M.D. numero 26, 21 settembre 2005

Focus on
Come interpretare e leggere criticamente i report Asl
di Giuseppe Belleri - Medico di medicina generale, Flero (BS)

Un appuntamento fisso quello con i report delle Asl che spesso esita in ansia per molti medici di famiglia. La fonte di tale disagio è la variabilità prescrittiva esaminata e letta soprattutto in funzione della spesa. Mancano infatti ancora adeguati sistemi di misurazione del case mix della medicina generale, tutti da costruire per uscire da questo empasse

Per molti Mmg è diventato un appuntamento fisso della vita professionale, sia che venga consegnato durante riunioni di aggiornamento a livello distrettuale sia che venga recapitato con la corrispondenza assieme a circolari o altre comunicazioni di servizio. Mi riferisco ai report sulla spesa farmaceutica, sui ricoveri ecc.
Da qualche anno a questa parte infatti quasi tutte le Asl provvedono a raccogliere ed elaborare i dati sulle prescrizioni dei singoli medici di medicina generale per poi distribuirli agli interessati sotto forma di report aziendali.
Formalmente il report è un documento che fornisce una sintesi informativa sull’andamento di un servizio, finalizzata al conseguimento di obiettivi negoziati in una logica di budget annuale.
Un buon report deve corrispondere a tre requisiti.
1. Contenere informazioni per la verifica degli obiettivi concordati tra unità operativa e direzione aziendale.
2. Permettere il confronto e la valutazione comparata delle performance (benchmarking interno ed esterno).
3. Comprendere indicatori e parametri governabili dai soggetti a cui è rivolto (centro di responsabilità).

Programmazione e controllo

Per questi presupposti teorici il report è in primis finalizzato al monitoraggio dei parametri relativi agli obiettivi che sono stati preventivamente individuati, in una logica di programmazione e controllo. Nelle imprese industriali gli obiettivi sono generalmente di natura economico-finanziaria, ad esempio un certo incremento annuale o semestrale del fatturato complessivo o delle vendite di un prodotto e così via. Quindi i report inviati ai medici in modo generico, cioè privi di una preventiva definizione degli obiettivi da raggiungere e degli indicatori per la valutazione, hanno un valore limitato e puramente informativo.

Problemi e opportunità


In genere quando il Mmg riceve il proprio report trimestrale si pone il problema di come leggere e soprattutto interpretare i dati che “fotografano” la sua attività professionale. Nonostante i limiti sopra accennati, i report Asl possono essere utili per monitorare le scelte effettuate e avviare un confronto tra pari finalizzato all’autovalutazione della qualità professionale. A patto, però, che si evitino equivoci interpretativi e facili trabocchetti che scattano quasi automaticamente alla lettura dei dati.
L’errore più comune, ad esempio, sta nel considerare le medie, relative all’Asl o al proprio distretto, come una sorta di obiettivo ideale a cui tendere, e non è raro che siano viste in questa chiave anche dai responsabili distrettuali. Vi è insomma il fondato rischio che le medie di spesa assumano implicitamente il ruolo di cut-off della prescrizione e che i medici siano considerati normo, iper o ipo prescrittori in relazione alla loro posizione rispetto alle statistiche.
Vediamo schematicamente come ovviare ad alcune distorsioni indotte dalla lettura dei report. L’interpretazione critica dei dati deve partire da due punti d’osservazione, da due diversi livelli dai quali è possibile leggere e valutare correttamente le statistiche sulle prescrizioni: un punto di vista esterno (valutazione esterna verso l’alto) e uno interno (valutazione interna verso il basso).

Valutazione esterna e verso l’alto


Si tratta della valutazione implicita nella logica dei report, che propongono in genere il confronto tra i dati del singolo medico o del gruppo con quelli del distretto, dell’Asl e della regione. Il primo problema che si pone è quello di stabilire preventivamente qual è la media corretta o di riferimento “a cui tendere” (ammesso che sia metodologicamente corretto). Basta esaminare i dati della spesa farmaceutica nazionale e locale per verificare quanta sia la variabilità delle prescrizioni sia a livello intra che inter-regionale. Quali sono quindi le medie di spesa “giuste” da prendere come punto di riferimento da “imitare”? Quelle del proprio distretto, dell’Asl vicina, dell’intera Regione, di altre Regioni, dell’intera nazione o di altri Paesi? Perché non inserire nel report anche i dati nazionali o di altre Regioni? Evidentemente ha poco fondamento una valutazione che prenda come riferimento alcune medie e non altre, indipendentemente da considerazioni sull’appropriatezza della spesa registrata in un’area geografica rispetto alle altre.
Oltre al parametro geografico bisogna poi considerare un’altro problema, afferente alla dimensione locale “micro”: qual è il legame tra lo stile professionale del medico e le sue prescrizioni? L’esperienza del disease management del diabete mellito per esempio, ha mostrato che la gestione integrata della malattia diabetica e il monitoraggio metabolico intensivo comportano un aumento dei costi rispetto al monitoraggio tradizionale, compensato tuttavia dalla riduzione dei ricoveri per il contenimento delle complicanze. Da qui la validità anche economica del progetto di disease management, nonostante l’aumento della spesa per prescrizioni di farmaci, accertamenti diagnostici, ecc.
Ora, se applichiamo questo modello ideale, con i prevedibili incrementi delle prescrizioni, a tutte le malattie croniche gestite sul territorio dal Mmg avremo di sicuro una lievitazione delle medie di spesa a carico dei medici che adottano, ad esempio, i relativi Percorsi Diagnostici e Terapeutici (PDT). E quindi un medico che non adottasse il monitoraggio intensivo del diabete avrebbe sicuramente dati di prescrizione inferiori a coloro che invece adottano il PDT. Non per questo sarebbe un ipoprescrittore virtuoso da emulare. Anzi, probabilmente sarebbe vero l’opposto!

Le cronicità


Bisogna inoltre tenere conto che la gran parte della spesa farmaceutica è dovuta alle terapie di lungo periodo rispetto a quelle per episodi acuti (tipo antibiotici o FANS per riacutizzazioni). Il 70% delle prestazioni erogate dal Ssn è rivolto alla cura e al controllo di affezioni croniche (diabete, dislipidemia, ipertensione, cardiopatie, asma, BPCO, depressione, malattie rare ecc.); questi capitoli di spesa sono in continua crescita, mentre i costi per eventi acuti sono stabili nel corso dell'esistenza.

Facili conclusioni


Dalle precedenti considerazioni si può dedurre - ipoteticamente, salvo verifica empirica - che un livello di spesa farmaceutica globale inferiore alle media, a parità di profilo demografico degli assistiti e di prevalenza di patologie croniche, starebbe ad indicare che il medico ha un difetto di qualità professionale e non è affatto da ritenere economicamente virtuoso. Al contrario, un surplus di spesa per farmaci cardiovascolari, antidiabetici, antiasmatici ecc. rispetto alle medie potrebbe essere la spia di una buona qualità professionale, a patto di essere correlata ad indicatori di processo ed esito migliori. Prendiamo ad esempio il caso di un medico che si impegna nello screening dell’ipertensione (o del diabete) e quindi potrebbe aver “scovato” un maggior numero di ipertesi (diabetici ecc.) Conseguentemente avrà consumato più farmaci e/o prescritto più accertamenti al fine di tenere sotto controllo la pressione arteriosa o l’emoglobina glicata tra i propri pazienti, mentre i ricoveri per tali patologie potrebbero essere inferiori rispetto alle medie. Queste semplici considerazioni suggeriscono quanto sia delicato il raffronto, proposto implicitamente dai report, tra i dati di spesa del singolo medico e le medie di Asl o di distretto. La teoria in base alla quale chi spende meno della media è da imitare, mentre chi eccede dovrebbe “rientrare in media”, è tutta da dimostrare.

Capire le variabili


In pratica la variabilità delle prescrizioni e la discrepanza tra i dati del medico e quelli dell’Asl può essere dovuta all’interazione tra vari fattori causali.

  • Una differenza significativa nella composizione della popolazione assistita, sia in termini anagrafici sia di patologie croniche in carico.
  • Lo stile organizzativo e il tipo di approccio ai problemi del medico (orientamento alla prevenzione attiva, applicazione di linee guida o PDT, interessi culturali o specialistici, partecipazione a ricerche o audit, motivazione o impegno personale, lavoro di gruppo, propensione al ricovero ospedaliero ecc.).
  • Una diversa propensione degli assistiti ad accedere allo studio del medico ed indurre prestazioni, legata a fattori socioeconomici e culturali (classe sociale, sensibilità verso la prevenzione, ambiente culturale e influenza dei media, collocazione geografica dello studio ecc.).
  • La presenza di una vivace offerta di secondo livello (concentrazione di strutture accreditate, pronto soccorsi, specialistica privata e medicina non convenzionale ecc.) e di elevata concorrenzialità interna alla categoria.
  • Una combinazione di altri fattori, legati:
    • al medico (età, sesso, anzianità di laurea, curriculum formativo)
    • agli assistiti (prevalenza di patologie rare, stagionalità)
    • al farmaco e all’assetto istituzionale (vincoli prescrittivi regionali, pubblicità e marketing farmaceutico, rapporti con le strutture di secondo livello).
Per poter spiegare la variabilità delle prescrizioni non è sufficiente quindi la valutazione “esterna” e verso l’alto (il confronto con le medie di distretto, Asl o popolazioni più ampie) ma bisogna spostare il focus dell’analisi e del confronto ad un altro livello, per così dire più basso.

Valutazione interna verso il basso


Si riferisce al livello opposto rispetto a quello proposto dalle medie prescrittive di distretto o di Asl, ovvero gli assistiti seguiti dal medico. Le medie statistiche generali, sia della spesa sia epidemiologiche, devono essere raffrontate e valutate tenendo conto delle caratteristiche della popolazione in carico al singolo professionista.
Il semplice numero dei pazienti in carico è un dato quantitativo insufficiente per poter valutare le prescrizioni e andrà integrato con la prevalenza delle principali malattie croniche: quanti ipertesi, diabetici, diabetici ipertesi, coronaropatici, broncopatici cronici, seguiti dal Mmg. Poiché le patologie in generale, e quelle croniche in particolare, sono correlate alla distribuzione anagrafica della popolazione, questo parametro può spiegare in buona parte la variabilità delle prescrizioni dovuta alle condizioni di salute della popolazione.

La “pesatura”


Per ovviare alle potenziali distorsioni dovute alle caratteristiche della popolazione di riferimento del medico, l’Asl in genere introduce un correttivo che tiene conto del profilo anagrafico dei pazienti, la cosiddetta pesatura per età e sesso, che rivede il dato grezzo del numero di scelte. Si parte dall’ipotesi che un aumento dell’età media degli assistiti equivalga ad un aumento di incidenza delle principali patologie croniche (e quindi dei consumi e della spesa), indipendentemente dalle caratteristiche del medico, dello stile organizzativo e di lavoro del professionista o del gruppo. Tale “pesatura” è sufficiente per rendere conto a priori (cioè senza andare ad analizzare la composizione epidemiologica della popolazione assistita) delle variabilità di spesa? In altri termini, il solo dato anagrafico può surrogare la vera e propria ponderazione clinica, vale a dire la prevalenza e la gravità delle diverse patologie nella popolazione assistita?
A livello ospedaliero, per esempio, affinché il confronto tra le unità operative, ad esempio chirurgiche, di diversi ospedali sia alla pari e non viziato da bias statistici, occorre che la casistica affrontata sia omogenea. Infatti performance diversificate potrebbero essere spiegate da un diverso mix di gravità nella composizione dei pazienti afferenti. I centri con casistica più “difficile”, vuoi per l’età dei pazienti vuoi per comorbilità cliniche, potrebbero registrare esiti meno brillanti, in termini di mortalità o complicazioni, rispetto a quanti invece operano una “selezione” dei ricoverati. La valutazione comparata della qualità delle cure, a livello nosocomiale, ha dimostrato quanto sia importate la tipologia della casistica affrontata e, di riflesso, i sistemi di misurazione del case mix ospedaliero. Analogamente le valutazioni di appropriatezza delle prescrizioni, basate su parametri puramente economici come le medie della spesa dei report Asl, sono da ”prendere con le pinze”.

Costruire sistemi di misurazione ad hoc


Il confronto delle medie Asl con il profilo interno, ovvero la composizione epidemiologica delle singole popolazioni (case mix), permette di avere una fotografia più aderente alla realtà rispetto alla pesatura per età. Ad esempio un “eccesso” di spesa farmaceutica in un settore potrebbe essere spiegato da un’anomala prevalenza di patologie croniche o di malattie rara che comportano elevati costi assistenziali. Con l’introduzione di adeguati sistemi di misurazione del case mix della medicina generale, ancora da costruire, sarà possibile una migliore comprensione della variabilità prescrittiva, rispetto alle medie statistiche di spesa, e una valutazione della qualità dei processi assistenziali del singolo medico o delle associazioni.