M.D.
numero 28, 5 ottobre 2005
Riflessioni
Non ci resta che diventare dipendenti?
di Massimo Bisconcin - Medico di medicina generale,
Quarto dAltino (VE) - Dipartimento di Ricerca AIMEF
Si sta insinuando subdolamente una malcelata voglia di far
diventare dipendente il medico di famiglia. Nessuno lo afferma,
ma nemmeno nessuno lo nega e, vista la nostra situazione professionale,
forse non abbiamo proprio altra scelta
Si
odono brontolii sordi nei corridoi. Serpeggia, strisciante,
il sospetto del prossimo tranello. Italici vizi, concimati dal
distorto uso della tecnologia, emanano il loro raffermo odore.
Nulla di buono sembra profilarsi allorizzonte del medico
di famiglia. È difficile, anche sforzandosi di guardare
in là, ben oltre il dito, trovare un senso positivo nella
nuova convenzione, di imminente scadenza. Nemmeno il triste
inserimento della definizione WONCA serve ad arieggiare questi
miasmi: patetica toppa, inserita a forza per compiacere almeno
coloro che si sforzano di rendere migliore questo mestiere.
Inermi Cassandre che assistono, impotenti, al saccheggio. La
definizione WONCA, in un contratto/convenzione infarcito di
non ci sta, alla fine, come una guarnizione di fragole
su una torta dasfalto.
Serpeggia, strisciante, una malcelata voglia di far diventare
dipendente il medico di famiglia. Si badi bene, nessuno lo afferma,
ma nemmeno nessuno lo nega e, come Filemazio guardava gli astri
per leggere il futuro, basta che anche noi medici di famiglia
guardiamo questi segni per interpretarne la cifra.
Dicono alcuni direttori generali di Asl, e questa non è
astrologia ma articoli di quotidiani, che lassunzione
dei medici di famiglia converrebbe allAsl.
È fuori dubbio che buona parte dellenergia vitale
dei direttori generali, soprattutto se di bocconiana formazione,
sia occupata dal tormentone della bottom line del
bilancio aziendale: la priorità dellEuropa è
il bilancio; Maastricht, rispetto a Bisanzio, costringe a vaticini
di economisti e non di filosofi.
Una provocazione
Visto che cè così tanto attaccamento alla
quadratura del cerchio tra bisogni e risorse e che sembra che
questa quadratura assegni al decisionismo economico il maggior
peso, cari direttori generali, perché non passate alle
vie di fatto e proponete contratti dassunzione ai medici
di famiglia?
Vorremmo solo ricordare alcuni piccoli e forse insignificanti
elementi presenti nella logica del controllo della bottom line.
Sapete controllarla sicuramente meglio dei medici, ma lasciatecelo
fare, se non altro, per dovere culturale.
Noi medici di famiglia ci occupiamo di problemi complessi, bio-psico-sociali,
cioè di problemi che raggruppano le essenze di sofferenza
degli umani nellambito complessivo della loro esistenza,
legati, badate bene, contemporaneamente, alla sfera fisica,
psichica e sociale. È proprio la contemporaneità
che fa di noi dei professionisti unici, che fa della nostra
una disciplina che solamente in questo Paese dei balocchi è
svillaneggiata e di cui ci si ricorda solo quando il problema
da risolvere è complicato.
La contemporaneità di livello della nostra disciplina
si manifesta essenzialmente verso lindividuo, sia esso
inserito nel primo cerchio concentrico sociale, la famiglia,
sia nei cerchi successivi sempre più larghi della società
in cui vive. Un doppio livello dintervento, quindi, sul
singolo e sul rapporto tra singolo e gli altri. Ma noi siamo
medici e comunque curiamo persone e non sistemi. E anche se
i sistemi costituiscono il pane quotidiano di un medico di famiglia,
è il singolo uomo a ricevere le maggiori attenzioni ed
ha, in ogni caso, la priorità sul sistema.
La galassia della primary care
Nella cosmologia della richiesta daiuto, questa distinzione
divide il sistema della medicina della persona da quello della
medicina di comunità. Anche se entrambi fanno parte della
galassia della primary care, le differenze sono nette e ben
codificate da organismi internazionali super partes quali WHO
(World Health Organization), WONCA (World Organization of National
Colleges and Academies) ai quali si rimanda per maggiori dettagli
e che, ad una lettura approfondita, poco hanno a che vedere
con la recente convenzione. La medicina di comunità,
rispetto a quella di famiglia, è più facile da
governare: medici dipendenti e ordini di servizio.
Ma perché lamentarsi della dipendenza, perché
esserne spaventati? In fondo tanti piagnistei assistenziali
non si sentirebbero più e basterebbe semplicemente dirottare
i pazienti più arrabbiati alle alte sfere per le più
o meno giuste rimostranze.
In fondo ci si toglierebbe dallimbarazzante situazione
di non sapere per chi noi lavoriamo: se per noi, per gli assistiti
o per lAsl. Ci toglieremmo dallimbarazzo di nascondere
ai nostri pazienti lesistenza di scellerati e impossibili
patti aziendali che ci rendono complici di guadagno
(si fa per dire) a spese di un taglio di prestazioni. È
veramente una situazione paradossale: è come se un avvocato
concordasse con la parte avversa una diminuzione delle tutele
al proprio cliente in nome di un risparmio sullentità
del quale comunque godrebbe anche lui stesso.
I medici di famiglia non assorbirebbero più lenorme
impatto del disagio. Dove andrà questo fiume perennemente
in piena che trascina con sé malattie del corpo, della
psiche e della società e che le trasforma in continuazione
riproponendo altri disagi e altri quadri clinici con prevalenza
mutevole ora dei sintomi fisici, poi degli altri in un perenne
divenire? Questa piena, questa alluvione che tutti i giorni
costituisce il dominio del morente medico di famiglia, dove
si scaricherà? È su questa perenne alluvione,
con la sua agile barchetta che egli ogni giorno, inventandosi
risposte, rema. E, come se non bastasse ci sono i gorghi, i
banchi di sabbia delle circolari esplicative e tristi
regolamenti che della mente hanno tutto tranne la
regola.
Perché no?
Ebbene, ci si chiede di diventare medici di comunità
con tanto di assunzione? Perché no?
Molti di noi sarebbero pronti al salto. Certamente ci tapperemo
il naso, ma i miasmi acquitrinosi nei quali tutti ci stiamo
impantanando comunque sono malsani e quindi un cambiamento è
opportuno. E dal momento che noi, medici di famiglia al tramonto,
chiediamo di essere assunti, lasciateci anche salutare quella
parte di noi dedita oltre al contratto; quella parte di noi
dedita allascolto delle persone e che costituisce la porzione
nobile della morente professione della medicina di famiglia
italiana. Quella parte di noi che non funziona a contratto o
a convenzione e che agisce nella flessibilità della libera
professione che perfettamente integra il concetto universalmente
riconosciuto di approccio bio-psico-sociale.
Ecco i vantaggi
Finalmente saremmo dipendenti e potremmo esternare senza timore
i nostri malumori e al fine scioperare contro qualcuno e non
solo contro noi stessi come abbiamo fatto finora. Potremo ammalarci
senza impazzire nel cercare introvabili sostituti dellultima
ora. Potremo fare sacrosante e meritate ferie come tutti i dipendenti
del mondo, senza rincretinirci a inventare alchimie con sostituti
sempre più rari. Disporremo di veri permessi per studio
o aspettativa per vari motivi, magari per un semestre
sabbatico nei Paesi poveri.
E dato che lavoreremo in locali aziendali, il piacere maggiore
sarà quello di lasciare ad altri la responsabilità
gestionale del luogo di lavoro: non dovremo più preoccuparci
di chiamare imbianchini, idraulici, elettricisti, tecnici informatici,
ecc. Eviteremo le odiose riunioni condominiali durante le quali
infuriati condomini recriminano sulle scale usate come sala
dattesa, salvo poi chiederci ah! dottore già
che la vedo, mi servirebbe una ricetta
.
E che dire del cartellino orario da timbrare? Il fastidio di
averlo è ben compensato dalla certezza di finire sicuramente
a una determinata ora: saremo liberi di dare appuntamenti puntuali
alle nostre mogli e ai nostri figli e non ci sarà più
quellodiosa compiacenza che veleggia nelle acque basse
tra la paura della revoca e la necessità di aumentare
i pazienti.
Potremmo risolvere i contratti di locazione dellambulatorio
o, meglio se esso è di proprietà, affittarlo e
averne un guadagno extra e finalmente risparmiare anche sul
commercialista.
Dovremo purtroppo licenziare i nostri fidati dipendenti, le
nostre infermiere o segretarie che per anni hanno condiviso
gli sforzi contro la perenne alluvione dei bisogni montanti
o, peggio, la stolta burocrazia magari targata ISO 9000.
In compenso anche il nostro rapporto con il sindacato di appartenenza
dovrà cambiare. Un vero dipendente non può permettersi
di sentire parlare di consulenze con lazienda barattate
come vertenze. Vuole i contratti. E soprattutto
vuole rispetto.
Certamente al nuovo luogo di lavoro dovremo accontentarci di
stanzette misere e spoglie dove visitare i pazienti, con una
scrivania di ferro con la targhetta dellinventario aziendale
e una sedia dozzinale, ma potremo sempre portarci il quadretto
familiare e, dopo aver chiesto il permesso, appenderlo ad un
chiodo nel muro. Consoliamoci, perché sarà lunico
lavoro manuale che faremo, che è molto meno dellattuale
perenne bricolage nei nostri studi.
Un sistema di valori condiviso
Cari direttori generali, speriamo di avere il vostro bonario
perdono per esserci dilungati, ma, allapprossimarsi di
un vero cambio di mentalità è necessario disegnare
e condividere il sistema di valori e di condizioni nel quale
si andrà ad operare in futuro. Magari qualcosa può
sfuggire a noi o a voi, quindi vi preghiamo di leggere queste
considerazioni come il nostro brainstorming aziendale. Potremo
tutti implementarlo, anche se esso è fragile perché
in questo disgraziato Paese si odono più i ragli che
gli acuti e si è più propensi a calpestare escrementi
che a cesellare.
Presentateci, orsù, un contratto alternativo per lassunzione
e vedrete che molti di noi lo firmeranno.
Ai rantolanti medici di famiglia diciamo di stare attenti al
serpeggiare dei mugugni veterosindacali: pur di non perdere
il basto saranno disposti ad accontentarsi di pseudo-dipendenze,
e ci troveremmo sulla testa dei contratti capestro, magari con
un marcatempo nel nostro studio o, peggio, con unipoteca
su di esso. In fondo le Asl sono aziende ed ogni azienda che
si rispetti sgomita senza ritegno.
I segni ci sono, lo conferma anche Filemazio.