M.D. numero 29, 12 ottobre 2005

Trial
Betabloccanti e metabolismo glucidico: evidenze dagli studi clinici
di Livia Tonti

Non tutti i betabloccanti interferiscono con il metabolismo glucidico. Dagli studi GEMINI e COMET, per esempio, emergono dati rassicuranti relativamente all’impiego di carvedilolo

L'utilizzo dei betabloccanti nel paziente diabetico o insulino-resistente è stato finora considerato con estrema cautela a causa della tendenza di questi farmaci a innalzare i livelli glicemici. I più recenti studi stanno tuttavia rivelando come questo effetto non sia condiviso da tutti i farmaci di questa classe, suggerendo come tali composti potrebbero non essere preclusi a questi pazienti quando si scelga un farmaco che abbia dimostrato di non interferire con il metabolismo glucidico.
Tali tematiche sono state argomento di approfondimento nel corso di recenti congressi di cardiologia, primi fra tutti il congresso dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (Firenze, 1-4 giugno 2005) e l’Heart Failure (Lisbona, 11-14 giugno 2005), in cui sono stati discussi i risultati dello studio GEMINI, di confronto tra carvedilolo e metoprololo in pazienti ipertesi diabetici, e le evidenze provenienti dallo studio COMET, che aveva confrontato gli stessi due betabloccanti in pazienti con scompenso cardiaco.

Diabete: differenze fra betabloccanti


Lo studio GEMINI (The Glycemic Effects in Diabetes Mellitus: Carvedilol-Metoprolol Comparison in Hypertensives) (JAMA 2004; 292: 2227-36) ha confrontato gli effetti di carvedilolo (6.25-25 mg bid) e metoprololo (50-200 mg bid) sul controllo glicemico in 1235 pazienti ipertesi con diabete ben controllato (emoglobina glicata - HbA1c - media al basale: 7.2%). Mentre il trattamento con carvedilolo non è risultato avere effetti sulla HbA1c (variazione media rispetto al basale: 0.02%), tale parametro è stato significativamente influenzato dal metoprololo (0.15% rispetto al basale; p<0.001).
Il trattamento con carvedilolo è risultato avere effetti più favorevoli di metoprololo sui parametri metabolici considerati (figura 1). Ha inoltre abbandonato lo studio per un peggioramento del controllo glicemico un numero maggiore di pazienti del gruppo metoprololo (2.2% vs 0.6%; p=0.04).
Risultati tranquillizzanti sull’utilizzo di carvedilolo rispetto a metoprololo nei confronti del diabete sono provenuti anche dallo studio COMET (Carvedilol or Metoprolol European Trial), in pazienti con scompenso cardiaco. Il COMET è stato il primo studio di confronto testa a testa tra due betabloccanti ad aver avuto come endpoint la mortalità e aveva dimostrato la superiorità di carvedilolo rispetto a metoprololo tartrato nel ridurre questo endpoint (RRR di mortalità: 17%; p=0.0017) in oltre 3000 pazienti con insufficienza cardiaca.
I risultati sull’insorgenza di nuovi casi di diabete hanno mostrato un’incidenza significativamente minore nel gruppo carvedilolo rispetto a metoprololo per quel che riguarda questa grave patologia e di eventi avversi ad essa correlati (RRR: -22%; p=0.04) (Lancet 2003; 362: 7-13; Torp-Pedersen, oral presentation at Heart Failure 2005), suggerendo come carvedilolo non influisca negativamente sulla tolleranza al glucosio neanche in questi pazienti con malattia cardiovascolare avanzata.
Tali risultati potrebbero essere legati all’antagonismo da parte di carvedilolo nei confronti del recettore alfa1 adrenergico, oltre che beta1 e beta2, e all’azione antiossidante, caratteristiche non condivise dagli altri bloccanti beta1-selettivi come metoprololo.