M.D. numero 28, 5 ottobre 2005

Terapia
La migliore protezione cardiovascolare con statine
di Livia Tonti

Come sfruttare al meglio le potenzialità delle statine? Alcune indicazioni sulla base degli studi clinici


S
ui benefici delle statine in prevenzione cardiovascolare c’è oggi universale accordo. Dal punto di vista clinico, quindi, è ora cruciale, oltre ad approfondire la loro efficacia in diverse situazioni cliniche, anche chiarire come sfruttare al meglio le loro caratteristiche e potenzialità, al fine di massimizzarne gli effetti protettivi.
In quest´ottica può essere utile conoscere le differenze fra i singoli composti di questa classe, al fine di scegliere la statina più adatta al singolo soggetto.
Queste questioni sono state argomento di dibattito nel corso di un simposio nell’ambito dell’ultimo congresso dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO).

Similitudini e differenze

Pur accomunate dal meccanismo d’azione (inibizione dell’HMG-CoA-reduttasi) e dall’effetto di riduzione dei livelli di C-LDL, le statine presentano tra di loro alcune differenze dal punto di vista chimico e farmacocinetico, con relative ripercussioni sul piano terapeutico. Per esempio le vie di metabolizzazione sono in parte differenti e in grado di determinare il rischio e il tipo di interazioni farmacologiche. Tali farmaci possono inoltre differire anche nella via di eliminazione, con conseguenze per esempio sul rischio di tossicità. Per esempio l’inibizione dell’HMG-CoA-reduttasi sembra in grado di inibire il riassorbimento delle proteine a livello renale: la maggiore incidenza di proteinuria rilevata con alte dosi di rosuvastatina potrebbe essere legata all’elevata clearance renale (superiore alle altre statine) associata alla sua potenza co-me inibitore dell’HMG-CoA-reduttasi (J Am Soc Nephrol 2004; 15: 2502).
Le statine presentano inoltre importanti differenze in termini di efficacia ipocolesterolemizzante. Per esempio solo simvastatina, atorvastatina e rosuvastatina sono in grado di indurre una riduzione del C-LDL di almeno il 30% (Med Lett Drugs Ther 2004; 46: 36), indicato dalle linee guida NCEP ATP III come target per ridurre efficacemente gli eventi (Circulation 2004; 110: 2207) già al dosaggio iniziale.
Sono inoltre non uniformi gli effetti sugli altri parametri lipidici: per esempio simvastatina ha mostrato una maggiore capacità di innalzare i livelli di C-HDL rispetto ad atorvastatina (Curr Med Res Opin 2001; 17: 43), probabilmente per l’effetto negativo di quest’ultima sulla sintesi di Apo A-I, la più importante proteina per la formazione delle HDL.
Non tutti i farmaci di questo gruppo hanno inoltre dimostrato la stessa efficacia nel ridurre gli eventi in alcune categorie di pazienti, per esempio nei diabetici. Significativi benefici da parte di questi farmaci sono stati infatti dimostrati solo con simvastatina (4S e HPS), atorvastatina (CARDS) e fluvastatina (LIPS) e ad oggi solo simvastatina ha una specifica indicazione terapeutica su questo tipo di patologia.
Solo simvastatina e pravastatina, come ricordato dalla nota 13 AIFA, hanno inoltre dimostrato in studi clinici controllati di essere in grado di ridurre la mortalità totale e non solo il rischio di eventi cardiovascolari.

Le statine nel post-infarto: tanto prima, tanto meglio
Nello stesso simposio ANMCO si è dedicato un ampio spazio a un altro argomento di crescente importanza riguardo al trattamento con statine, cioè l’opportunità di iniziare il trattamento con questi farmaci subito dopo un infarto miocardico. Attualmente questo approccio è stato valutato in 6 grandi trial randomizzati: A to Z (simvastatina), MIRACL (atorvastatina), PROVE-IT (pravastatina vs atorvastatina), FLORIDA (fluvastatina), PACT (pravastatina), PRINCESS (cerivastatina), molto differenti sia come dimensioni che come risultati, ma da cui sembra emergere che una terapia con statine aggressiva e precoce (ore-giorni) riduca significativamente gli eventi ischemici ricorrenti, con benefici evidenti già dopo 1-4 mesi. A spiegare questi effetti sembrano intervenire fattori cosiddetti “pleiotropici”, non legati alla riduzione del C-LDL, i cui benefici, come emerge dai grandi trial di prevenzione secondaria, iniziano invece ad apparire dopo 1-2 anni. Crescenti evidenze suggeriscono che l’effetto protettivo delle statine sia almeno in parte da imputare a un’azione antinfiammatoria (che favorisce la stabilizzazione della placca ateromasica) e a un miglioramento della funzione endoteliale, che potrebbero essere particolarmente benefici nei pazienti con sindrome coronarica acuta, in cui questi sistemi sono alterati (Am J Cardiol 2005; 96 suppl: 54F). Una conferma in questo senso sembra provenire per esempio dallo studio PROVE-IT (N Engl J Med 2004; 350: 1495) in cui la maggiore riduzione degli eventi registrata con atorvastatina 80 mg rispetto a pravastatina 40 mg
era associata anche a una maggiore riduzione nei livelli di proteina C-reattiva, importante marker di infiammazione. Un altro studio, con simvastatina (J Cardiovasc Pharmacol 2004; 44: 348), ha inoltre dimostrato che questo farmaco, in un modello animale, riduce in acuto la necrosi del miocardio e il danno da riperfusione con meccanismo mediato dalla ossido nitrico sintetasi endoteliale (eNOS), essenziale per la funzionalità endoteliale.