M.D.
numero 29, 12 ottobre 2005
Rassegna
Dalla prevenzione dei tumori alla gestione
dei pazienti oncologici
di Gian Paolo Andreoletti, Medico di medicina generale,
Vertova (BG), specialista in Oncologiano, direttore editoriale
di www.senology.it
La conoscenza e il rapporto del medico di famiglia con i
propri pazienti fa sì che egli sia il riferimento nelle
diverse fasi della gestione delle patologie neoplastiche. Lintegrazione
con le strutture specialistiche e ospedaliere dovrebbe costituire
lobiettivo primario per ottimizzare lassistenza
al malato oncologico
Il
medico di famiglia, cultore per eccellenza della medicina
della persona e imprescindibile punto di riferimento per
ogni assistito, costituisce sicuramente, in Italia e in tutti
i principali Paesi europei, il fulcro dellorganizzazione
sanitaria. È dunque inevitabile che unefficace
prevenzione in ambito oncologico e una corretta gestione del
paziente neoplastico dipendano in grande misura dalla competenza,
professionalità e sensibilità del medico di famiglia
e dal suo coinvolgimento in tutte le più importanti scelte
diagnostiche e terapeutiche riguardanti i suoi pazienti.
Prevenzione in ambito oncologico
Il medico di famiglia, con la sua quotidiana attività
sul campo, a stretto contatto con i pazienti, con il loro ambiente
e con le loro abitudini, svolge evidentemente un ruolo fondamentale
nellambito della prevenzione delle malattie oncologiche.
Lastensione dal fumo, unalimentazione corretta che
privilegi cibi di origine vegetale, un uso attento di sostanze
ormonali, una limitata esposizione ai raggi solari e alle radiazioni
elettromagnetiche, una adeguata igiene del lavoro (in particolare
per gli addetti alla manipolazione di sostanze chimiche) sono
raccomandazioni che il medico di famiglia rivolge continuamente
ai propri assistiti, educandoli in questo modo a evitare, o
comunque limitare, quei comportamenti dannosi che possono far
crescere il rischio di malattie tumorali.
Diagnosi precoce
La conoscenza dei fattori di rischio neoplastico cui sono esposti
i singoli pazienti consente al medico di famiglia di svolgere
un ruolo essenziale anche in tema di diagnosi precoce delle
patologie oncologiche.
È chiaro, per esempio, che il fatto di sapere che in
un determinato nucleo familiare si sono verificati più
casi di carcinoma mammario in età giovanile determina
da parte del medico una più attenta sorveglianza senologica
sui membri di quella famiglia. Analogamente, la presenza di
una familiarità per carcinoma del colon induce il medico
stesso ad allertare il paziente e a mettere in atto nel tempo
le idonee strategie preventive.
Così pure, la possibilità di visitare spesso lassistito
per i più disparati motivi sanitari consente di potere
più agevolmente monitorizzare nel tempo la modificazione
di eventuali neoformazioni cutanee sospette, di rilevare noduli
tiroidei o testicolari misconosciuti, di cogliere nuovi elementi
anamnestici, che possono rappresentare la spia di una neoplasia
nascosta.
z Paziente ospedalizzato
La fase di ospedalizzazione del paziente rappresenta naturalmente
un momento in cui la figura del medico di famiglia passa in
secondo piano, a favore di quella del medico specialista (oncologo,
chirurgo, radioterapista o altro), che prende nelle proprie
mani le redini della situazione e diviene in qualche modo il
nuovo fulcro dei processi decisionali.
Evidentemente ciò è non solo del tutto giustificato
ma auspicabile, consentendo al malato di essere gestito e curato
da figure mediche dotate delle necessarie peculiari competenze
professionali.
Tuttavia sarebbe auspicabile, per il bene stesso del paziente,
che il medico di famiglia venisse maggiormente coinvolto nella
pianificazione dei percorsi diagnostici e terapeutici dei propri
assistiti ospedalizzati (attraverso contatti telefonici o telematici
da parte delléquipe ospedaliera, oppure mediante
riunioni consultive presso le strutture di degenza), in quanto
la sua visione olistica dei malati e la sua conoscenza
di aspetti psicologici, familiari, sociali, territoriali e religiosi
che li riguardano permetterebbero di orientare le scelte operative
in modo più mirato e personalizzato.
Follow-up
Dopo la dimissione ospedaliera il paziente curato per un cancro
generalmente ha una duplice possibile reazione psicologica nei
confronti dellesperienza vissuta. Alcuni soggetti tendono
a rimuovere la patologia da cui sono affetti, per cui in qualche
modo rifiutano lidea di sottoporsi a periodici controlli.
Altri, viceversa, sviluppano una tipica ansia che potremmo definire
da ricaduta, legata al timore di sviluppare recidive
tumorali, che li spinge a richiedere continuamente indagini
di controllo.
Ecco che nella fase di follow-up il medico di famiglia torna
dunque a riappropriarsi, in collaborazione con lo specialista,
di un ruolo importante: è suo compito stimolare e motivare
con le giuste parole il paziente indisciplinato
e resistente agli accertamenti periodici, tranquillizzando e
sostenendo psicologicamente, nel contempo, il soggetto emotivamente
più fragile e più preoccupato di rivivere la triste
e dolorosa esperienza passata.
Paziente terminale
Lassistenza al paziente neoplastico terminale rappresenta
per il medico di famiglia un momento di grande impegno e coinvolgimento
professionale ed emotivo. In questa fase della malattia egli
riacquisisce un ruolo centrale e diviene un punto di riferimento
prezioso e indispensabile, guida per il malato e per il nucleo
familiare lungo le varie fasi di unesperienza difficile
e dolorosa, spesso drammatica.
Nellassistenza al malato oncologico terminale il medico
di famiglia - eventualmente in collaborazione con il medico
palliatore - riscopre, pur nella fatica e, a volte, nella sensazione
di inadeguatezza, il senso profondo della propria professione,
intesa come aiuto umano, prima ancora che tecnico-sanitario,
nei confronti della persona sofferente e della sua famiglia.
Nella fase terminale della malattia gli interventi finalizzati
al controllo della patologia devono essere limitati a ciò
che può consentire un reale vantaggio per la qualità
di vita del paziente.
La terapia sintomatica dei problemi psicofisici del morente
riveste quindi un ruolo primario e fondamentale nella strategia
terapeutica, prendendo il posto delle complesse procedure diagnostiche
e delle cure aggressive (chirurgia, radioterapia, chemioterapia),
che hanno in genere caratterizzato fino a quel momento liter
clinico del paziente.
Il dolore è il sintomo più frequente del malato
di tumore terminale. Il suo controllo, nella grande maggioranza
dei casi raggiunto con lutilizzo di farmaci oppioidi (morfina
e sostanze morfino-simili), è per il medico un dovere
imprescindibile, al fine di assicurare allassistito lobbiettivo
di una morte serena e dignitosa.
Conclusioni
Prima di ogni cosa il medico di famiglia è confidente
e amico del proprio assistito e rappresenta dunque la figura
sanitaria e umana più adeguata ad accompagnarlo empaticamente
lungo tutti i percorsi, spesso impegnativi e dolorosi, di una
patologia, quale quella neoplastica, di così forte impatto
sul vissuto individuale, familiare e sociale.
Lintegrazione del medico di famiglia con le strutture
specialistiche e ospedaliere deve costituire conseguentemente
un obiettivo primario per loncologia del futuro.
Bibliografia
Bope ET et al. Pain management by the family physician:
the family practice pain education project. J Am Board Fam Pract
2004; 17: S1-12.
Dworkind M et al. Communication between family physicians
and oncologists: qualitative results of an exploratory study.
Cancer Prev Control 1999; 3: 137-44.
Ganry O et al. Prevention practices and cancer screening
among general practitioners in Picardy (France). Bull Cancer
2004; 91: 785-91.
Norman A et al Family physicians and cancer care. Palliative
care patients perspectives. Can Fam Physician 2001; 47:
2009-12, 2015-6.
Sisler JJ et al. Family physicians roles in cancer
care. Survey of patients on a provincial cancer registry. Can
Fam Physician 2004; 50: 889-96.