M.D. numero 32, 2 novembre 2005

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Screening per infezione da virus dell’epatite C negli adulti

Per gli esperti della Conferenza di Consenso svoltasi sotto l’egidia dell’Istituto Superiore di Sanità, lo screening è opportuno solo per categorie a rischio, nelle quali vi sia un’elevata probabilità di identificare soggetti HCV infetti che possano giovarsi dei trattamenti, mentre non è ipotizzabile nella popolazione generale

L'
individuazione dei soggetti asintomatici con infezione cronica da virus dell’epatite C (HCV) nella popolazione adulta italiana è stato il tema affrontato dall’Expert Consensus dell’Istituto Superiore di Sanità, svoltosi nel maggio 2005 e pubblicato in agosto (www.pnlg.it).
La diagnosi di infezione da HCV in soggetti che presentino un’indicazione clinica all’effettuazione degli specifici test (per esempio soggetti con alterazione delle transaminasi o altra evidenza clinica/biochimica di epatopatia; crioglobulinemia mista; porfiria cutanea tarda acquisita) ha esulato dalla tematica della Consensus e non è stata trattata.

Metodologia


Lo schema organizzativo della Consensus è stato basato sulle indicazioni dei National Institutes of Health (Guidelines for the planning and management of NIH Consensus Development Conferences Online Bethesda (MD): National Institutes of Health, Office of the Director, Office of Medical Applications of Research; 1993 May. 13 p. Updated October 2001). La tematica generale è stata condotta dal gruppo promotore con una ricerca della letteratura più rilevante sull’argomento.

Aspetti epidemiologici


In Italia l’infezione cronica da HCV rappresenta una causa importante di morbosità e mortalità: costituisce la causa principale di mortalità per cirrosi ed epatocarcinoma ed è l’indicazione più frequente al trapianto di fegato.
Nella popolazione generale non appartenente a particolari categorie a rischio (tabella 1) la prevalenza dell’infezione cronica da HCV è caratterizzata da un effetto di coorte, per cui:

  • è generalmente superiore al 3% nei soggetti nati tra il 1940 e il 1949 e superiore al 5% in quelli nati prima del 1940, con prevalenze particolarmente elevate in alcune aree del Sud e delle Isole;
  • molto bassa (<1.5%) nei soggetti nati dopo il 1950, senza importanti differenze per area geografica.

L’incidenza attuale stimata di nuove infezioni da HCV nella popolazione generale è molto bassa (4-6/100.000/anno).

Storia naturale, aspetti diagnostici e terapeutici


La storia naturale dell’epatite cronica da HCV non è ben conosciuta; le stime attuali indicano una probabilità media di evoluzione in cirrosi di circa il 15% a 30 anni dall’infezione, e di passaggio dalla diagnosi di cirrosi compensata allo scompenso o allo sviluppo di epatocarcinoma del 5-10% per anno.
Oggi sono diffusamente disponibili test in grado di individuare i soggetti con infezione da HCV con sensibilità e specificità vicine al 100%.
Attualmente la terapia antivirale ottimale è rappresentata dall’interferone peghilato in combinazione con ribavirina. Nelle sperimentazioni cliniche tale trattamento è risultato in grado di indurre una risposta virologica (SVR) e biochimica sostenuta nel 40-50% circa dei pazienti con genotipo 1 e nel 70-80% di quelli con genotipo 2 o 3.
La probabilità di SVR si riduce, però, in soggetti di età superiore a 40-50 anni, in presenza di fibrosi avanzata o cirrosi e in caso di eccesso ponderale.
La prescrizione del trattamento deve tenere conto inoltre dei frequenti effetti indesiderati, che possono richiederne la sospensione o riduzioni di dosaggio che ne riducono l’efficacia.
Gli studi che hanno valutato l’impatto della SVR sulla storia naturale dell’infezione hanno diversi limiti metodologici. Tuttavia, è biologicamente plausibile che alla SVR possa conseguire una riduzione degli eventi di morbosità e mortalità.
L’Istituto Superiore di Sanità ha ritenuto opportuno riprendere in considerazione un’ipotesi di screening selettivo per coorte di nascita e nei gruppi a maggiore rischio, aggiornando la precedente Conferenza sull’argomento (Ital J Gastroenterol Hepatol 1997; 29: 387).
In linea generale i partecipanti alla Consensus ritengono che il test per anti-HCV possa essere proposto al soggetto asintomatico solo se si prevede che egli possa ottenere un beneficio dall’eventuale diagnosi di infezione.
In particolare, l’obiettivo primario di un test in soggetti asintomatici è la riduzione della morbosità e mortalità da epatopatia cronica HCV-correlata, nell’ipotesi che essa possa essere ottenuta attraverso l’eradicazione dell’infezione con trattamento specifico.
Altri obiettivi appaiono poco rilevanti quali fattori contributivi a una decisione di screening. Non si può escludere, infatti, che l’essere a conoscenza di avere un’infezione cronica da HCV possa aumentare l’aderenza alle indicazioni di un counselling appropriato, che miri a ridurre i cofattori di danno epatico e la trasmissione del virus.
Tuttavia, uno stile di vita che riduca il consumo di alcol e i fattori di rischio metabolico e cardiovascolare e l’adozione delle misure finalizzate a prevenire le infezioni a trasmissione parenterale si associano a benefici sullo stato di salute indipendentemente dalla presenza di infezione da HCV e sono, quindi, di universale raccomandazione.
Nella popolazione generale non sono candidabili a uno screening di massa i soggetti:

  • di età superiore a 65 anni, in quanto generalmente non eleggibili a una terapia antivirale;
  • nati dopo il 1950, in quanto la prevalenza è molto bassa se non appartengono a specifici gruppi a rischio.
Autori dell'Expert Consensus
• Presidente: L. Pagliaro, Università di Palermo.
• Comitato organizzatore: E. Bianco, A. Mariano,
A. Mele, Istituto Superiore di Sanità, Roma; L. Sagliocca, A.O.G. Rummo, Benevento.
• Esperti che hanno preparato e presentato i documenti
di revisione della letteratura: P. Amoroso, Ospedale Cotugno, Napoli; A. Ascione, Ospedale Cardarelli, Napoli; M. Brunetto, Azienda Ospedaliera Pisana, Pisa; G. D’Amico, Ospedale V. Cervello, Palermo;
E. Franco, Università di Tor Vergata, Roma; GB. Gaeta, II Università di Napoli; A. Mariano, Istituto Superiore di Sanità, Roma; M. Persico, II Università di Napoli; N. Petrosillo, IRCCS L. Spallanzani, Roma; L. Romanò, Università di Milano; A. Smedile, Ospedale Molinette, Torino; T. Stroffolini, Ospedale San Giacomo, Roma; G. Taliani, Università La Sapienza, Roma; F. Tinè, Ospedale V. Cervello, Palermo.
• Giuria: A. Addis, Ministero della Salute, Roma; P. Almasio, Università di Palermo; P. Andreone, Università di Bologna, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna; A. Andriulli, Ospedale Casa Sollievo Sofferenza, S.G. Rotondo; M. Angelico, Università di Tor Vergata, Roma; S. Bruno, Ospedale Fatebenefratelli e Oftalmico, Milano; N. Caporaso, Università degli Studi Federico II, Napoli; R. Coppola, Policlinico Universitario, Cagliari; A. Craxì, AO Università Policlinico P. Giaccone, Palermo; S. De Masi, Azienda Usl 6, Livorno; S. Fargion, Osp Mag Policlinico-Mangiagalli e Regina Elena, IRCCS, Milano; G. Fattovich, Policlinico GB Rossi, Università di Verona; G. Gasbarrini, Università Cattolica Policlinico A. Gemelli, Roma; A. Grieco, Università Cattolica, Policlinico A. Gemelli, Roma; M. Levrero, Università La Sapienza, Roma; N. Magrini, CeVEAS Azienda Usl di Modena; F. Masutti, AO Univ. Triestina, Centro Clinico Studi Fegato, Ospedale di Cattinara, Trieste; F. Morisco, Università Federico II, Napoli; GM Pendino, Policlinico Madonna della Consolazione, Reggio Calabria; F. Piccinino, II Università di Napoli; A. Pietrangelo, Università di Modena e Reggio Emilia; G. Pisani, Istituto Superiore di Sanità, Roma; D. Prati, Ospedale A. Manzoni, Lecco; L. Puccetti, Promed Galileo; M. Rapicetta, Istituto Superiore di Sanità, Roma; E. Sagnelli, Ospedale Gesù e Maria, Napoli; R. Satolli, Zadig, Milano; M. Toti, Società Italiana di Malattie Infettive, Roma; C. Velati, Ospedale
di Sondrio; E. Villa, Università di Modena e Reggio Emilia; E. Vitiello, Associazione Copev, Milano.
• Writing committee: coordinatore: L. Pagliaro;
M. Angelico, S. De Masi, A. Mariano, A. Pietrangelo.
I. Gardini, Presidente dell’Associazione EpaC, presente ai lavori della Consensus, non ha sottoscritto il documento.

L’alta prevalenza di infezione nei soggetti nati tra il 1940 ed il 1949 li renderebbe potenzialmente candidabili a uno screening di massa.
Tuttavia bisogna considerare che in tale fascia di età:

  • negli studi di prevalenza di HCV condotti in diverse regioni italiane, una consistente proporzione di soggetti HCV positivi è risultata già essere a conoscenza del proprio stato di infezione (dal 25-30% durante gli anni ’90 a più del 50% negli studi più recenti);
  • i soggetti HCV positivi individuati dallo screening sarebbero prevalentemente caratterizzati da transaminasi persistentemente normali. In costoro verosimilmente l’epatopatia da HCV ha una progressione estremamente lenta e un impatto incerto sulla speranza di vita;
  • la presenza di comorbosità può limitare ulteriormente l’eleggibilità al trattamento;
  • il trattamento sarebbe verosimilmente in grado di indurre una SVR in una quota di soggetti globalmente non superiore al 40% ed è associato ad effetti collaterali;
  • la conoscenza dello stato di infezione nei soggetti asintomatici non candidati o non responsivi al trattamento, che sarebbero la maggioranza, può indurre un significativo peggioramento nella qualità di vita.

Si ritiene che queste limitazioni di eleggibilità e di “effectiveness” rendano inappropriato uno screening generalizzato in questa fascia di età, indipendentemente da una valutazione di costo-efficacia, che potrebbe essere sfavorevole e di per sé sufficiente a sconsigliare uno screening universale.

Quando lo screening è raccomandato


I partecipanti alla Consensus raccomandano di effettuare il test per infezione da HCV nelle categorie a maggiore rischio (tabella 1), in particolare nei soggetti potenzialmente eleggibili al trattamento antivirale
Prima dell’effettuazione del test i soggetti candidati devono essere adeguatamente informati del significato e dei possibili vantaggi e svantaggi dell’eventuale diagnosi di infezione da HCV.

Quando lo screening non è raccomandato


Lo screening per infezione da HCV non è giustificato:

  • nei soggetti che debbano subire un intervento medico invasivo o altra pratica invasiva, in quanto le precauzioni igieniche universali relative alla contaminazione ematica devono essere sempre rispettate con la massima attenzione, indipendentemente da un’eventuale infezione virale dimostrata;
  • in gravidanza, in quanto al momento non esistono presidi in grado di ridurre il rischio di trasmissione verticale di HCV.