M.D. numero 30, 19 ottobre 2005

Contrappunto
Ricerca in Medicina Generale: gli effetti collaterali delle “grandi ricerche”
di Franco del Zotti, Direttore di Netaudit (www.netaudit.org), Responsabile Italiano EGPRN-Wonca

Tenere sotto controllo e colmare la distanza tra scoperte quantitative e saperi qualitativi è una necessità atta
a connotare la ricerca degli ambiti specifici e autonomi che caratterizzano la nostra disciplina


Dalla metà degli anni Ottanta ad oggi molti passi sono stati fatti nel campo della ricerca in Medicina Generale (MG). Ogni Mmg nel Terzo Millennio si considera infatti o fruitore di ricerca o ricercatore. è legittimo che il medico di medicina generale che voglia orientarsi verso la ricerca debba collegarsi ad istituti universitari e organizzare ricerche che eludano le dimensioni di piccola scala o prive di finanziamenti e che invece possano essere pubblicate su riviste ben indicizzate su medline. Ma visto che per i Mmg italiani e per quelli di molti Paesi del Mediterraneo non c’è possibilità di carriera accademica e istituzionale, la scelta più logica in proposito potrebbe essere quella di gettare la spugna.
In un tale contesto, col fine di sviluppare un dibattito e a costo di rompere un tabù, ritengo che un approccio utile possa essere quello di discutere gli aspetti negativi della “ricerca” per la professione del Mmg, e soprattutto di quella di dimensioni o logistica maggiori.

La tesi


Vorrei partire da una tesi e svilupparla: “gli effetti collaterali sono tanto più grandi quanto maggiore è l’adesione dei Mmg a sistemi di ricerca di grandi dimensioni”.
In effetti, la macchina produttiva della scienza moderna sembra affermare l’equivalenza: ricerca = grandi numeri; ricerca = grande organizzazione; ricerca = sperimentazione iper-pianificata. Se è palese che tali equivalenze sembrano donare potere operativo alla ricerca, nello stesso tempo sorge il dubbio che esse possano produrre non piccoli effetti collaterali alla nostra professione e alla nostra disciplina. E in effetti i grandi numeri, un’organizzazione efficiente e centralizzata, il fitto apparato “gerarchico” dei trial rischiano di separare i Mmg dalla tradizione e dal contesto della nostra pratica professionale. Una pratica connotata dal fatto che ogni Mmg non deve mai distrarsi dal focalizzare le sue attenzioni sul singolo caso, sulle singole famiglie e sui contesti relazionali di tipo orizzontale, contesti più qualitativi che quantitativi. Dal punto di vista organizzativo, poi, la MG è da sempre praticata all’ombra di un ambulatorio con uno o pochi medici, mentre le ricerche con i grandi database e per i grandi trial presumono la nascita di ambulatori virtuali con centinaia se non migliaia di medici. La MG, infine, è vissuta su un’economia di scala più vicina alla bottega artigianale che alla logica di impresa di medie dimensioni che le grandi ricerche implicano, con relativi aspetti finanziari connessi a sponsorizzazione privata o a finanziamento pubblico. Le grandi ricerche in Medicina Generale, inoltre, richiedono ai ricercatori Mmg una standardizzazione e omogeneizzazione informatica e/o burocratica spinta, che non poche volte stimola una precoce quantificazione e/o codificazione dei problemi del paziente, pericolosa per il processo decisionale e assistenziale che caratterizza la Disciplina. Un processo creativo e adattativo che deve rispettare l’alta frequenza di problemi a logica sfumata, “aperti”e psico-sociali. L’abbondanza di codici, blocchi e richiami, richiesti da tali ricerche, spesso rischia di trasformarsi in “cosmesi” e decimazione delle imperfezioni, che sono invece la reale “benzina” dell’audit. Si rischia così di peggiorare anche la dimensione ergonomica del nostro lavoro.

Le strategie


Tali congerie di effetti collaterali possono indurre più di qualcuno ad affermare che la ricerca sia controindicata per i Mmg. Ma questa a mio parere è una conclusione affrettata.
L’audit e la ricerca sono valori aggiunti irrinunciabili nella MG della nostra epoca ove l’informatica e la telematica hanno tolto dall’isolamento culturale la gran parte dei Mmg. Il problema non sta nel dilemma sì/no alla ricerca, ma è da una parte nella riduzione dell’impegno “tecnologico” e “burocratico” richiesto al singolo Mmg ricercatore; dall’altra nell’intensificazione della discussione sulle scelte “strategiche” e “politiche” delle grandi ricerche.
Alla maggioranza dei Mmg chi organizza ricerche e audit deve chiedere prima di tutto di continuare a fare il medico e a farlo meglio, e solo dopo di importare le piccole modifiche che una ricerca rispettosa della professione deve richiedere. È per esempio inutile chiedere al Mmg di essere una macchina perfetta per creare problemi codificati o per “riempire” caselle nella propria cartella computerizzata: il più delle volte questo lavoro può essere svolto (dietro le quinte) da sistemi computerizzati meno rigidi e di maggior qualità. Nello stesso tempo, i Mmg che partecipano ai grandi database dovrebbero esigere chiari meccanismi decisionali e democratici, per essere coinvolti nelle discussioni che riguardano il legame tra ricerca e professione pratica; tra finanziatori/committenti e Mmg; tra dirigenti dei database e medici che stanno alla base; tra “medici che risultano autori di articoli scientifici” e medici “che spediscono dati”.

L’importanza del self-audit


Ogni Mmg che partecipa a grandi trial o ai grandi database dovrebbe nel contempo mantenere uno stretto rapporto salutare con il self-audit e magari con circuiti come il netaudit, ove il focus è sul cambio pragmatico del livello di qualità professionale e “la scala” è volutamente limitata: la regola di “meno di tre ore di lavoro” e in genere non più di 20-25 casi (da valutare uno per uno) per Netaudit garantiscono una maggiore osmosi tra accumulo “collettivo” di dati e ritorno alla singola cartella, al singolo caso. Tra l’altro il circuito di Netaudit ultimamente ha lanciato timidamente una sezione “netauditstorie” (http://www.netauditstorie. blogspot.com/), con il sottotitolo “i colori tra i numeri”, in cui si tenta di esercitare i Mmg a fare emergere il rapporto tra i numeri e le qualità di ogni netaudit. Se, per esempio, ci si accorge, dati alla mano, che in numerosi netaudit molte caselle di risultati di test di laboratorio sono vuote allora cerchiamo non solo di compilare le conte, ma anche di identificare i vari “case report” o momenti e luoghi della mancata qualità. Continuando con l’esempio, siamo noi Mmg a non scrivere i risultati di laboratorio, nonostante che il paziente ce li abbia dati? O sono i pazienti a non portarceli di ritorno? E che succederebbe alle caselle vuote se i laboratori, in un nuovo contesto organizzativo, spedissero, per posta o per email, ai Mmg i risultati?
Insomma, in MG ogni audit e ricerca che si rispetti deve potenziare l’osmosi tra domande “qualitative” e domande “quantitative”. E allora ci chiediamo: come possono i grandi trial e i grandi database rispettare questo mandato? Forse in questo senso l’esperienza pilota degli orti di ricerca, come il netaudit, può fornire qualche soluzione ai grandi parchi.

Una questione di qualità e non di quantità

Insomma “piccolo non solo è bello, ma anche indispensabile nella ricerca in MG” e la “grande ricerca” può divenire potere collettivo solo se ogni singolo Mmg della rete del trial o del database sarà in grado di influenzare i giochi di potere che, frequentemente, restano appannaggio di limitati gruppi di Mmg, in contatto crescente con accademici e università o gruppi editoriali influenti, o con “poteri forti” dell’informatica e delle istituzioni pubbliche e private e qualche volta in decrescente contatto con la “base”. Sono convinto che gli effetti collaterali dei grandi database e dei trial saranno sempre minori quanto più l’insieme dei Mmg svilupperà autonomia di pensiero, soluzioni alternative, partecipazione democratica e collaborazione paritaria con i ricercatori professionisti più autentici, che antepongono l’esperienza della ricerca “trasformativa” a quella della carriera accademica o della scalata di potere. Per quelli che in Italia ed Europa coltivano il self-audit e le ricerche non sponsorizzate su base volontaria e su piccola scala resta la necessità di svolgere un compito complementare, con un “setting” più refrattario agli effetti collaterali, ma non per questo privo del pericolo di imbattersi nello scisma tra indagine scientifica e mandato professionale.
Ricerca in Medicina Generale significa anche sorvegliare e colmare la distanza tra scoperte e saperi quantitativi ed i “sapori” della nostra prassi.