisogno delle Asl di controllare soprattutto la spesa dei Mmg.
3. Le tensioni create al rapporto tra curante e assistito, dal frequente mancato rispetto delle regole, stabilite dal Ssn in tema di prescrizione, ad opera di quelli che Pagni ha definito i “liberi professionisti della dipendenza”.

Una compliance tutta da costruire
E' costante il richiamo, da parte dei decisori politici, in merito alla qualificazione della spesa farmaceutica, al consumo limitato dei farmaci generici e al problema dei farmaci “off label”, cioè quei farmaci non concedibili dal Ssn se prescritti al di fuori delle indicazioni autorizzate dalla scheda tecnica e dal foglietto illustrativo.
Per i primi, il cui costo ridotto è stato in parte vanificato dal parallelo abbassamento del prezzo delle specialità corrispondenti, non sono infrequenti le lamentele dei pazienti in merito alla loro inefficacia, vera o presunta. La FDA americana consente che la biodisponibilità di un farmaco generico possa differire dal 10 al 30% del prodotto brevettato, ma poi riesce ad effettuare soltanto controlli a campione per garantire
il rispetto delle pratiche di buona produzione delle aziende.
E in Italia? Aldo Pagni nel suo intervento ha spiegato che a livello generale si ignora colpevolmente come, se, quando e chi effettua i controlli. Inoltre, specialmente per i farmaci “off label”, accade frequentemente, soprattutto in oncologia, neurologia, reumatologia, cardiologia e pediatria, di avere a che fare con prescrizioni specialistiche
di farmaci le cui indicazioni, non ancora approvate dall’Aifa, sarebbero giustificate dai dati più recenti disponibili in letteratura. La legislazione vigente autorizza il medico a prescrivere quei farmaci sotto la sua responsabilità, e con il consenso, preferibilmente scritto, del paziente. A ciò Pagni ha replicato: “Avete mai visto un documento del genere? E se vi è capitato di vederlo, c’era scritto per caso che quel farmaco non era concedibile per quelle indicazioni dal Ssn in modo da evitarvi spiacevoli fraintendimenti con l’assistito?”

In epoca di risorse limitate, un’altra componente di tutte le decisioni terapeutiche - difficile da valutare ma essenziale - è la loro efficienza (costo/beneficio). Tutto questo corrisponde alla richiesta di “appropriatezza” delle prescrizioni che in medicina generale, ha denunciato Pagni “hanno purtroppo ancora molti, troppi condizionamenti. Troppo spesso le informazioni disponibili per valutare l’efficacia e l’efficienza di una decisione, che dovrebbe risolvere i problemi posti da quel 25-50% di pazienti che non corrispondono ai quadri tradizionali della clinica, sono scarse, o inesistenti, o inaffidabili, e poche sono le conoscenze che consentono al medico un’analisi formale del rapporto costo/beneficio, delle sue microallocazioni economiche. Inoltre i ‘valori’, assegnati dal medico agli obbiettivi e agli esiti della cura, possono non essere coincidenti con quelli vissuti e attesi dai pazienti”.
Da ultimo Pagni ha ricordato che se è vero che i medici di famiglia “prescrivono”, o sono “costretti a trascrivere” nella loro pratica quotidiana circa 400 principi attivi, contro i 30-40 degli specialisti, “è inevitabile che alla fine attingano (per quanto possano essere molto bravi nella consultazione di banche dati e riviste autorevoli di informazione), la maggior parte delle informazioni dal marketing dell’industria farmaceutica, che tuttavia li ignora quando si tratta di farmaci molto specialistici”.

Le opportunità di legge


Sono stati necessari venti anni di battaglie dei medici di famiglia per riuscire ad adeguare la legislazione italiana in tema di sperimentazione in medicina generale a quella degli altri Paesi europei. Il Decreto del 10 maggio 2001 ha autorizzato i medici di famiglia a fare ricerche di fase III e IV (anche se solo dopo autorizzazione ministeriale), mentre l’Agenzia per il farmaco ha promesso recentemente alle rappresentanze sindacali dei Mmg, e in particolare alla Fimmg che l’ha interpellata su questo tema, di aumentare il numero dei medici di famiglia presenti nelle commissioni che stilano le ‘Note’, per garantire la trasferibilità di queste ultime nella pratica.
“Non dimentichiamoci - ha sottolineato Pagni - che fino a pochi anni or sono il Mmg, se non aveva una specializzazione, non poteva neanche essere sponsorizzato per partecipare ad un congresso”.

Eterogeneità territoriale


Ma l’ex presidente dell’Ordine ha ricordato anche che l’esperienza quotidiana dei Mmg italiani porta alla luce le difficoltà che essi incontrano “di fronte al diverso impegno e competenza delle Asl della penisola su quest’argomento, alle difformità delle leggi regionali a proposito degli studi osservazionali, all’anarchia discrezionale che regna nel funzionamento e nel reperimento di risorse dei Comitati etici locali, e allo scarso interesse dell’industria farmaceutica nel promuovere ricerche che farebbero del medico generale un interlocutore “attivo”, dopo che per anni ne ha fatto oggetto di sole campagne promozionali”.
E le nuove opportunità, dopo quattro anni dall’entrata in vigore della Legge, evidenziano ancora di più anche le difficoltà della categoria nel cogliere a pieno tutte le occasioni aperte.
“È evidente che la ricerca richiede anche, e innanzitutto, una spiccata motivazione e un notevole impegno personale - ha ammesso Pagni - una struttura e un’organizzazione adeguata, e tempi rigorosamente dedicati a quest’attività, oltre a una preparazione specifica del medico. Sotto quest’ultimo profilo non sono mancate finora iniziative formative importanti dei Mmg, anche se troppo episodiche perché possano coinvolgere quell’ampio numero di medici di famiglia necessario per dare valore alla ricerca”.