M.D. numero 30, 19 ottobre 2005

Note stonate
Storie di ordinaria follia di richieste di certificati
di Antonio Attanasio, Medico di medicina generale, Mandello del Lario (LC)

"Dottore, mi servirebbe un certificato di buona salute per mio figlio”. La signora esplicita la sua richiesta per via telefonica, non si è nemmeno presa la briga di sprecare il suo tempo in sala d’attesa. Inoltre mi telefona addirittura a nome di un’altra persona, cioè suo figlio. Ma il figlio esiste davvero? Sul fatto che esista non ho dubbi: l’ho visto in ambulatorio un paio di settimane fa perché non gli erano sufficienti i medicinali prescritti dal Nucleo Operativo Tossicodipendenze ed era venuto da me a chiedere se potevo prescrivergli un ansiolitico. Che sia tuttora vivo, è possibile, anche se ovviamente non posso esserne certo. L’Azienda sanitaria mi comunica il decesso dei miei pazienti con tutto comodo, quando ha bisogno di soldi e scopre che può prelevare le quote arretrate dal mio compenso mensile.
Premesso ciò, supponiamo comunque che sia vivo. Ma sano? Né più, né meno di quanto possa essere sano di corpo e di mente un tossicodipendente. Ha il fegato malconcio, ed è talmente sottopeso che se tira un alito di vento rischia di cadere per terra. Per quanto ne so io, potrebbe avere un AIDS fulminante al ginocchio sinistro. E il bello è che la madre non ignora affatto queste cose.
Tenendo conto di tutto ciò, cerco di eludere la richiesta e pongo una domanda: “Per che cosa serve il certificato?” “Per l’assunzione al lavoro”.
Indirizzo uno sguardo di immensa gratitudine all’immagine di San Frescobaldo che ho accanto al telefono: problema evitato.
“Signora - dico trionfante - la Regione Lombardia ha decretato che i certificati di idoneità al lavoro non sono più necessari per essere assunti”.
“Lo so, ma il mio commercialista dice che invece è necessario”.
Il mio primo impulso è di chiedere alla madre supplicante se il suo commercialista è lombardo o siciliano. Riesco a stento a trattenermi. “Dica al suo commercialista che è da un paio di anni che qui da noi il certificato di idoneità al lavoro non è più richiesto. Se non ne è convito gli suggerisca di chiedere conferma all’Asl”.
Mezz’ora dopo la stessa voce al telefono mi dice: “Dottore, ho telefonato al mio commercialista e mi ha confermato che effettivamente l’Azienda sanitaria locale non rilascia più questi certificati, ma allora, dato che comunque ci vogliono, devono essere rilasciati dal medico di medicina generale”.
“Mi scusi, ma non ho capito: se questi certificati non sono più necessari, perché devono essere rilasciati dal medico di famiglia o da chicchessia?”
“Senta, è inutile che chieda a me cose che non conosco, ma il commercialista mi ha esplicitamente riferito che se non gli porto il certificato, mio figlio non può essere assunto”.
“Guardi che a me non risulta. Se mai mi risulta proprio il contrario e cioè che non sono autorizzato a rilasciare certificati di idoneità al lavoro. Una volta erano autorizzati a farlo i medici di igiene pubblica dell’Asl. Attualmente nemmeno loro lo sono più e nessuno mi ha comunicato che l’autorizzazione è passata ai medici di medicina generale. Quindi il mio certificato avrebbe il valore di un pezzo di carta straccia. Motivo per cui le consiglio di interpellare di nuovo il suo commercialista e veda di chiarire la faccenda”.
Un quarto d’ora dopo squilla il telefono, è ancora la stessa paziente che mi aggiorna: “Il commercialista dice che forse non ci siamo proprio capiti. Lei parla di certificato di idoneità al lavoro e ha ragione sul fatto che non è più richiesto in Lombardia. Però io le avevo richiesto un certificato di buona salute, non di idoneità al lavoro”.
“Va bene, giriamo pure la frittata, ma un certificato di buona salute utilizzato per l’assunzione al lavoro è comunque un certificato di idoneità al lavoro. In ogni caso, se la Regione ha eliminato il certificato di idoneità, non mi risulta che l’abbia sostituito con un certificato di buona salute. Su che base il suo commercialista chiede un certificato di buona salute? Se il suo panettiere le chiedesse un certificato di buona salute prima di consegnarle il pane, lei che cosa farebbe? Telefonerebbe a me o al neurodeliri?”
La gentile paziente è improvvisamente diventata molto meno gentile. Si è arrabbiata. Minaccia denunce per omissione di atti d’ufficio. Anch’io mi sono fatto contagiare e sono diventato meno deferente e casualmente mi è caduta la cornetta del telefono. Adesso basta. Tre telefonate, tre interruzioni del mio lavoro. Un quarto d’ora sprecato.
Una volta che la Regione Lombardia fa qualcosa di buono, la gente l’ignora, commercialisti e legulei in testa.
In fondo il caso è emblematico. Il poveraccio è tossicodipendente, e merita certamente un aiuto a inserirsi: giusto quindi dargli un lavoro. Ma se continuiamo a pretendere che per lavorare bisogna produrre un certificato di buona salute, i casi sono due: o neghiamo il lavoro a lui e a tutti quelli che non sono in salute, o obblighiamo il medico a certificare il falso.
La Regione Lombardia ha fatto non bene, anzi benissimo a eliminare i certificati idioti. Forse avrebbe dovuto fare un passettino in più: eliminare anche i cervelloni che continuano a chiederli.