M.D.
numero 25, 14 settembre 2005
Terapia
ASA per tutti dopo i 50 anni? Al medico quello
che è del medico
di Claudio Cimminiello - Dipartimento di Medicina,
Azienda Ospedaliera Ospedale Civile di Vimercate
(MI)
In letteratura si dibatte sulluso dellacido acetilsalicilico
come prevenzione cardiovascolare per tutti i soggetti con età
maggiore di 50 anni. Oltre allanalisi del rapporto tra
rischi e benefici va ribadita la necessità della figura
del medico di famiglia allinterno di qualsiasi strategia
preventiva
Il
recente articolo comparso sul British Medical Journal (BMJ 2005;
330: 1440-3) circa i pro e i contro delluso di acido acetilsalicilico
(ASA) come prevenzione cardiovascolare in tutti i soggetti che
abbiano superato i 50 anni torna su un argomento
che da qualche tempo si affaccia allattenzione in campo
medico.
Si tratta della tendenza, da parte di esperti, in generale non
medici ma appartenenti ai settori dellepidemiologia e
della biostatistica, a proporre strategie di popolazione per
la prevenzione degli eventi vascolari, impiegando tuttavia strumenti
che appartengono tipicamente al campo delle strategie individuali
come i farmaci.
Le precedenti proposte
Per chiarire meglio bisogna ricordare le tappe che hanno preceduto
questa proposta sullASA, quali, nel recente passato, la
polipillola, cioè un mix di sostanze come
lacido acetilsalicilico, alcuni antipertensivi, una statina
e lacido folico, tutte riunite in una singola pillola
da somministrare a ogni persona che abbia superato i 55 anni
o laggiunta allacqua potabile di ACE-inibitori per
tutti i diabetici.
Il razionale alla base di tali proposte è semplice: trattandosi
di farmaci dal costo contenuto e dai vantaggi ampiamente dimostrati
perché non estenderne indiscriminatamente luso,
al di fuori della prescrizione da parte del medico, magari in
forme che favoriscano una compliance totale?
I vantaggi ventilati, quali un guadagno di 11 anni di vita senza
infarto o ictus sono accattivanti, ma qualche riflessione e
qualche commento sono dobbligo.
Innanzitutto laggiunta di un farmaco allacqua potabile
non è certamente equivalente allaggiungere lo iodio
per la prevenzione delle malattie della tiroide, cioè
una tipica misura di prevenzione a livello di popolazione.
I fautori di queste proposte, come detto, non sono dabitudine
medici che abbiano dimestichezza con la pratica clinica. Sono
invece epidemiologi o biostatistici tutti presi dallansia
di superare certe apparenti limitazioni a una prevenzione davvero
estensiva delle malattie vascolari.
Ai loro occhi assume aspetti fortemente negativi il fatto che:
non tutti i soggetti a rischio si sottopongano a una
valutazione da parte del proprio medico;
non sempre i medici siano in grado di cogliere il rischio
dei soggetti che valutano;
che non sempre le misure di prevenzione farmacologiche
vengano adottate, magari per il timore di reazione avverse a
questo o a quel farmaco.
Pro e contro
Proprio il problema della sicurezza dellacido acetilsalicilico
è parte fondamentale del citato articolo del BMJ. Per
una migliore comprensione va ricordato che le più recenti
linee guida internazionali raccomandano limpiego dellASA
in prevenzione primaria solo per i soggetti ancora indenni da
malattie vascolari o da diabete, il cui rischio proiettato a
5 anni sia superiore al 3%.
Poiché il rischio di reazioni avverse importanti da ASA,
intese come emorragie gastroenteriche gravi, sta tra lo 0.2%
e lo 0.4% nello stesso intervallo di cinque anni, è ovvio
che solo quando la riduzione del rischio coronarico offerta
dallASA - circa il 28% - controbilanci totalmente il rischio
emorragico diventa favorevole e conveniente limpiego di
acido acetilsalicilico.
Se tutto ciò ha senso anche per il clinico, diventa più
difficile seguire quelli che propongono luso di acido
acetilsalicilico per tutti oltre i 50 anni, poiché nella
peggiore delle ipotesi non oltre la metà di essi presenterà
un livello di rischio superiore al 3% a 5 anni.
In sostanza, per circa la metà della popolazione che
riceverebbe ASA la riduzione degli eventi non sarebbe controbilanciata
dallaumentato rischio di emorragie gravi, che è
da considerarsi un dato fisso e immodificabile in tutta la popolazione
a prescindere dal livello di rischio cardiovascolare.
Se poi aggiungiamo che il rischio di emorragie gravi si impenna
con il crescere delletà, appare ancora più
azzardata una proposta del genere.
Se infatti fissiamo alla soglia dei 50 letà per
lavvio di una simile prevenzione sulla popolazione intera
dobbiamo riflettere su quanto basso sia il rischio proprio in
prossimità dei 50 anni e come esso cresca sensibilmente
proprio nelle età più avanzate: in pratica, tra
i soggetti con 50 anni o poco più ben pochi arriverebbero
alla soglia del 3% di rischio vascolare e il rapporto rischio-beneficio
penderebbe a sfavore del trattamento.
Se, per contro, si innalzasse la soglia a 60 o a 65 anni il
rischio di emorragie gravi non sarebbe più attorno a
1 per mille allanno, ma sensibilmente superiore.
Quali potrebbero essere le soluzioni?
Quella di innalzare comunque la soglia e avviare la prevenzione
non più a 50 anni ma - tentativamente - a 60 anni.
Il ruolo centrale del medico di famiglia
In alternativa la possibile soluzione è quella di decidere
caso per caso.
Ecco che ricadiamo nella discrezionalità e, in sostanza,
nella necessità di una figura come il medico.
Nessuno come il medico - e in particolare il medico di famiglia
- conosce il profilo del rischio cardiovascolare di un soggetto,
i suoi precedenti emorragici o di potenziale rischio di reazioni
avverse in caso di esposizione allacido acetilsalicilico.
I tentativi di applicare strategie di popolazione impiegando
strumenti come i farmaci, ma prescindendo dal naturale dispensatore
di farmaci che è il medico, lasciano perplessi.
Chi caldeggia la prevenzione con ASA in maniera indiscriminata
sostiene sia irragionevole consultare preliminarmente il medico
da parte di tutti coloro che dovrebbero iniziare con simile
profilassi: è un punto di vista arbitrario e poco sostenibile
in epoca in cui così tanti si trovano a richiedere al
medico curante un certificato di idoneità o atti medici
formali analoghi.
La medicina opportunistica come qualcuno la definisce è
quella per cui il medico approfitta di contatti del tutto occasionali
per compiere atti importanti come il calcolo del rischio cardiovascolare
di un soggetto e simili occasioni, appunto opportunistiche,
vengono sempre più valorizzate.
In aggiunta appare fortemente discrepante la raccomandazione
di prescindere dal medico in un momento in cui il medico stesso
sta acquisendo sempre meglio gli strumenti per il calcolo del
rischio cardiovascolare globale di ogni soggetto, familiarizzando
sempre più con algoritmi e carte del rischio che fino
a pochi anni fa erano del tutto sconosciuti.