M.D.
numero 28, 5 ottobre 2005
Legislazione
La mancata comunicazione di sieropositività
di Mauro Marin - Medico di medicina generale, Pordenone
In attesa di un una legge che consenta di precisare la condotta
da tenere di fronte a casi di malattie a trasmissione sessuale,
il punto sulle normative con cui il medico si deve confrontare
In
Italia vi sono circa 60.000 persone HIV-positive seguite nelle
strutture ospedaliere, delle quali circa 45.000 in trattamento
antivirale, mentre si stima che ve ne siano altre 60.000 HIV-positive
senza assistenza medica e probabilmente non diagnosticate (Delta
2005, 24: 7). Nel 2004 sono stati diagnosticati circa 2.000
nuovi casi di HIV negli ospedali italiani, di cui circa la metà
con paziente già sintomatico, e lIstituto Superiore
di Sanità stima in 600 allanno le morti per HIV
in Italia.
Sebbene i nuovi casi diagnosticati allanno non siano aumentati
dal 2003 al 2004, esiste un trend crescente verso una più
frequente trasmissione eterosessuale e verso diagnosi di pazienti
già sintomatici. A questo trend concorre il fatto che
molte persone non fanno il test per lHIV perché
non si sentono a rischio. Tra queste vi sono anche i partner
inconsapevoli di individui HIV-positivi, i quali non comunicano
loro la propria sieropositività, contribuendo così
al diffondersi dellinfezione e sollevando una questione
etica e medico-legale anche per i medici che li assistono.
Leggi e sentenze
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Si rileva per il medico un conflitto tra il dovere di tutela
della privacy del sieropositivo (DLgs n. 196/2003 e legge
n. 135/1990) e il dovere di tutela della salute della sua
vittima ignara (art. 54 CP e art. 132 del RD n. 352/1901).
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La
mancata comunicazione della sieropositività al partner,
oltre a trasmettere linfezione da HIV e altre infezioni
a trasmissione sessuale, in assenza di mezzi di protezione
come i preservativi, può dunque causare nel partner
infettato una progressione di malattia fino allexitus,
ritardando diagnosi e terapia. Quindi configura ipotesi di
reato che vanno dalle lesioni personali (art. 582 CP) allomicidio
colposo (art. 589 CP) o doloso (art. 575 CP).
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Lart.
10 del Codice di deontologia medica stabilisce che la rivelazione
del segreto professionale è consentita, senza lautorizzazione
del malato, solo se imposta dalla legge o per giusta causa.
Ogni condotta tendente a evitare lesecuzione di un reato
configura la giusta causa, risulta lecita e non punibile ai
sensi dellart. 54 del Codice Penale.
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Lart.
132 del RD n. 352/1901, tuttora vigente, afferma che in tutti
i casi di malattie infettive e diffusive il medico curante
deve dare alle persone che assistono o avvicinano il malato
le istruzioni necessarie per evitare il contagio.
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Lart.
54 del Codice Penale afferma che non è punibile chi
ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità
di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo
attuale di offesa ingiusta e che non è punibile chi
ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità
di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno
grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato,
né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionale
alloffesa.
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La
Corte Costituzionale con sentenza n. 4 del 2.6.1994 ha precisato
che la tutela della salute, prevista dallart. 32 della
Costituzione, implica e comprende il dovere del cittadino
di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento
la salute altrui, in osservanza del principio generale che
vede il diritto di ciascuno di trovare il limite nel reciproco
riconoscimento e nelleguale protezione del coesistente
diritto degli altri.
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Il
Tribunale di Cremona, con sentenza del 14.10.1999 ha condannato
un paziente HIV-positivo per omicidio colposo aggravato per
aver causato la morte della partner, tenuta alloscuro
del rischio infettivo e contagiata attraverso rapporti sessuali
(art. 577 CP).
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Il
Tribunale di Ravenna con sentenza del 3.5.1999 ha riconosciuto
colpevole di tentate lesioni personali gravissime una prostituta
HIV-positiva che intratteneva continui rapporti sessuali non
protetti con centinaia di clienti inconsapevoli, anche se
rimasti non identificati.
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La
Cassazione sezione I Penale con sentenza n. 9.541/2000 ha
riconosciuto colpevole di tentato omicidio volontario un tossicodipendente
HIV-positivo che durante larresto aveva sputato contro
gli agenti di polizia sangue infetto, succhiatosi da una ferita
che si era autoprovocato volontariamente per opporsi allarresto.
Commento
La rivelazione del segreto professionale deve comunque rappresentare
da parte del medico lultimo atto che segue unopera
continua di informazione e persuasione del paziente HIV-positivo,
affinché adotti le misure necessarie per evitare di contagiare
altre persone e sia lui stesso per primo a rivelare al partner
la propria condizione di sieropositività, responsabilizzato
sulle conseguenze fisiche, morali e legali della sua condotta.
La legge n. 833/1978 allart. 62 aveva previsto entro due
anni lemanazione di un testo unico di leggi sanitarie in
materia di profilassi delle malattie infettive, che consentisse
anche di uniformare e precisare le condotte da tenere di fronte
ai casi di malattie a trasmissione sessuale.
Da allora sono trascorsi oltre 25 anni e questo testo unico ancora
non cè.
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