M.D. numero 29, 12 ottobre 2005

Terapia
Attualità dei Fans nel dolore
di Angela Walmar

Il dolore muscoloscheletrico, sia di tipo acuto o cronico, è evenienza molto frequente nella pratica clinica e il suo trattamento viene efficacemente affidato all’impiego di molecole analgesiche e antinfiammatorie

I
l dolore in reumatologia può essere riconducibile a numerose situazioni patologiche, a impronta acuta o cronica. Accanto alle sindromi dolorose acute espressione e conseguenza di un evento traumatico, un posto di rilievo è occupato dal dolore osteoarticolare cronico.
I farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), caratterizzati da una spiccata attività antiflogistica e analgesica, trovano in queste patologie un campo di applicazione elettivo in quanto in grado di agire sui due sintomi principali, il dolore e la limitazione funzionale. Uno degli esponenti di questa classe da lungo tempo impiegato nella pratica clinica è ibuprofene, valutato in numerosi studi clinici su pazienti con sintomatologia algica di pertinenza reumatologica di varia origine.
L’efficacia analgesica di ibuprofene è stata recentemente confermata in una della condizioni patologiche di osservazione sempre molto frequente, l’osteoartrosi, dove rappresenta un trattamento di efficacia paragonabile a paracetamolo, che in molti studi viene indicato come terapia di riferimento. Lo studio IPSO (Ibuprofen, Paracetamol Study in OA) ha confrontato l’efficacia analgesica di ibuprofene e di paracetamolo in pazienti con osteoartrite al ginocchio valutando l’intensità del dolore dopo singola dose (ibuprofene 400 mg, paracetamolo 1000 mg) e la limitazione funzionale dopo 14 giorni di terapia (ibuprofene 400 mg tid, paracetamolo 1000 mg tid) (Boureau F et al. Ann Rheum Dis 2004; 63: 1028-1034). Lo studio ha dimostrato che ibuprofene a dose singola o somministrato per 14 giorni è dotato di una maggiore e più rapida efficacia rispetto a paracetamolo (figura 1). Nel gruppo ibuprofene il punteggio relativo alla disabilità funzionale dei pazienti è passati da uno score iniziale di 49.2 a uno finale di 28.4, con una differenza rispetto al basale di -20.8, mentre i medesimi punteggi nel gruppo paracetamolo sono stati di 49.7 (basale) e 36.3 (finale) con una differenza nettamente inferiore (-13.4). Poiché la tollerabilità dei due trattamenti è risultata sovrapponibile, ne deriva un rapporto efficacia/tollerabilità a favore di ibuprofene.
In un altro studio, condotto su pazienti con OA e segni di flogosi, ibuprofene ha inoltre dimostrato di possedere la capacità di interferire con l’aumento dei marker che riflettono il metabolismo cartilagineo e sinoviale, suggerendo che la somministrazione di questo Fans potrebbe prevenire, almeno parzialmente, l’aumentata degradazione cartilaginea e sinoviale che si osserva in alcuni pazienti (Gineyts E et al, Ann Rheum Dis 2004; 63: 857-861).
I dati più recenti non fanno che riconfermare i risultati offerti dalla letteratura degli ultimi tre decenni. La buona efficacia di ibuprofene è per esempio confermata anche nella spondiloartrosi dell’anziano, patologia nella quale riduce il dolore spontaneo, al movimento e notturno, risultando particolarmente rapido nel generare sollievo al paziente: già in prima giornata infatti i pazienti hanno confermato la risoluzione del dolore spontaneo, mentre quello al movimento si è attenuato in modo rilevante al termine della prima settimana di trattamento (Di Peppe MC et al. Giorn Geront 1992; 40: 221-235).
Le sue possibilità di utilizzo si estendono anche al trattamento del dolore muscoloscheletrico acuto a seguito di un trauma, condizione in cui ibuprofene somministrato per via orale è stato confrontato con ketorolac somministrato per via intramuscolare. Al termine dello studio è emerso che la somministrazione di ibuprofene per os ha determinato una analgesia analoga a quella prodotta dalla terapia parenterale (Turturro MA et al. Ann Emerg Med 1995; 26: 117-20).