M.D.
numero 30, 19 ottobre 2005
Trial
La strategia antipertensiva più efficace
per il paziente a moderato rischio
di Livia Tonti
Il grande studio ASCOT-BPLA suggerisce che per ridurre il
rischio di eventi cardio- e cerebrovascolari la combinazione
di un calcioantagonista e un ACE-inibitore sia più efficace
di una a base di betabloccante e diuretico
Quale
dovrebbe essere il trattamento antipertensivo di prima linea?
La questione è tuttora molto dibattuta e le linee guida
non danno indicazioni precise in questo senso, a parte il sottolineare
limportanza di iniziare con una terapia di combinazione
se lipertensione è di grado 2 o 3 („160/110 mmHg)
(J Hypertens 2003; 21: 1011).
Per questo motivo lo studio ASCOT-BPLA riveste unenorme
importanza sul piano pratico perché è lunico
studio clinico di grosse dimensioni a fornire a questa domanda
una possibile, chiara risposta.
Lo studio
LASCOT-BPLA (Anglo-Scandinavian Cardiac Outcomes Trial
- Blood Pressure Lowering Arm) (Lancet 2005; 366: 895), multicentrico,
prospettico, randomizzato, controllato, ha arruolato 19.257
pazienti ipertesi (PA „160/100 mmHg se non trattati o „140/90
mmHg nonostante il trattamento) con almeno altri tre fattori
di rischio cardiovascolare. I pazienti sono stati randomizzati
a ricevere amlodipina 5-10 mg con la possibile aggiunta di perindopril
4-8 mg oppure atenololo 50-100 mg con la possibile aggiunta
di bendroflumetiazide 1.25-2.5 mg, eventualmente con laggiunta
di altri trattamenti al fine di raggiungere il target di 140/90
mmHg o 130/80 mmHg (se diabetici). Obiettivo primario era confrontare
gli effetti a lungo termine dei due regimi antipertensivi su
un endpoint combinato di infarto miocardico non fatale ed eventi
coronarici fatali.
Lo
studio è stato interrotto prematuramente dopo una media
di 5.5 anni per gli evidenti benefici registrati nel gruppo
trattato con amlodipina±perindopril rispetto al gruppo
trattato con atenololo±diuretico tiazidico.
Al termine del trial il 78% dei pazienti assumeva almeno due
antipertensivi, confermando lopportunità della
terapia di combinazione per raggiungere i target pressori.
Si è registrata una riduzione dell11% della mortalità
per qualunque causa nel gruppo amlodipina±perindopril
rispetto al gruppo atenololo±tiazide (p=0.025), con,
in particolare, una riduzione del 24% della mortalità
cardiovascolare (figura 1), e del 23% dellictus (p=0.0003).
La riduzione del 10% registrata per lendpoint primario
non è risultata significativa, probabilmente per la prematura
interruzione dello studio che non ha consentito di raggiungere
una sufficiente potenza statistica. Si è inoltre rilevata
una riduzione del 15% del danno renale (p=0.019) e del 30% di
nuovi casi di diabete mellito (p<0.0001).
La differenza di valori pressori evidenziata tra i due gruppi
(più bassi nel gruppo amlodipina±perindopril in
media di 2.7/1.9 mmHg ) non sembra in grado di spiegare tali
differenze in termini di risultati clinici. Gli approfondimenti
realizzati per chiarire questo aspetto hanno rivelato che la
pressione arteriosa sembra il principale responsabile nella
prevenzione dellictus, mentre per gli effetti sugli eventi
coronarici sembrano essere responsabili i maggiori benefici
del gruppo amlodipina±perindopril sui livelli di C-HDL.
Potrebbero inoltre essere intervenuti anche altri fattori non
correlati alla riduzione pressoria (Lancet 2005; 366: 907).
La conclusione degli Autori è che qualunque sia il meccanismo
sotteso a questi risultati, ciò che emerge dallo studio
è che in pazienti ipertesi a moderato rischio cardiovascolare
sia preferibile iniziare la terapia con calcioantagonista/ACE-inibitore
piuttosto che con betabloccante e diuretico tiazidico.