M.D.
numero 27, 28 settembre 2005
Appunti
Le infinite incongruenze delle prescrizioni
A chi non è mai capitato? A me
capita allincirca una volta al mese: il paziente è
stato visto dal medico del pronto soccorso o da uno specialista,
e torna con una prescrizione per ciprofloxacina 500 mg
due volte al dì per sette giorni (la ciprofloxacina
è solo un esempio, e in ogni caso non cè
mai scritto il nome generico, bensì rigorosamente un
nome commerciale).
Andiamo con ordine. Primo: il paziente non è un reduce
dallIraq con laddome sconvolto da una granata, ma
il solito paziente medio con una banale bronchite febbrile o
unancor più banale cistite. Perché debba
prendersi due compresse da 500 mg al giorno anziché una
sola non è dato sapere.
Secondo: il medico che lha visitato è un illustre
clinico, tantè vero che fa lo specialista o lavora
in ospedale, ma anche quelli che hanno chiesto lautorizzazione
a immettere il farmaco in commercio in confezioni da sei compresse,
così come quelli che hanno rilasciato tale autorizzazione,
nel loro piccolo erano illustri. Su che base il collega ha deciso
che sei giorni di terapia non bastano e ne servono invece sette?
E non otto o nove, ma proprio sette? Anche questo non è
dato sapere.
Il problema è che al paziente questi dilemmi non interessano.
A lui importa il fatto che qualcuno gli ha prescritto una cura
per sette giorni e sette devono essere. Avete voglia a dirgli
che già sarebbe bastata e avanzata una terapia con una
sola compressa al giorno per sei giorni, che due al giorno per
sei giorni sarebbero già una terapia esagerata e che
quindi non cè alcun motivo di stampargli unulteriore
ricetta per una terza confezione di quel farmaco (confezione
che verrebbe appena intaccata con lassunzione di due compresse,
mentre le altre cinque finirebbero nel WC a esclusivo vantaggio
delle pantegane che vivono nella fogna). Niente da fare: dovete
dargli la ricetta per la terza scatola.
Ora io mi chiedo, e chiedo al Ministro della Salute: il risparmio
che si otterrebbe evitando di prescrivere confezioni inutili
non giustificherebbe la spesa di istituire corsi di specializzazione
ad uso dei medici specialisti e ospedalieri in scatologia
(intesa come scienza delle confezioni dei medicinali, non nel
senso usuale di scienza del contenuto del loro cranio)? Oppure
parte dei soldi risparmiati non potrebbe essere usati per lacquisto
di bacchette da usare sulle dita di quegli stessi colleghi,
acciocché la prossima volta che prendono la penna si
ricordino di consultare un prontuario, se proprio non conoscono
quello che prescrivono?
Antonio
Attanasio
Medico di medicina generale
Mandello del Lario (LC)
Un omaggio al mio medico di famiglia
Desidero
premettere che non sono un medico, non lavoro nel campo della
medicina, ma sono una persona a cui piace leggere un po
di tutto e quando mi capitano le riviste come la vostra mi incuriosisco,
non capisco tutto ciò che scrivete, ma mi appassiono
lo stesso.
Poco tempo fa ho letto un articolo su M.D. (2005; 21: 28-29)
dal titolo: Un medico, la malattia e la morte e
i ricordi di cinque anni fa mi sono tornati alla mente.
Mamma aveva 65 anni (che coincidenza con la protagonista dellarticolo!)
tre anni prima il medico di famiglia aveva riscontrato un problema,
iniziammo così visite specialistiche, esami, controlli
e Lui (il medico di famiglia) sempre in contatto telefonico
con coloro che visitavano mia madre.
Purtroppo la malattia si evolveva al peggio, il medico si procurò
il nome di un luminare che curò mamma per una paio di
anni durante i quali il mio dottore tentò più
volte, come è sua consuetudine fare per i casi più
particolari, di parlare col collega, ma non ci riuscì.
Nel frattempo nel modo più diretto per nulla sensibile,
e in mezzo al corridoio di un grande ospedale affollato di gente,
il sommo dottore ci comunicò che per mia madre non ci
sarebbe stato nulla da fare (evito, per correttezza di raccontare
nei particolari modalità e parole esatte).
Tornammo sconcertati dal nostro medico di famiglia che si attivò
con telefonate, consulti, ricerche. Insieme decidemmo per un
altro consulto (il mio medico sapeva che il luminare non sbagliava,
ma
la speranza è per lanimo ciò
che laria è per il corpo
). Un altro
luminare ci confermò lepilogo della malattia con
cautela, delicatezza e condivisione del dolore, ma soprattutto
ci informò su cosa ci aspettava nei mesi a venire.
Latteggiamento da parte del nostro medico di famiglia,
sia nei confronti della famiglia che nei riguardi di mia madre,
la quale immaginava, non fu mai di rassegnazione e questo diede
a tutti noi una grande forza per affrontare i 5 mesi più
duri della nostra vita.
Tutte le volte, e sono state davvero tante, che telefonavamo
per qualche urgenza Lui correva a visitarla, telefonava se cera
necessità di unambulanza per ricovero, e poi si
metteva in contatto col medico del Pronto soccorso, e successivamente
ci telefonava per tranquillizzarci, bastava sentirlo dire tra
dieci minuti il medico di pronto soccorso che ha visitato vostra
madre viene a parlarvi, ci vediamo in studio appena potete,
per noi era sufficiente. Puntualmente il medico del Pronto soccorso
ci chiedeva se il dottore che aveva telefonato fosse un amico
o un parente, e noi con grande orgoglio rispondevamo: No,
è il nostro medico di famiglia.
E quante serate passate nel suo studio perché voleva
caricare sul computer, nella cartella clinica di
mia madre, i vari esiti e referti per confrontarli e potersi
consultare con i colleghi.
Quando la malattia arrivò allapice ci diede persino
degli appuntamenti telefonici lungo larco della giornata.
Ricordo con un sorriso che mia madre vietò a mio padre
la telefonata concordata per mezzanotte, ma alle 0.10 telefonò
il nostro Mmg chiedendo cosa fosse successo; il giorno dopo
nella sua consueta visita rimproverò i miei
genitori. Mamma era molto contenta di quelle attenzioni e quando
il dottore andava via era molto serena, sembrava quasi di vedere
dei miglioramenti
In questa fase Lui seppe ascoltare le nostre lacrime, interpretare
la nostra rabbia, mantenendosi sempre nella correttezza della
sua professionalità rispetto ai colleghi, a noi familiari
e soprattutto a mia madre.
Un lunedì di luglio lo chiamai di urgenza descrivendo
i sintomi sempre più preoccupanti di mamma ci vediamo
fra dieci minuti, chiamo io il 118 fu la sua risposta;
15 minuti dopo caricavamo mamma sullambulanza, Lui scrollò
la testa e strinse forte le labbra, erano gesti che non gli
avevo mai visto fare, capii subito, annuii e mentre lambulanza
andava via mi fece cenno di telefonargli.
Quando gli telefonammo in studio unora dopo sapeva già
tutto. Ancora una volta i medici ospedalieri ci chiesero che
rapporti avevamo con colui che telefonava per avere aggiornamenti
sulla condizione di salute della paziente, e noi con lo stesso
orgoglio rispondemmo: è il nostro medico di famiglia.
Anche nel fatidico giorno era lì in ospedale, con una
scusa disse che doveva incontrare un collega, ma si fermò
a lungo a parlare con tutti noi dopo aver dato lultimo
saluto a nostra madre. Anche in quella occasione Lui cera.
I pazienti, i familiari hanno bisogno di questo. Sentire che
la persona che più fisicamente ci conosce
e spesso anche psicologicamente, cè.
Il vasto mondo della medicina per chi come me non lo conosce
fa paura, affrontarlo da soli in circostanze così tragiche
per tanta fiducia che riponi nei nuovi medici, è difficile.
La morte è un evento difficile da accettare, ma fa parte
della vita.
Ritengo che non ci sia nessuna università che insegni
ad essere vicino ai propri pazienti, non è solo sensibilità
o umanità, è solo vera professionalità.
Far guarire o far di tutto per riuscirci (vedi il luminare)
è lobiettivo che un laureato in medicina si pone
e sono migliaia in Italia, grazie a Dio, ma quanti sono coloro
che vogliono veramente fare il Medico?
Io uno lho trovato, è il mio medico di famiglia!
Grazie dottore.
Lettera firmata