M.D.
numero 29, 12 ottobre 2005
Testimonianze
Cari colleghi, mi dimetto e revoco la convenzione
di Lorenzo Peli, Medico chirurgo, Erbusco (BS)
Molto spesso M.D., attraverso i contributi inviati spontaneamente
dai Mmg, ha dato voce al disagio professionale vissuto nellesercizio
quotidiano del loro ruolo allinterno del Ssn. Laumento
del carico burocratico, la crescente conflittualità con
i pazienti, la scarsa considerazione da parte delle istituzioni
sono i motivi più frequenti addotti per dichiarare un
acclarato distaccamento emotivo dalla professione. Il fenomeno
è talmente diffuso che la sindrome del burn out per i
Mmg è divenuta ordinario argomento di discussione e indagine.
Ma mentre attraverso il lavoro delle Società scientifiche
e dei sindacati di categoria si cercano risposte collettive
per gestire il problema, cè chi individualmente
getta la spugna perché pensa che non ci siano più
margini di recupero
M
i
sono dimesso dalla medicina generale convenzionata. È
stata una decisione sofferta e meditata, maturata nella convinzione
che i medici di famiglia ormai stanno diventando di fatto dei
dipendenti del Servizio sanitario nazionale senza avere però
alcun beneficio della dipendenza (tredicesima, ferie pagate,
malattia, liquidazione ecc.). Inoltre le richieste dei pazienti
(ma nella maggior parte dei casi sarebbe più corretto
definirle pretese), spesso irragionevoli e immotivate, e lincredibile
carico lavorativo e burocratico che ci sta lentamente trasformando
in ragionieri, commercialisti, avvocati, manager, assistenti
sociali non sono certo controbilanciati da un adeguato riscontro
né in termini economici né tanto meno di gratitudine
da parte dei pazienti e delle istituzioni.
Fare bene il medico di medicina generale oggi (attenendosi scrupolosamente
a tutte le leggi nazionali e regionali, norme, note, circolari
ecc.) vuole dire destinare almeno 12 ore al giorno a questa
attività e conseguentemente trascurare la famiglia e
se stessi. Questo significa divenire lentamente schiavi del
lavoro e dei capricci degli assistiti. Parafrasando un noto
aforisma: bisogna lavorare per vivere, non bisogna vivere
per lavorare.
Un futuro da incubo
Ho provato a immaginarmi 65enne (se mai ci arriverò)
nel 2030, allalba di una lussuosa pensione ENPAM, dopo
40 anni di vita dedicati interamente agli assistiti.
La Asl mi revocherà la convenzione per raggiunti limiti
detà, senza nemmeno un grazie. Avanti
un altro.
I cari assistiti correranno agli sportelli Asl per scegliere
un nuovo medico, senza versare neanche una lacrimuccia. Presto!
Non vorremo mica rischiare di rimanere qualche giorno senza
medico di famiglia, altrimenti dovremo pagare un euro di differenza
sul superdiclofenac che è mutuabile con la ipernota 66/ter
sempreché il dottore apponga la sua firma digitale con
limpronta del dito mignolo destro nellapposito scanner
e giuri fedeltà perpetua allAsl in presenza di
13 testimoni. Lho letto su Bellissimi&Ricchissimi,
perciò è vero. In pochi giorni mi avranno
sicuramente già dimenticato.
Dopo queste struggenti prove daffetto e di riconoscenza
potrò infine riprendere a vivere, ad amministrare il
tanto anelato e riconquistato tempo libero, dedicandomi allo
sport e ai viaggi (con tanto di artrosi e bastone da passeggio),
alla lettura (con lenti per presbiopia), agli incontri galanti
(il tadalafil sarà ancora in fascia C nel 2030?).
Inoltre avrò accumulato un discreto gruzzoletto (e come
avrei fatto a spendere i soldi, lavorando e basta?) che i miei
eredi potranno sperperare a loro piacimento.
Un incubo? Un brutto sogno? O forse unipotetica realtà
futura?
Lascio ad altri lopportunità di verificarlo. Per
me è giunto il momento di cambiare, sono disposto a rinunce
economiche pur di migliorare la qualità della mia vita
in termini di serenità e libertà personale e professionale.
Questo è quanto ho valutato e alla fine ho scelto.
Sia chiaro che sono ben lieto di avere svolto lattività
di medico di medicina generale per quindici anni, perché
sono attualmente sempre più convinto che il vero
medico (nel senso olistico del termine) è il medico
di famiglia. Chi si laurea oggi assieme agli specialisti formati
con le regole europee ha una visione estremamente
settoriale e organicistica della medicina e saprà magari
tutto sulla sindrome di Klippel-Trenaunay-Parkes-Weber, ma non
sarà sempre in grado di curare unotite. Perciò
onore al merito di chi continua la difficile professione di
Mmg, sperando che con uninversione di tendenza vengano
progressivamente restituite ai medici di famiglia lautonomia
professionale, lequa retribuzione e la giusta considerazione
che meritano. Ma nel frattempo io mi dimetto.