M.D.
numero 32, 2 novembre 2005
Appunti
Sempre più difficile essere Mmg, specie
se di frontiera
Ho
impiegato anni per imparare a fare il medico secondo uno standard
che mi apparisse almeno decente, giusto per non sentirmi in
debito di fronte alla società che mi paga. Mi sono sforzato
di aggiungere almeno un minuscolo tassello alla qualità
del mio lavoro. Ma è diventata ormai unimpresa
titanica, di quelle che, se portate avanti con ostinazione,
distruggono la salute e la famiglia. Da anni i Mmg sono tramortiti
con un carico crescente di mansioni improprie, storditi fra
ECM, linee guida, progetti, management, sesso degli angeli,
fumo negli occhi ed effetti speciali. Costretti a lavorare con
il computer sempre acceso, per sfogliare tra megabyte di normative,
circolari, note, ecc. Cosa dire poi della recente trascrizione
del Codice Fiscale sui nuovi ricettari? Qualcuno ha pensato
a quei medici che, come me, lavorano ogni giorno di casa in
casa e sono costretti a trascriverlo a mano e a tenere tutto
il resto a memoria? Ma pazienza per il Codice Fiscale, se deve
essere, che sia. Al punto di saturazione in cui siamo è
invece odioso ciò che si percepisce come privo di senso.
Qualche esempio: perché devono passare dalle nostre mani
pannoloni e altri presidi? Perché dobbiamo riscrivere
liste infinite di esami "consigliati" dallo specialista?
Perché non prescrive direttamente lo specialista i farmaci
da piano terapeutico? Perché, con tutti i pazienti che
abbiamo in politerapia, il numero di confezioni su una ricetta
deve comunque essere quello e basta? Che logica cè,
di grazia spiegatemelo, nello scrivere su ogni ricetta fino
ad otto esami ematochimici, non uno di più? Qualcuno,
per correttezza, per trasparenza, per quello che volete, ci
spieghi che logica cè alla base di questo spreco
di risorse umane e professionali.
Non si può solo aggiungere, sempre aggiungere, senza
mai pensare a cosa togliere, cosa semplificare. Non si può
trattare così 50 mila cittadini laureati in medicina
che dovrebbero rappresentare la figura di primo riferimento
per la salute di una comunità. Qualcuno venga una volta
nei nostri ambulatori e tocchi con mano il disagio dei nostri
pazienti che troppo spesso, per quanti sforzi noi possiamo fare,
riflettono il nostro disagio.
Vito Cavallaro
Medico di medicina generale
Pùlfero (UD)
I costi occulti delle liste d'attesa in sanità
Il
paziente si presenta a fine febbraio scorso nel mio studio lamentando
dolore alla regione inguinale. Lo visito e vedo il classico
rigonfiamento dellernia. Provo a spingere con un dito,
lo faccio tossire: non cè dubbio, è unernia.
Teoricamente dovrei rilasciargli limpegnativa per il ricovero,
ma sono ormai consapevole, per esperienza, che la prassi non
è questa. La mia richiesta di ricovero non la accetteranno
mai. La diagnosi deve prima essere confermata dallo specialista
chirurgo. Diligentemente redigo la richiesta di visita specialistica.
Il paziente mi dice che non ce la fa a lavorare e gli credo.
Non fa un lavoro sedentario come il mio. È un muratore.
Tiro fuori il modello INPS e gli prescrivo gli agognati giorni
di malattia. Vista la situazione, per non far perdere soldi
inutilmente alla collettività (oltre che per non far
soffrire troppo a lungo il paziente), mi faccio ridare limpegnativa
per la visita chirurgica e aggiungo lurgenza. Due giorni
dopo, il paziente torna con lesito della visita specialistica
chirurgica: confermata la diagnosi di ernia inguinale, confermata
la necessità dellintervento, inserito il paziente
in lista dattesa.
Le due settimane di malattia che, conoscendo i tempi per i ricoveri,
avevo dato ad abundantiam, sono scadute e a metà marzo
del ricovero nemmeno lombra. Visto landazzo, prolungo
la malattia di altre tre settimane, pensando che tanto un po
di convalescenza dovrà pur farla dopo lintervento.
Alla fine della prima settima di aprile il paziente torna nel
mio studio in preda alla disperazione: di ricovero non se ne
parla, e lui non se la sente proprio di andare al lavoro. Se
non facesse il lavoro che fa, penserei che ci sta marciando
ma, tutto considerato, non me la sento di rimandarlo su e giù
per le scale col secchio di malta in spalla. Vada per altre
tre settimane: questa volta, penso ingenuamente, gli bastano
e avanzano senzaltro.
Nella prima settimana di maggio il paziente torna in ambulatorio.
Operato finalmente? No, non cè
ancora posto. A questo punto decido di intervenire e telefono
ad un collega ospedaliero: Ma i tempi dattesa per
unernia, quanto sono? Qui in ospedale, sei
o sette mesi; in casa di cura accreditate dal Ssn tre o quattro
mesi, privatamente una settimana. Alla faccia! Ma, a parte
ogni considerazione sui diritti del paziente che paga le tasse,
quanto verrà a costare questernia? Oltre al conto
che il Ssn dovrà saldare allospedale, che come
minimo si fa pagare come le case di cura private, dovremo anche
aggiungere sei o sette mesi di certificazione di malattia (oppure
tre o quattro se il paziente deciderà per una deviazione
verso la casa di cura)? Mi chiedo chi è che fa i conti
nella sanità, e come fa a non capire che bastano due
o tre di questi casi per giustificare ampiamente dal punto di
vista economico lassunzione di un chirurgo in più,
e che con dieci di questi casi si giustifica anche la realizzazione
di una sala operatoria in più? E soprattutto, qual è
quella maestra sciagurata che ha promosso certa gente anche
se non sapeva le tabelline?
Antonio Attanasio
Medico di medicina generale
Mandello del Lario (LC)
La sola economia non basta per governare
I
risultati economici della sanità nella Regione Lazio,
evidenziati dallAifa, hanno posto tale Regione ai primi
posti tra le peggiori gestioni sanitarie italiane. Una realtà
che però non ha fatto da deterrente alla nomina dellex
governatore di tale Regione a ministro della Salute. Ci si potrebbe
chiedere come mai non si è scelto come rappresentante
di tale ministero chi si fosse distinto in tale settore. Per
esempio, Roberto Formigoni, visto che la Regione Lombardia ha
presentato un bilancio in regola con una percentuale di sfondamento
al di sotto del 2. 7%. Se ragioniamo secondo una logica che
promuove leconomia a legge suprema del comportamento sociale
e soprattutto a legge che deve regolare la politica, ciò
non si spiega.
Sia la politica che leconomia però riconoscono
come strumenti necessari al raggiungimento degli obiettivi la
capacità di prendere decisioni (decision making) e di
risolvere problemi (problem solving), ma se la politica e leconomia
non si mantengono su piani distinti si creano nuovi problemi
che determinano contraddizioni e disagio sociale. Il profondo
intreccio tra economia e politica ha fatto sì che in
questi ultimi anni leconomista e il politico si scambiassero
i ruoli a seconda di convenienze spesso personali e non dettate
dalla necessità di soddisfare i bisogni della popolazione.
Le ultime elezioni regionali in realtà hanno espresso
il profondo disagio degli italiani nei confronti di una classe
politica che ha abdicato al ruolo di governo della res publica.
Una corretta gestione delleconomia è strumento
essenziale al soddisfacimento dei bisogni individuali e collettivi,
ma non può di certo identificarsi con il governo stesso
della cosa pubblica. Questo può spiegare perché,
nonostante i bilanci più o meno soddisfacenti, anche
in Lombardia vi è stata una forte perdita del consenso
da parte del centro-destra. Il bilancio della sanità
in Lombardia nulla ci dice sulla capacità di prendere
decisioni e risolvere la domanda di salute della popolazione,
perché i bisogni di questa ultima sono completamente
assoggettati al risultato di una gestione economicistica della
politica sanitaria. Chiunque abbia vinto o perso e chiunque
vincerà o perderà le prossime tornate elettorali
dovrà rendersi conto che la separazione tra economia
e politica e il ricondurre queste categorie alla loro essenza
rappresenta lelemento fondamentale per risolvere i problemi
di sanità, della scuola e di tutti i servizi necessari
a qualificare un Paese come civile.
Bartolomeo Delzotti
Medico di medicina generale
Urgnano (BG)