
M.D.
numero 31, 26 ottobre 2005
Diario
ambulatoriale
Il lavoro in team in medicina di famiglia
- Cronaca di una settimana
di Giuseppe Maso, Medico di famiglia - Venezia, Responsabile
Insegnamento Scuola di Medicina di Famiglia, Università di Udine
Alessandra Semenzato, Infermiera di famiglia - Venezia Docente
Scuola di Medicina di Famiglia, Università di Udine
Lunedì
Stiamo
sostituendo un collega ammalato,
lo sostituiremo in tre, per due settimane. Non è la prima
volta che ci capita una situazione del genere e facciamo sempre
le stesse considerazioni. Oltre alla gente che per ovvi motivi
di urgenza non può aspettare il proprio medico, vediamo
una categoria particolare di persone che non è minoritaria.
Sono coloro che cercano di approfittare del fatto che non sono
conosciuti per chiedere delle cose che sicuramente il proprio
medico rifiuterebbe. Vediamo i tossicodipendenti che cercano
prescrizioni improprie di farmaci e finti malati che ci chiedono
giorni di assenza dal lavoro, vediamo coloro che hanno cambiato
tutti i medici del territorio e ci vengono a parlare male di
quello che li sta curando. Vediamo i falsi esenti e quelli che
ci vengono a chiedere i farmaci per il cane e coloro che pretendono
e si sottopongono ad esami più vari solo perché
non li pagano e quelli che vogliono vedere se prescrivi la stessa
terapia del loro medico. Insomma, viene posta in primo piano
e bene a fuoco quella fetta di popolazione che sfrutta e utilizza
il Ssn in modo egoistico cercando di trarne tutti i vantaggi
personali possibili. Costoro conoscono tutti i loro diritti,
sanno come ottenere contributi, agevolazioni, assistenza ed
esenzioni, ma non sanno minimamente cosa significhi il dovere
civico e il senso del rispetto. Sanno benissimo di essere protetti
da un falso populismo imperante, che loro sfruttano, ma che
sta demotivando i professionisti seri e sta livellando tutto
verso il basso. Sanno di essere il soggetto delle nostre cure
e che il futuro della nostra professione sarà orientato
alla soddisfazione del paziente, ma non sanno che questo non
va sempre daccordo con la soluzione dei loro problemi
veri.
Martedì
Non sappiamo quale sia lesperienza che hanno gli altri
colleghi, ma crediamo di non sbagliarci quando consideriamo
i nomadi e i giostrai pazienti particolari. Lucia soffre di
insufficienza renale cronica da rene policistico, è ipertesa,
poliartrosica ed è stata recentemente operata per una
neoplasia dello stomaco. Non riusciamo a gestirla. Per ogni
disturbo si reca in un pronto soccorso, che non è quasi
mai lo stesso, per ogni nuova patologia consulta numerosi specialisti.
Il suo concetto di continuità assistenziale è
impregnato di nomadismo. Il suo rapporto di fiducia si basa
su una palese diffidenza. È vista da numerosi medici
ma non è seguita da alcuno e nonostante tutti gli sforzi
non riusciamo a farcene carico integralmente. Lo stesso avviene
per tutti i nomadi che hanno frequentato il nostro ambulatorio.
La continuità assistenziale è un aspetto della
cultura della nostra società, ma non si può dare
per scontato che questo aspetto sia valido e accettato in qualsiasi
comunità. Certo è che questo atteggiamento di
nomadismo medico ci mette in crisi e fa saltare il nostro metodo
clinico, che proprio sulla continuità assistenziale fonda
le sue radici.
Mercoledì
Mai come in questo periodo ho la coscienza di quanto tempo ci
voglia per diventare medici. Vi è una grande differenza
tra un laureato in medicina e un medico. Per diventare medici
ci vuole tempo, molto tempo. Bisogna avere visto tante cose,
perché si può fare diagnosi solo di quel che si
conosce e non tutto è scritto nei libri. Bisogna anche
avere sofferto per gli errori e gli insuccessi e bisogna essersi
scontrati con le incomprensioni della gente e anche dei colleghi.
Solo adesso, a quasi trenta anni dalla laurea, ho limpressione
di cominciare a sentirmi un dottore. È una sensazione
particolare, non descrivibile, che si prova in alcune occasioni.
Oggi è venuta una giovane donna che seguo dalletà
pediatrica: ha appena partorito, ed è venuta perché
non riusciva nemmeno a sedersi per un prolasso rettale. Non
è una cosa rarissima nelle puerpere, è una situazione
dolorosa ed è altrettanto imbarazzante; non è
la prima volta che ci troviamo a dovere eseguire delle manovre
di riduzione. Si tratta di reintrodurre con le dita la mucosa
del retto in sede e di cercare di distenderla nella
posizione originale, eseguendo un lievissimo massaggio come
per cercare di farle recuperare la memoria della sua primitiva
localizzazione. Bisogna anche rimanere con le dita nel retto
per più di qualche minuto altrimenti il tutto fuoriesce
nuovamente. Ebbene stamane, mentre facevo tutto questo, parlavo
con la signora del parto, del bambino e del marito, sentivo
chiaramente la sua più completa fiducia. Lei si affidava
alle mie mani perché riconosceva la mia esperienza e
io ero tranquillo perché conoscevo il risultato di ciò
che facevo. Questa tranquillità si ha solo con lesperienza
ed era percepita chiaramente dalla paziente che mi sentiva medico
perché io mi sentivo tale.
Giovedì
Leggendo la letteratura medica internazionale sembra che vadano
molto di moda le scale di rischio. Vengono costruiti
punteggi un po per tutto, dal rischio cardiovascolare
a quello di ictus al rischio di morte per tutte le cause. Le
scale di rischio vengono di solito costruite analizzando pregressi
trial che, con gli acronimi più fantasiosi, vanno altrettanto
di moda. Leggendo questi lavori ci vengono in mente alcune considerazioni
e noi medici pratici di solito restiamo un po allibiti
nellosservare conclusioni che sono come la scoperta dellacqua
calda o sono palesemente senza senso. Abbiamo anche limpressione
che molti studi vengano eseguiti da persone che non hanno mai
visitato un malato e che traggono conclusioni producendo dati
prodotti da osservazioni di altri dati, che sono le elaborazioni
di altri dati raccolti su popolazioni selezionate fuori del
mondo reale. Purtroppo, abbiamo limpressione che la medicina
di famiglia debba continuare a vivere con il paradosso che il
rigore dei criteri di inclusione e il tipo di selezione dei
pazienti necessari per i trial controllati sono esattamente
lopposto di quanto avviene nella pratica quotidiana. Il
6 ottobre 2005 il BMJ ha pubblicato on line il lavoro Risk
score for predicting death, myocardial infarction, and stroke
in patients with stable angina, based on large randomised trial
cohort of patients. Su Lancet è apparso un articolo
intitolato: A simple score (ABCD) to identify individuals
at high early risk of stroke after transient ischaemic attack
(Lancet 2005; 366: 29-36). Questi lavori prendono in considerazione
parametri biomedici, ovviamente registrati nei trial usati come
fonti, ma non considerano mai i parametri di altra natura. Noi
tutti sappiamo bene quanto contino, per qualsiasi prognosi,
la cultura delle persone, il loro stato economico, il posto
dove vivono, la loro famiglia, le strutture sanitarie, il medico
a cui si sono rivolte, ecc. Il contesto sociale e culturale
dei singoli ci pare determinante, ma sembra non aver alcun valore
nel determinare alcun score.
Venerdì
spitiamo nel nostro ambulatorio una studentessa iscritta al
master in coordinamento infermieristico, presso l'Università
di Genova. A differenza di altri studenti che normalmente svolgono
il loro tirocinio per almeno 3-4 settimane, resterà con
noi solo pochi giorni. Indubbiamente anche il mondo infermieristico
italiano si sta accorgendo dellopportunità di sviluppo
professionale che la medicina generale offre. Studenti in Scienze
Infermieristiche frequentano ambulatori sparsi su tutto il territorio
nazionale, hanno un buon bagaglio conoscitivo riguardante la
figura dell'"infermiere di famiglia", così
come delineata dall'OMS, ma ci rendiamo conto che vi sono spesso
lacune formative. L'infermiere è attratto dallautonomia
gestionale piuttosto che dall'ambito collaborativo col medico;
è molto dubbioso circa le responsabilità dirette
verso i pazienti e sospettoso verso il processo di delega, che
rappresenta invece un campo inesplorato di professionalità.
La particolarità e la specificità della medicina
generale, lapproccio globale alle persone e alle famiglie,
la continuità assistenziale, costituiscono un metodo
nuovo, non contemplato durante linsegnamento. Questa disciplina
non può che essere insegnata da team di medici e infermieri
che la praticano quotidianamente e che lavorano in maniera complementare
e non in un sistema gerarchico. Come tutti gli altri studenti,
anche questa giovane infermiera uscirà probabilmente
dal nostro ambulatorio con una visione diversa delle modalità
di erogazione delle cure.
Sabato
Sono stata a un corso d'aggiornamento professionale sulla gestione
delle enterostomie, indirizzato a infermieri, medici e farmacisti.
Come sempre mi ritrovo con colleghi ospedalieri, vivo una sorta
di frustrazione iniziale perché puntualmente, dovendo
raccontare il mio vissuto professionale di infermiera di famiglia,
suscito curiosità, avversione, talvolta invidia, qualche
volta ostilità o ammirazione. Insomma, non passo mai
inosservata. Questa volta, durante i lavori di gruppo, mi sono
confrontata con colleghi che lavorano in unità chirurgiche,
che con le stomie hanno una certa dimestichezza. I casi da discutere,
e per i quali trovare gli interventi professionali migliorativi,
prendevano in esame le problematiche biopsicosociali della persona.
II caso di un avvocato di 60 anni che, operato d'urgenza per
ca al colon, deve riprendere la sua vita normale col problema
di gestire un'enterostomia mi ha fatto capire che i dieci anni
nel mondo della medicina generale mi hanno fatto acquisire uno
sguardo che i miei colleghi nemmeno immaginavano esistesse.
Guardare alla persona nella sua totalità, comprendere
che la gestione tecnica di una stomia è unabilità,
importante certo, ma sempre subordinata ai bisogni inespressi
specifici di ogni singolo individuo. Che ciò che dovremmo
conoscere del paziente non è solo il problema contingente,
che quel paziente è una persona che vivrà in una
certa dimensione familiare e sociale, che probabilmente avrà
altri problemi di salute. Così mi sono trovata a fare
da regista a una scenetta di role playing, guidando garbatamente
i miei colleghi a esprimere e a cogliere gli aspetti umani della
situazione. Confrontandomi, mi sono accorta che la Medicina
di Famiglia ci impone di ragionare velocemente e simultaneamente
su piani diversi. Cosa che spesso non avviene in altri ambiti.
A scuola questo, purtroppo, non ci viene di certo insegnato.